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Non è frequente che un Papa scriva e pubblichi libri durante il pontificato. Benedetto XVI lo ha fatto. Per quale ragione? Nel primo punto della nostra riflessione cercherò di rispondere a questa domanda.
1.Perché “Gesù di Nazaret”.
La risposta a questa domanda ci è data dal Papa stesso nella lunga ed importante prefazione del libro.
Due sono le affermazioni da cui desidero partire. La prima dice: “[questo libro] è unicamente espressione della mia ricerca del “volto del Signore” (cfr. Sal 27, 8)”. La seconda dice: “[A cominciare dagli anni cinquanta]… Lo strappo fra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede” divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?”.
Le due affermazioni sono ricche di significato, e vanno al cuore della nostra fede ed esperienza cristiana.
Il Papa dice di essere alla ricerca del volto del Signore. L’espressione è biblica, e denota non la ricerca di qualcosa che non si ha ancora, ma un cammino di progressivo approfondimento dell’amicizia col Signore Gesù. La fede, la vita cristiana dipende interamente da questo rapporto. È il loro autentico punto di riferimento [cfr. I pag. 8]. Siamo forse troppo abituati a pensare e a vivere la fede cristiana prevalentemente come un codice di comportamento. La riduzione del cristianesimo ai “valori” come oggi si dice, è una grave malattia delle nostre comunità cristiane. Benedetto XVI all’inizio della sua prima Enciclica aveva scritto: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” [Lett. Enc. Deus Caritas est 1, 2].
Ora, ci dice il Papa, a questa ricerca del volto del Signore Gesù, dagli anni cinquanta in poi si è frapposto un gravissimo ostacolo. Non solo nella ricerca di J. Ratzinger, ma anche nella ricerca del volto del Signore che struttura la vita cristiana di ogni fedele. Il Papa indica l’ostacolo nel modo seguente: il Gesù storico si allontana sempre più dal Cristo della fede. Che cosa significano queste parole? perché separare il Gesù storico dal Cristo della fede è un gravissimo ostacolo alla nostra ricerca del volto del Signore?
→ Noi ogni domenica professiamo la nostra fede in Gesù colle seguenti parole: “e in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre…”. Questi è il Cristo della fede. Cioè: il credente crede nel cuore e professa colla bocca che Gesù, il Gesù di cui parlano i vangeli, è il Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre, Dio da Dio …
→ Se però leggiamo i vangeli, come ogni domenica facciamo, possiamo avere l’impressione che il Gesù di cui essi parlano sia non solo molto diverso ma tutt’altro da come viene presentato dalle parole del Credo. Questo punto va approfondito bene; vogliate prestarmi molta attenzione.
A partire già dall’Illuminismo, ma soprattutto a partire dagli anni cinquanta i quattro vangeli vengono sottoposti allo stesso trattamento cui sono sottoposti dagli storici gli altri testi antichi. Vengono esaminati col solo metodo storico-critico quale è stato elaborato dalla scienza storica contemporanea.
È metodo storico, perché cerca di individuare i processi storici attraverso cui si sono formati i vangeli, descrivendone le varie tappe. È metodo critico, perché si serve dei criteri scientifici il più possibile obiettivi nell’analizzare le varie tappe della formazione del testo.
Quali sono gli elementi fondamentali del metodo storico-critico, le varie tappe in cui si struttura la sua ricerca? Sono cinque: 1) la critica testuale; 2) l’analisi linguistica con gli studi della filologia storica; 3) la critica letteraria delle fonti e il modo, i generi letterari e il loro ambiente; 4) la critica delle tradizioni e la loro evoluzione secondo l’ambiente vitale; 5) la critica della redazione fino allo studio del testo in sé come opera unitaria [cfr. L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa I, 11; EV 13/2868-2871].
Il risultato della ricerca di Gesù fatta a partire dai testi evangelici sottoposti alla metodologia storico-critica sarebbe che “sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede della sua divinità abbia plasmato la sua immagine”[I. 8]. Cioè: è il Cristo della fede e la sua immagine che ha generato, ha “plasmato” l’immagine di Gesù trasmessa dai Vangeli. Il Cristo della fede ha “creato” il Gesù dei vangeli. E Gesù come era storicamente, che cosa ha fatto, che cosa ha detto in realtà? “sappiamo ben poco”.
Potrebbe sembrare che siano questioni chiuse dentro i dibattiti dei competenti. Non è così, dice il Papa. “Questa impressione, nel frattempo è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità” [I, 8].
Spero di avere chiarito che cosa significa lo strappo tra il “Gesù storico” e il “Gesù della fede”.
Ma ci eravamo fatti una seconda domanda: perché questo strappo è un ostacolo gravissimo per la fede cristiana? per la ricerca del volto del Signore? “perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento”, dice il Papa, “l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto” [ibid.]. Se per la proposta cristiana il centro è il riferimento ad una Persona, la Persona di Gesù, e non ad una sua immagine o alla sua dottrina; se la Persona sfuma nell’incertezza, sbiadisce fino al punto da non possedere più alcun contorno preciso, la proposta cristiana diventa impossibile e irragionevole: non si è amici di uno che non si sa chi sia. Ha una sola via per salvarsi: proporsi o semplicemente come una dottrina religiosa o come una morale. Cosa che in questi decenni sta puntualmente accadendo.
Dunque il Papa scrive questo libro e per un bisogno interiore: continuare la sua appassionata ricerca del volto del Signore; e per un dovere apostolico: aiutare i fedeli ad uscire da questa situazione drammatica.
Ora dobbiamo compiere un secondo passo nella nostra ricerca. Come fa il Papa a mettere in atto questo suo impegno? in che modo ci aiuta ad uscire da quella situazione drammatica?
Cercherò di rispondere a questa domanda nel secondo punto della mia riflessione.
2.Il metodo di “Gesù di Nazareth”.
Il progetto del Santo Padre dunque, che mira a dimostrare la fondatezza storica di Gesù di Nazareth quale ci è presentato dai vangeli, è animato da una profonda fede personale e da una grave preoccupazione pastorale.
Dico subito: la risposta del S. Padre non è il rifiuto del metodo storico-critico, ma un suo ridimensionamento critico.
Perché il Papa non rifiuta il metodo storico-critico? perché non può, non deve essere rifiutato. Nel suo libro intervista, Luce del mondo, egli dice: “Se crediamo che Cristo è storia autentica e non mito, la testimonianza di Lui deve essere accessibile anche storicamente” [pag. 236]. E sempre nella prefazione a Gesù di Nazareth I dice più diffusamente: “Per la fede biblica … è fondamentale il riferimento a eventi storici reali … Essa si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra. Il factum historicum per essa non è una chiave simbolica che si può sostituire, bensì fondamento costitutivo. Et incarnatus est – con queste parole noi professiamo l’effettivo ingresso di Dio nella storia reale” [pag. 11].
Ciò che è proprio della fede cristiana è affermare che la nostra salvezza è operata da fatti storici, accaduti in un tempo preciso e in un territorio determinato: sono quei fatti che hanno operato la nostra salvezza. Perché di quei fatti Dio era l’
attore, il protagonista. Pertanto “se mettiamo da parte questa storia, la fede cristiana viene eliminata e trasformata in un’altra religione”. È questa la ragione per cui la ricerca del volto del Signore deve esporsi al metodo storico, non può prescindere da esso.
Esso basta per incontrare il volto del Signore? usando questa metodologia o i suoi risultati siamo introdotti nell’amicizia con la persona di Gesù? Assolutamente no, perché questa metodologia soffre, secondo il S. Padre, di tre limiti che sono inerenti alla sua stessa natura.
Il primo limite è che la metodologia storica pone il testo che analizza nel passato, e per sua natura è inetta a rapportarlo al presente. Ora il credente non legge i vangeli per essere semplicemente informato su ciò che è accaduto a Gesù di Nazareth duemila anni orsono. Egli è mosso alla lettura da una profonda affezione, generata dalla fede, alla persona di Gesù come “Colui che solo ha parole di vita eterna”.
Il secondo limite è che la metodologia storica è la considerazione, inevitabile per la scienza storica, del testo evangelico solo come una parola umana, “trascurando il fatto che è anche parola divina, che apre il testo ad un sovrappiù di senso, dato dall’Autore divino” [G. Segalla, Gesù di Nazareth tra passato e presente in M. Tagliaferri (a cura di), Il Gesù di Nazareth di J. Ratzinger, Cittadella Editrice, Assisi, 2011, 37].
Il terzo limite è che la metodologia storica è come costretta a “tagliare” il testo in parti sempre più piccole, perdendo così la comprensione del tutto, la quale è la comprensione più vera.
In che modo allora il S. Padre fa uso della metodologia storico-critica, superandone i limiti ed integrandola in una lettura dei vangeli più profonda?
Parto da un esempio. Se io voglio capire e gustare la Pietà di Michelangelo, certamente mi è utile che io conosca la vita del grande artista, i rapporti che aveva con la cultura del suo tempo, la sua concezione dell’arte, e molte altre cose che trovo nei libri di Storia. È questo che mi insegna la storia dell’arte. Ma non basta: devo in un qualche modo rivivere in me la stessa esperienza spirituale vissuta da Michelangelo e scolpita nel marmo.
Analogamente procede il S. Padre. Quanto egli scrive a I, pag. 16 – 17 è fondamentale: “La Scrittura è cresciuta nel e dal soggetto vivo del popolo di Dio in cammino e vive in esso. Si potrebbe dire che i libri della Scrittura rimandano a tre soggetti che interagiscono”. L’autore che ha scritto; il popolo cristiano a cui appartiene e a cui si rivolge; Dio stesso che conduce ed interpella il popolo cristiano e che parla nel profondo attraverso gli uomini.
Si potrebbe anche dire: gli evangelisti hanno scritto i vangeli interpretando nella luce della fede [della Risurrezione!] Gesù di Nazareth; è la fede della Chiesa degli apostoli; sono stati guidati da Dio stesso. Se io oggi li voglio veramente capire, devo pormi dentro questa stessa fede, la quale si richiama necessariamente ad un dato storico, di cui ha una comprensione più profonda.
Mi spiego con un altro esempio. Immaginiamo che la lettera inviata dal fidanzato alla fidanzata giunga e nelle mani di questa e nelle mani di un’altra ragazza. Quale delle due la comprenderà più profondamente? non c’è dubbio, la fidanzata. Perché esse vive, sta vivendo ciò di cui si parla.
Ecco che cosa ha fatto il S. Padre scrivendo questo libro. Ci ha mostrato il volto di Gesù, che egli sta sempre cercando. Lo ha fatto tenendo conto della critica storica, perché la ricerca del volto di Gesù è la ricerca di una persona in carne ed ossa vissuta su questa terra. Lo ha fatto, integrando questa critica storica, in una lettura generata dalla fede. Questa lettura fa “attuale” e vivo il volto del Signore e le sue parole; legge i vangeli nel loro insieme, nella loro unità interiore; alla fine trasfigura la lettura in ascolto di un Dio, il Dio dei cristiani. Perché Gesù ha semplicemente portato Dio all’uomo [cfr. I, 67]; in Gesù la Vita eterna si è fatta disponibile all’uomo [1 Gv 1, 1-4].
Il S. Padre dà una sintesi stupenda della “metodologia” che ha guidato il suo lavoro. Scrive nella prefazione del secondo volume: “Il Gesù storico, come appare nella corrente principale dell’esegesi critica, …è troppo ambientato nel passato per rendere possibile un rapporto personale con Lui [II, 8-9].
Coniugando tra loro le due ermeneutiche… ho cercato di sviluppare uno sguardo sul Gesù dei vangeli e un ascolto di Lui che potesse diventare un incontro e tuttavia nell’ascolto in comunione con i discepoli di tutti i tempi giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù [II, 9]”.
“Dunque il Gesù della storia non come oggetto di una storia passata, ma come una persona da incontrare nel Vangelo e inoltre il Gesù nella storia, cioè nella tradizione viva della Chiesa fino al contesto culturale ed ecclesiale odierno” [G. Segalla, op, cit. pag. 54].
3.Un esempio: la Risurrezione di Gesù
Desidero ora, molto brevemente, darvi un esempio attraverso la presentazione del cap. 9 del secondo volume: La risurrezione di Gesù dalla morte [pag. 269 ss.].
La ragione della scelta è duplice. In primo luogo trattasi del fondamento della fede cristiana: “La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti… Se si toglie questo… la fede cristiana è morta” [pag. 269]. In secondo luogo perché è un capitolo di grande catechesi – degna dei Padri della Chiesa – nel quale vediamo in atto in maniera molto chiara quella simultanea coniugazione di ermeneutica storica e di ermeneutica della fede, di cui ho parlato precedentemente. Procederò in maniera un po’ schematica.
Quale è il punto di partenza di una ricerca sulla risurrezione di Gesù? Scrive un teologo contemporaneo: “Purtroppo molti che discutono di teologia e di catechesi, hanno oggi una tale sottigliezza e scaltrezza di linguaggio da poter coniare innumerevoli espressioni e giri di frase che lasciano costantemente incerti il lettore e il fedele proprio sulla questione essenziale: se Gesù Cristo sia vivo oggi fra noi, come persona, unica, irripetibile” [A. Sicari, Viaggio nel Vangelo, Jaca Boock, Milano 1995, 142]. In poche parole: “Se Gesù sia esistito soltanto nel passato o invece esiste anche nel presente, ciò dipende dalla sua risurrezione” [pag. 270].
La prima domanda dunque è la seguente: che cosa è realmente successo? Non la rianimazione di un cadavere, cosa che potremmo “inquadrare” dentro le nostre misure. “La risurrezione di Gesù è stata l’evasione verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò – una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini” [pag. 272]. In questo senso, solo se Gesù è veramente risorto è accaduto qualcosa di veramente nuovo.
Sulla base di che cosa noi cristiani siamo certi che questo evento è realmente accaduto? Sulla base di ciò che gli apostoli hanno costatato; e quindi sulla base delle loro testimonianze. Ed è nell’analisi di queste testimonianze che il S. Padre mette in atto la sua metodologia.
Non ci è possibile ora seguire passo passo questa analisi, alla fine della quale espone in maniera sintetica la natura della risurrezione di Gesù e il suo significato storico. Ecco come presenta sinteticamente la peculiare natura della risurrezione: “Essa è un evento dentro la storia che, tuttavia, infrange l’ambito della storia e va al di là di essa… nella risurrezione è avvenuto un salto ontologico che tocca l’essere come tale, è stata inaugurata una dimensione che ci interessa tutti e ha creato per tutti un nuovo ambito di vita, dell’essere con Dio” [pag. 303-304].
Tuttavia subito aggiunge: “Come eruzione de
lla storia che la supera, la risurrezione prende tuttavia il suo inizio nella storia e fino ad un certo punto le appartiene… ha lasciato una sua impronta nella storia. Per questo può essere attestata da testimoni come un evento di una qualità tutta nuova” [pag. 305].
La liturgia pasquale ci ricorda spesso: risuscitò nel suo vero corpo. Cioè nello stesso corpo concepito da Maria, crocefisso e sepolto. Esso – Gesù nel suo corpo – appartiene a questa creazione; ma è in esso che irrompe la nuova vita, trasfigurandolo in un nuovo modo di essere. Questa irruzione è accaduta in questo mondo, dentro questa creazione e nello stesso tempo da essa (irruzione) questa creazione è stata trasferita in una nuova dimensione.
Conclusione
Ritorno agli inizi. Il S. Padre con questo libro svolge il suo ministero petrino: ricondurci tutti al centro della fede cristiana, la persona vivente di Gesù; vuole aiutarci a vivere consapevolmente il nucleo centrale dell’esperienza della fede, l’incontro con Gesù. Questo è il compito primo ed essenziale di Pietro.
Ma vorrei, per finire, fare un’osservazione. È da Leone XIII che i Papi avevano non solo legittimato ma raccomandato il metodo storico-critico. Per la prima volta un Papa lo usa all’interno di una lettura dei Vangeli, lettura non limitata ad esso.
E qui vediamo in atto una delle caratteristiche di questo pontificato. Confrontarsi colla sfida che viene dall’uso del metodo storico proprio a riguardo del Fatto centrale del cristianesimo, dimostrando concretamente che quella sfida può e deve essere accettata all’interno di una ermeneutica della fede, purché si accetti di allargare gli spazi della propria razionalità. Non è questa la grande sfida di questo pontificato? Salvare l’humanum, iniziando da ciò che – come dice Tommaso – “est potissimum in homine”, la sua ragione.