LONDRA, mercoledì, 1° giugno 2011 (ZENIT.org).- In prossimità ormai della Pentecoste mi viene in mente un’esperienza pastorale, che non potrò facilmente dimenticare, in una parrocchia della diocesi di Versailles. Per la cresima dei nostri giovani c’era stata una piccola battaglia. I genitori dei giovani non volevano il Vicario generale come programmato da tempo, ma domandavano la venuta del Vescovo stesso: e così è stato. Aveva anche lui compreso la ragione; era per sentirsi tutti più responsabili in questa diocesi, incontrandolo direttamente. Ma era anche per premiare il lungo cammino di due anni di preparazione per una settantina di giovani, francesi e portoghesi insieme. Erano tanti. Ancora un’altra battaglia: per non allungare i tempi della celebrazione, il Vescovo stesso, Jean-Charles Thomas, indicava di presentarli al momento opportuno tre a tre.

E a quel punto era emozionante vedere con quale sorriso, con quale trasporto e quali energie interiori si lanciasse lui stesso verso ognuno di loro, uno in alto sui gradini e due più in basso. Lentamente ne scandiva il nome, ungendo tutta la fronte di olio benedetto con un ampio gesto di croce, mentre gli usciva una frase che sembrava fatta apposta per quel giovane: “La gioia del Signore ti accompagni sempre e renda la tua vita un’avventura bella e coraggiosa per gli altri!”. Parole luminose, incoraggianti per assicurargli sui suoi passi la presenza dello Spirito di Dio. Ogni giovane, immobile senza battere ciglio, assorbiva come una spugna la frase diretta a lui. Sì, era stato un lungo cammino. Una trentina di giovani dell’età di 15 e 16 anni apparteneva alla nostra comunità di migranti portoghesi e altrettanti erano alla parrocchia francese; l’impegno preso dagli animatori era per un cammino comune di formazione. Dove anche qualità culturali differenti si ritrovavano insieme: un più grande senso di preghiera per i portoghesi; più portati, invece, alla riflessione i giovani francesi.

Prepararsi alla cresima era anzitutto una loro decisione. Responsabilmente avevano detto sì a questo percorso di due anni, mentre molti altri vi avevano rinunciato. Non importava. Per crescere nella fede toccava ormai ad ogni giovane decidere, non più ai genitori. Era questa la prima tappa del loro cammino. Poi, gli incontri con loro si erano succeduti una volta al mese lungo tutto il pomeriggio e la serata del sabato. Il team degli animatori - anch’essi metà francesi e metà emigranti portoghesi - si adoperava per lanciare chi un canto, chi una riflessione, chi delle spiegazioni o altre attività... Al terzo incontro i giovani potevano già scegliere una serie di testimoni della fede da incontrare - impegnati nella pastorale dei sacramenti, della carità, della liturgia - e da invitare per una intervista. Ricordo la sorpresa degli animatori nel vedere come nella scelta vi fosse anche l’equipe che incontrava le famiglie in lutto. Nella parrocchia essa presenta in casa le condoglianze, informa e prepara insieme alla famiglia la celebrazione. Ascoltare, allora, la testimonianza di fede di Alice, parlando del funerale di due giovani portoghesi fu qualcosa di scioccante e di emozionante per tutti. Quando muore un giovane, è vero, è il mondo intero ad essere sconvolto. Ma per molti è anche momento di coraggio, di speranza, e di fede senza misura. Le sue parole semplici per sentimenti così grandi li aveva incantati.

Poi, un lungo, intero fine settimana, lo avevano vissuto chiusi in un monastero. Ed era l’esperienza senz’altro più ardua e più bella per loro. Vivere al ritmo dei monaci, della loro preghiera, del silenzio, della semplicità di vita si rivelava tonificante per ognuno. Così, la serietà e la bellezza di una comunità in preghiera, i lavori quotidiani, la fratellanza, le parole di testimonianza di un monaco cariche di humour e di delicatezza li aveva segretamente trasformati. Infine, ogni giovane scriveva una lettera al Vescovo. Era un compito personale: vi metteva dentro i motivi per cui chiedeva di essere cresimato, ma anche gli aspetti, le scoperte o i piccoli impegni della sua stessa fede. Compito laborioso, prezioso, fatto da tutti con buona volontà: sapevano che andava direttamente nelle mani del loro Vescovo. E poi nella celebrazione li vedevi attentissimi, perchè nell’omelia lui ne faceva uno stupendo bouquet, presentando i passaggi che aveva assaporato a tutta l’assemblea degli adulti.

La celebrazione continuava, poi, con testi e canti in due lingue, manifestando la giovane fede dei cristiani di domani. Ancora una lezione di ecclesialità. La Chiesa è comunione e la diversità delle proprie culture e tradizioni ne è componente vitale: lo Spirito di Dio saprà crearne una misteriosa unità. Si arrivava, così, all’ultima pagina del libretto che avevano tra le mani. Stampata a grandi caratteri un’unica frase: “Ed ora lotta per una grande causa!”. Sì, per la giustizia, per la pace o la solidarietà che attendono incessantemente gli inviati di Dio. “Andate, la vostra missione ora incomincia!”. Le ultime parole del Vescovo cadevano come un sigillo.“Rendiamo grazie a Dio!”, rispondevano degli occhi luminosi, spalancati sul mondo, che non dimenticheremo più.

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*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l'Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista "Presenza italiana". Dopo l'esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d'Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.