ROMA, giovedì, 30 giugno 2011 (ZENIT.org).- Con il Messaggio “In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza”[1], che i Vescovi ci hanno rivolto per la 6ª Giornata per la salvaguardia del creato, che si celebrerà il 1° settembre 2011, siamo invitati ad accogliere l’intero creato come dono gratuito di Dio, ad agire in esso nello stile della gratuità e divenire autentici spazi di ospitalità. Siamo in grado di accogliere ogni altro essere umano come un fratello, perché l’amore di Dio effuso dallo Spirito nei nostri cuori ci rende capaci di amore e di perdono, di rinuncia, «di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace»[2]. È il nostro cuore che deve formarsi all’accoglienza, anzitutto della vita in se stessa, fino all’incontro e all’accoglienza di ogni esistenza concreta, senza mai respingere qualcuno dei propri fratelli. Il Santo Padre ci ricorda che: «se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco»[3].

In questo modo, l’ospitalità diventa «la misura concreta dello sviluppo umano, la virtù che getta il seme della solidarietà nel tessuto della società, il parametro interiore ed esteriore del disegno dell’amore che rivela il volto di Dio Padre. Diventando ospitale, l’uomo riconosce con i fatti a ogni persona il diritto a sentirsi di casa nel cuore stesso di Dio»[4]. Attraverso la sua opera educativa, «la Chiesa intende essere testimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienza del povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pacifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero, immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato»[5].

«Educare all’accoglienza – continuano i nostri vescovi – a partire dalla custodia del creato significa condurre gli uomini lungo un triplice sentiero: quello, anzitutto, di coltivare un atteggiamento di gratitudine a Dio per il dono del creato; quello, poi, di vivere personalmente la responsabilità di rendere sempre più bella la creazione; quello, infine, di essere, sull’esempio di Cristo, testimoni autentici di gratuità e di servizio nei confronti di ogni persona umana. È così che la custodia del creato, autentica scuola dell’accoglienza, permette l’incontro tra le diverse culture, fra i diversi popoli e perfino, nel rispetto della identità di ciascuno, fra le diverse religioni, e conduce tutti a crescere nella reciproca conoscenza, nel dialogo fraterno, nella collaborazione più piena»[6].

Non dobbiamo dimenticare che per la Chiesa è necessario continuare a «proclamare che è proprio Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, la presenza profonda che permette il disvelarsi del disegno di Dio sull’uomo e sul cosmo, perché “tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1,3). È in Cristo che la solidarietà diventa reciprocità, esercizio di amore fraterno, gara nella stima vicendevole, custodia dell’identità e della dignità di ciascuno, stimolo al cambiamento nel vivere sociale. […] Tutti abbiamo bisogno di Dio: riconoscendoci opera delle sue mani, sue creature, siamo invitati a custodire il mondo che ci ha affidato, perché, condividendo le risorse della terra, esse si moltiplichino, consentendo a ogni persona di condurre un’esistenza dignitosa»[7].

Concludo, citando la chiusura dell’ultimo libro di papa Benedetto XVI: «Gesù condusse i suoi vicino a Betània, ci viene detto. “Alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (Lc 24,50s). Gesù parte benedicendo. Benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Ma sono al contempo un gesto di apertura che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso e possa diventarvi una presenza. Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell’andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana»[8].

Gesù ci benedice con le sue mani, perché le nostre mani, il nostro custodire il creato, sia benedizione sul mondo.




[1] Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, Messaggio per la 6ª Giornata per la salvaguardia del creato In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza, 12 giugno 2011.

[2] Caritas in veritate, n. 79.

[3] Ib., n. 28.

[4] In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza.

[5] Educare alla vita buona del Vangelo, n. 24.

[6] In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza.

[7] Ivi.

[8] Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, seconda parte. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, 2011, p. 324.

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Mons. Angelo Casile è Direttore dell’Ufficio Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e del lavoro.