ROMA, lunedì, 20 giugno 2011 (ZENIT.org).- Nel 60° anniversario della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, molto è stato fatto ma ancora ampio rimane il margine di miglioramento. E’ quanto si legge in una nota inviata dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS), un’organizzazione non governativa cattolica la cui missione è servire, accompagnare e difendere i diritti dei rifugiati e degli altri migranti forzati.
Lunedì 20 giugno si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Rifugiato, che quest’anno l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dedica alla Convenzione del 1951, che nata come risposta agli orrori della seconda Guerra Mondiale continua tuttoggi ad essere un pilastro della protezione internazionale.
“Particolarmente importante – si legge nella nota – è stata la scelta di stabilire una definizione di rifugiato che tenesse conto del timore di persecuzione quale causa determinante la fuga, anziché basare il giudizio su una specifica situazione. Altrettanto importante è stata l’introduzione di un obbligo universale di prestare significative, seppur limitate, forme di assistenza ai rifugiati, ivi incluso – particolare rilevantissimo – l’impegno a mai rispedire rifugiati nei luoghi in cui rischierebbero la persecuzione”.
Secondo il rapporto “Global Trends 2010” dell’UNHCR lo scorso anno si è registrato il più alto numero di rifugiati e sfollati negli ultimi 15 anni: sono stati, infatti, 43,7 milioni i rifugiati, richiedenti asilo e sfollati. Di questi 15,4 milioni sono rifugiati sotto la protezione dell’ UNHCR o dell’agenzia per la Palestina; 27,5 milioni di persone sono fuggiti all’interno del proprio Paese e circa 850 mila sono alla ricerca di asilo.
“Pur tuttavia – aggiungono i gesuiti – , troppi governi continuano a ignorare i principi fondamentali della Convenzione, che viene da loro vista come inopportuna sotto il profilo politico o troppo onerosa sul piano economico. I rifugiati vengono spesso confinati in campi situati in zone remote o addirittura detenuti ingiustamente in violazione del loro diritto alla libertà di movimento. Parimenti, vengono loro negati i documenti personali, il diritto al lavoro, e l’accesso ai servizi di base. Gli stati limitano sempre più l’accesso ai propri territori e di fatto impediscono ai richiedenti asilo di accedere alle opportune procedure di determinazione del loro status”.
Secondo il direttore del JRS International, padre Peter Balleis, “se alla Convenzione fosse data piena attuazione, sia nella lettera che nello spirito, tanti rifugiati in fuga dalla Libia che attraversano il Mediterraneo, somali che fuggono in Kenya, e innumerevoli altri fuggiaschi potrebbero trovare protezione e talvolta persino salvezza. La protezione dalle violazioni dei diritti umani è diritto di nascita di ciascuno di noi”.
“Nonostante la definizione di rifugiato data dalla Convenzione sia più restrittiva rispetto a quella applicata dal JRS – che comprende i migranti forzati sfollati da conflitti generalizzati, ingiustizie economiche e disastri ambientali – pur tuttavia nel corso del tempo la sua interpretazione ha subito delle evoluzioni”, si osserva.
Infatti, “in questi ultimi anni la Convenzione ha dato prova di rispondere alle necessità emergenti ampliando la definizione di rifugiato così da farvi rientrare nuovi gruppi, come le vittime di violenze sessuali e di persecuzione da entità non di stato, come i gruppi di ribelli e miliziani”.
“In luoghi come la Repubblica Democratica del Congo, dove gli stupri sono sempre più all’ordine del giorno, migliaia di donne sono state sfollate con la forza – ha aggiunto padre Balleis –. Il riconoscimento della violenza sessuale come forma di persecuzione ha fatto sì che non soltanto venisse loro accordata tutela legale, ma ha anche spinto le organizzazioni del caso a istituire programmi in risposta alle loro specifiche necessità”.
Il prossimo dicembre l’UNHCR convocherà esponenti di governi per chiedere a ciascuno stato di impegnarsi ad attuare un sostanziale miglioramento delle misure a protezione dei rifugiati. Per questo il JRS ha sollecitato i governi “a prendere questa sfida con la massima serietà: se è vero che molto c’è da celebrare quest’anno, è vero anche che c’è ancora ampio spazio per migliorare”.
Il JRS è presente in 57 paesi del mondo. Impiega oltre 1.200 persone tra laici, gesuiti e altri religiosi per rispondere ai bisogni educativi, sanitari, sociali e alle altre necessità di più di 500.000 rifugiati e migranti forzati. Offre i propri servizi a prescindere dalla razza, dall’origine etnica e dall’appartenenza religiosa dei beneficiari.
Garantisce l’istruzione primaria e secondaria a circa 300.000 bambini ed è impegnato in azioni di advocacy per assicurare che a tutti i bambini rifugiati e sfollati sia garantita un’istruzione di qualità.
[Per maggiori informazioni: www.jrs.net]