Il Papa: tacciano le armi e si ritorni al dialogo in Libia

E invita al dialogo e alla riconciliazione anche nei Paesi del Medio Oriente

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ROMA, domenica, 20 marzo 2011 (ZENIT.org).- Questa domenica, al termine dell’Angelus in piazza san Pietro, Benedetto XVI ha lanciato un appello perché cessi l’uso delle armi e si torni all’impegno diplomatico.

“Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia – ha detto il Papa –, cresce la mia trepidazione per l’incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall’uso delle armi”.

Solo nelle ultime 24 ore, secondo quanto rivelato dal Pentagono, gli Stati Uniti e gli altri Stati della coalizione che hanno imposto la no-fly zone sulla Libia hanno lanciato 16 missili Tomahawk ed effettuato 153 incursioni aeree.

Questa domenica 27 marzo, invece, è stato deciso che il comando di tutte le operazioni militari sulla Libia passerà nell’arco di 48 ore alla Nato e verrà affidato al generale canadese Charles Bouchard. La missione, denominata “Unified protector”, prevederà una no-fly zone rafforzata, ovvero raid su bersagli di terra.

Nel frattempo, a nove giorni dall’inizio della missione “Odissey Dawn” – scattata dopo l’attacco delle forze governative contro Bengasi nonostante l’annuncio del cessate il fuoco da parte di Tripoli e dopo l’approvazione della risoluzione dell’Onu 1973 promossa da Stati Uniti, Francia, Libano e Gran Bretagna – i ribelli hanno riconquistato le città costiere orientali di Ras Lanuf, Brega, Uqayla e Bin Jawad e si stanno muovendo rapidamente verso Sirte, la città natale di Gheddafi, da dove le forze del leader libico avevano cominciato a respingere i ribelli a partire dal 6 marzo scorso.

“Nei momenti di maggiore tensione – ha continuato il Papa – si fa più urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature”.

“In questa prospettiva – ha aggiunto –, mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell’intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi”.

Intanto le manifestazioni di protesta sono aumentate e si sono intensificate anche nei Paesi del Medio Oriente.

A questo proposito, il Papa ha rivolto un pensiero “alle Autorità ed ai cittadini del Medio Oriente, dove nei giorni scorsi si sono verificati diversi episodi di violenza, perché anche là sia privilegiata la via del dialogo e della riconciliazione nella ricerca di una convivenza giusta e fraterna”.

In Yemen le manifestazioni del 18 marzo a Sana’a contro il presidente Ali Abdallah Saleh – che ricopre questo incarico dal 1978 – sono state represse nel sangue con 52 morti (da gennaio sono più di ottante le vittime della repressione).

Anche nel Bahrein, dove le prime proteste sono scoppiate il 14 febbraio scorso nella capitale Manama per chiedere riforme politiche e sociali allo sceico Hamad bin Issa al Khalifa – al potere dal 1999 e la cui dinastia è imparentata con la casa regnante saudita –, si sono verificate delle violente repressioni che hanno portato alla morte di almeno 19 persone.

In Siria, dal 18 al 21 marzo migliaia di siriani sono scesi in piazza a Daraa, nel sud del Paese, per protestate contro il governo, le diseguaglianze economiche e la corruzione. La rivolta allargatasi anche alle città di Enkhel, Nawa e Jaseem sono state represse duramente: decine gli arresti e almeno una ventina i morti. Almeno venti anche i dimostranti su cui le forze di sicurezza siriane hanno aperto il fuoco il 25 marzo a Samamein, località nel sud del Paese. Altri scontri sono stati segnalati a Latakia, a Homs, a Zabadani e nella periferia di Damasco. Alta tensione anche in Giordania, dove una persona è morta durante una manifestazione di protesta nel centro della capitale Amman.

Nel frattempo, ad Addis Abeba, in Etiopia, nella sede dell’Unione Africana (UA), si è tenuta un’assemblea speciale dell’UA sulla crisi libica. Vi hanno partecipato i rappresentanti della Commissione speciale dell’Unione Africana sulla Libia (che comprende Repubblica del Congo, Sudafrica, Mauritania, Mali e Uganda), esponenti del governo libico, ma non quelli del Consiglio di Transizione libico (l’organo di autogoverno degli insori che ha come capo Mahmoud Jabril), oltre a delegazioni della Lega Araba, della Conferenza Islamica e dell’Unione Europea.

Al termine dell’incontro, il presidente della Commissione dell’UA, Jean Ping, ha annunciato la road map che dovrebbe costituire la soluzione diplomatica al conflitto e che prevede: un cessate il fuoco immediato, il riconoscimento delle aspirazioni democratiche del popolo libico da parte del colonnello, l’apertura di un dialogo tra le parti in lotta, corridoi umanitari e misure di protezione degli stranieri. I rappresentanti del regime di Tripoli hanno accolto la road map, mentri gli insorti non hanno dato finora nessuna risposta.

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ZENIT Staff

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