L'Unità d'Italia e la conciliazione tra Stato e Chiesa

A Roma, un dibattito sul difficile rapporto tra potere temporale e spirituale

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di Mariaelena Finessi

ROMA, venerdì, 4 marzo 2011 (ZENIT.org).- Nata grazie al cinismo di Cavour ma soprattutto alla fortuna di Garibaldi, secondo Bruno Vespa l’unità d’Italia ha allargato il Tevere e i suoi ponti che oggi, sottolinea Giovanni Maria Vian, «sono più ampi e sicuri».

Ricordata attraverso la presentazione dei volumi “Il cuore e la spada” del direttore di Porta a Porta e “Donazione di Costantino” del direttore dell’Osservatore Romano, di Unità del Paese si è discusso il 24 febbraio in un incontro pubblico a Palazzo della Cancelleria a Roma. Lì dove  nel 1848 fu assassinato il primo ministro di Pio IX, Pellegrino Rossi e nella stessa Sala Vasari in cui si riunì l’Assemblea costituente della Repubblica Romana.

Un’occasione per discutere di Risorgimento e di rapporti tra Stato e Chiesa lungo i 150 anni di storia unitaria, la cui sintesi è nella metafora del “Tevere più largo”, lanciata nel 1958 da Giovanni Spadolini e che sembra essersi concretizzata con la salita di Joseph Ratzinger al soglio pontificio.

Per Vian, «dopo il dissolvimento della cosiddetta unità politica dei cattolici durante il pontificato di Giovanni Paolo II», l’elezione di un Papa tedesco ha segnato tanto il superamento «della schiacciante eredità della seconda guerra mondiale» quanto le «bizzarre riflessioni geopolitiche che teorizzavano l’esclusione dal papato di una o di un’altra nazionalità, con ragionamenti elaborati forse per giustificare il monopolio italiano sulla sede romana». Soprattutto, ha «sicuramente contribuito anche all’allargamento del Tevere».

Sul risultato ultimo ha contato l’atteggiamento di Ratzinger, che per il direttore del quotidiano cattolico avrebbe sostituito la tiara con «una semplice mitra episcopale», compiendo in questo modo un gesto che «appare caratterizzato da amichevole apertura ad extra». Ossia nei confronti delle altre confessioni religiose e le altre culture.

La ragione non risiederebbe in un voler trascurare o mettere «tra parentesi – spiega Vian – la tradizione cristiana, di cui il Pontefice invece sottolinea in ogni modo la continuità». Piuttosto, a segnare il rifiuto di ogni fondamentalismo è l’idea, forte nel magistero di questo Papa, che la ragione è parte integrante della vita degli uomini.

In altri termini, grazie a Benedetto XVI, «il Tevere è insomma più largo, e sono più larghi e sicuri i ponti che l’attraversano, grazie al rafforzamento costante delle relazioni con l’Italia, come del resto con altre nazioni». Una «eccellenza di rapporti» coincisi nei frequenti incontri tra il successore di Wojtyla e i presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e, soprattutto, Giorgio Napolitano, «con il quale è forte la relazione personale».

In fondo proprio la religione, nella sua veste di potere temporale, «esperienza – è il commento realista di Vian – “provvidenzialmente” conclusasi 150 anni fa», ha rappresentato la maggiore fonte di scontri tra Chiesa e Stato. Tensioni superate tanto che Pio IX «arriverà a benedire l’unità d’Italia – aggiunge Vespa – malgrado l’anticlericalismo della monarchia sabauda».

Avverrà la conciliazione tra Stato e Pontificato: «È un sintomo di modernità e non di arretratezza – conclude il giornalista – il fatto che certe incomprensioni storiche tra Stato e Chiesa siano arrivate a una composizione armonica».

E la conferma che i rapporti, oggi, tra le istituzioni statali e la Chiesa siano buoni va letta anche nella iniziativa della Conferenza episcopale italiana (Cei) di voler omaggiare i 150 anni del Paese con una messa che sarà presieduta, proprio il 17 marzo, dal cardinale Angelo Bagnasco. La celebrazione, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, verrà trasmessa in diretta da Rai Uno e da TV2000.

La «nostra cultura», ha sottolineato il presidente della Cei in un recente convegno a Genova, «e l’ethos profondo del nostro popolo» sono «i valori fondamentali che costituiscono l’anima della nazione e quindi la struttura portante dello Stato, fanno dell’Italia, del nostro Paese, un Paese – conclude, non celando, un certo orgoglio – per certi aspetti all’avanguardia».

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ZENIT Staff

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