I turchi in Germania, tra integrazione e assimilazione

Erdogan: “Nessuno ha il diritto di separarci dalla nostra cultura ed identità”

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di Paul De Maeyer

ROMA, venerdì, 4 marzo 2011 (ZENIT.org).- Tre anni fa – il 10 febbraio 2008 -, un discorso pronunciato a Colonia dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, davanti a circa 20.000 connazionali, suscitò una forte polemica in Germania. Nella sua allocuzione, il popolare politico del partito filo-islamico AKP aveva toccato un tema molto sensibile, quello dell’integrazione degli immigrati turchi in Germania. Una frase in particolare fece allora scalpore, quella in cui l’ex sindaco di Istanbul definì l’assimilazione “un delitto contro l’umanità”.

Domenica scorsa, il 27 febbraio, Erdogan ha tenuto nuovamente un discorso in “Almanya”, questa volta a Düsseldorf. E anche questa volta il premier turco, venuto in Germania per l’apertura della più grande fiera d’Europa dedicata all’elettronica e alle nuove tecnologie – la CeBIT di Hannover -, ha parlato di integrazione. E come nell’occasione precedente, le sue parole sono state accolte polemicamente.

Anche se Erdogan ha sottolineato la necessità di integrazione, ha tuttavia respinto con forza l’assimilazione. “Sì, integratevi nella società tedesca, ma non assimilatevi. Nessuno ha il diritto di separarci dalla nostra cultura ed identità”, così ha detto il primo ministro, che ha annunciato anche grandi programmi nel campo delle infrastrutture e della difesa (per il futuro Ankara intende progettare e costruire elicotteri, navi ed aerei militari).

Erdogan, che in un’intervista con il quotidiano Rheinische Post (26 febbraio) ha criticato anche le reticenze della Germania sull’ingresso della Turchia nell’Unione Europea (UE), ha denunciato inoltre l’islamofobia, definendola “un crimine contro l’umanità al pari dell’antisemitismo” (Spiegel Online, 27 febbraio).

La frase del primo ministro turco che forse ha sollevato più reazioni negative è stata quella sulla conoscenza delle lingue. “I nostri figli devono imparare il tedesco, ma prima devono imparare il turco”, ha ribadito il politico dell’AKP, che ha proposto anche la creazione di una “carta blu” per dare più diritti agli emigrati turchi con passaporto tedesco.

“I bambini che crescono in Germania devono imparare prima di tutto il tedesco”, così ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle (FDP), in una prima reazione al discorso di Erdogan (Der Tagesspiegel, 28 febbraio). Anzi, per il politico del partito liberale FDP, la conoscenza della lingua tedesca è “la chiave per l’integrazione”.

Per Reinhard Grindel, deputato della CDU nel Bundestag (Camera bassa), il problema non è che nelle famiglie turche non si parli più il turco. “Il problema è che si parla solo il turco”, ha osservato il politico democristiano, che ha anche respinto l’accusa dell’assimilazione forzata. “Nessuno qui vuole l’assimilazione”, ha ribadito.

Da parte sua, il socialdemocratico Martin Schulz, capogruppo socialista al Parlamento europeo, ha qualificato il discorso di Erdogan come “controproduttivo” per l’ingresso della Turchia nell’UE. “Quello che fa Erdogan – ha dichiarato l’esponente della SPD in un’intervista con il quotidiano Hamburger Abendblatt (1 marzo) – ha poco a che fare con l’integrazione in Germania ma molto a che vedere con la propaganda a causa del dibattito politico interno in Turchia”.

Il discorso di Erdogan va collocato infatti sullo sfondo delle elezioni legislative che si svolgeranno il 12 giugno prossimo in Turchia, nelle quali il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) spera di raggiungere il 50% dei consensi, un esito che permetterebbe ad Erdogan di governare comodamente da solo. In cerca di voti, il premier guarda dunque verso la comunità turca della Germania, che con i suoi quasi due milioni di aventi diritto costituisce infatti il quarto distretto elettorale dopo Istanbul, Ankara ed Izmir. Sarà d’altronde la prima volta che i turchi della Germania potranno esprimere il loro voto direttamente in ambasciata o presso le sedi consolari.

Secondo uno dei più noti giornalisti della Turchia, Ertugrul Özkök, quello di Düsseldorf è un “discorso elettorale, tipico di Erdogan”. “Siamo abituati al suo linguaggio – così, come parla in Turchia, si è espresso anche a Düsseldorf”, ha detto al quotidiano Bild (28 febbraio) il rubricista del popolare giornale Hürriyet. “(Erdogan) ha sempre bisogno di un nemico immaginario”, ha aggiunto. “Erdogan parla persino delle cose più belle come se ci fosse un litigio”.

Molto critica è stata la scrittrice e sociologa turco-tedesca Necla Kelek. “Non ha parlato come un politico in visita privata, ma come un sultano al suo popolo e al contempo in tono adulatorio come un fratello maggiore”, ha scritto la Kelek sul Welt (2 marzo), osservando che prima di recarsi in Germania Erdogan aveva preso parte ad un congresso ad Istanbul, nel quale erano presenti dei bambini, invitandoli a prendere come modello fra l’altro il conquistatore di Costantinopoli, Fatih Sultan Mehmet.

Per il giornalista tedesco Gerd Höhler, Erdogan ha dato dimostrazione della sua “percezione selettiva della realtà” durante la sua visita in Germania (Frankfurter Rundschau, 28 febbraio). Quando il premier turco ribadisce che nessuno può ignorare i diritti delle minoranze, i curdi nel suo paese chiederanno perché questo non vale per loro. E quando Erdogan sostiene che ognuno ha il diritto di vivere la propria fede, la domanda è perché questo viene negato ai cristiani in Turchia.

Non tutti i commentatori hanno criticato però le parole di Erdogan. Secondo Daniel Bax, della Tageszeitung (28 febbraio), non è il discorso del premier turco che “turba” ma – proprio come tre anni fa – le reazioni degli esponenti della maggioranza. Per l’autore, nel corso degli ultimi tre anni Berlino non ha fatto nulla nel campo dell’integrazione.

Una cosa è certa. Il discorso del combattivo premier turco ha aggiunto un altro capitolo al dibattito sull’integrazione degli immigrati nella società tedesca. Nell’ottobre scorso, la cancelliera democristiana Angela Merkel aveva constatato ad esempio il “fallimento completo” del multiculturalismo in Germania. Sempre nel 2010, la banca centrale tedesca o Bundesbank aveva deciso di estromettere il consigliere Thilo Sarrazin (SPD), che aveva criticato nel suo ultimo libro – “La Germania si distrugge da sé” – l’immigrazione (in modo particolare quella musulmana) e la mancata integrazione.

Proprio al tema dell’integrazione, Papa Giovanni Paolo II aveva dedicato il suo ultimo messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, quella del 2005. Si tratta, ammetteva il Pontefice, di un termine usato da molti “per indicare la necessità che i migranti si inseriscano veramente nei Paesi di accoglienza, ma il contenuto di questo concetto e la sua pratica non si definiscono facilmente”. Nel testo, Papa Wojtyla definiva l’integrazione “un processo prolungato”, in cui il migrante “è impegnato a compiere i passi necessari all’inclusione sociale, quali l’apprendimento della lingua nazionale e il proprio adeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione esasperata” (n. 1).

Secondo il Pontefice, per le parti coinvolte in questo processo “è necessario cercare un giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui”. Escludendo sia i modelli assimilazionisti, sia quelli di marginalizzazione degli immigrati, “la via da percorrere – sosteneva Giovanni Paolo II – è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni” (n. 2).

“Una semplice giustapposizione di gruppi di migranti e di autoctoni tende alla reciproca chiusura delle culture, oppure all’instaurazione tra esse di semplici relazioni di esteriorità o di tolleranza”, avvertiva Karol Wojtyla (n. 3). “Si dovrebbe invece promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro,
in un contesto di autentica comprensione e benevolenza”.

Un percorso forse non facile, ma fattibile. Durante un incontro con i giornalisti sul volo per la Turchia, Papa Benedetto XVI ha ricordato il 28 novembre 2006 che “alla culla della Turchia moderna sta il dialogo con la ragione europea e con il suo pensiero, il suo modo di vivere, per essere realizzato in modo nuovo in un contesto storico e religioso diverso. Quindi il dialogo tra la ragione europea e la tradizione musulmana turca è iscritto proprio nella esistenza della Turchia moderna e in questo senso abbiamo una responsabilità reciproca, gli uni per gli altri”.

Un anno prima – il 20 agosto 2005 -, il successore di Giovanni Paolo II aveva già sfiorato il tema nel suo incontro con i capi musulmani a margine della Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. “Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”, disse Papa Ratzinger nella città renana nella quale Erdogan avrebbe pronunciato poi nel 2008 il suo primo polemico discorso.

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ZENIT Staff

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