“La luce non ha valore solo perché brilla nelle tenebre”

Omelia del Card. Bagnasco nella cattedrale di San Ciriaco ad Ancona

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ANCONA, sabato, 29 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata il 27 gennaio dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale italiana, nella cattedrale di San Ciriaco ad Ancona, nell’ultimo giorno del Consiglio permanente dei Vescovi.

 


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Cari Confratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore

Tutto parte dall’Eucaristia e tutto vi ritorna: i giorni di lavoro del nostro Consiglio Permanente trovano in questa Celebrazione il punto più alto. Ogni nostra parola, infatti, come ogni decisione e speranza, qui trovano sintesi ed efficacia, perché maturate nel clima della fede, nella fraternità episcopale, nella comunione con il Santo Padre, nel desiderio e nel dovere di servire le nostre Chiese e il Paese. Abbiamo la grazia di concludere il nostro lavoro in questa splendida cattedrale, e vogliamo ringraziare il Pastore di questa Arcidiocesi, S. E. mons. E. Menichelli per la fraterna ospitalità e per l’intensa preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale. Insieme a lui, rivolgiamo il nostro grato saluto ai suoi collaboratori e ai Delegati qui giunti da molte Diocesi italiane.

In quanto Pastori, siamo richiesti di mantenere la professione della nostra speranza senza vacillare, come raccomanda la Lettera agli Ebrei. E noi questo lo facciamo con l’aiuto della grazia che mai tradisce, guardando al Ministero di Pietro, e stimolandoci a vicenda nella carità evangelica, sorgente di ogni bene. Siamo così sollecitati a rispondere all’attesa non solo della comunità cattolica, ma anche dell’intera società che esige da noi – nonostante limiti e debolezze – le parole che echeggiano quelle del Signore, che sono testimoniate da duemila anni di storia cristiana, che sono bagnate dal sangue dei martiri di ieri e di oggi. La divina Eucaristia, cuore della vita e della missione della Chiesa, invera il nostro dire e feconda la nostra ansia pastorale, introduce le nostre umili persone nella Liturgia del Cielo: tutto purifica e restituisce come gesto d’amore.

Ma sopra le nostre parole, risuona la Parola, il Verbo di Dio fatto carne. Egli è il Maestro e il Pastore grande delle anime, e noi siamo consapevoli – per diuturna esperienza – che solo nella assiduità alla sua scuola, come discepoli docili e amorosi, potremo essere a nostra volta eco del supremo Maestro, potremo essere voce della Parola che salva. Per questo sentiamo gli insegnamenti che il Vangelo rivolge a noi oggi con particolare vigore e con specialissimo affetto.

1. “Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O non piuttosto per metterla sul lucerniere?”. Ci accorgiamo che l’immagine parla di noi e disegna il nostro ministero. Al riguardo, ci viene in aiuto San Tommaso quando ricorda che la luce non ha valore solo perché brilla nelle tenebre, ma soprattutto perché illumina. Se per un verso siamo chiamati ad essere luminosi e a risplendere, per l’altro siamo richiamati e sospinti perché la luce del nostro sacerdozio sia a servizio del mondo, si ponga in relazione con i molti ambiti della vita, e illumini circa le perenni questioni: il mistero del dolore e della morte, il senso del nostro esistere, il destino di ciascuno, la meta di questo straordinario e drammatico universo, il bene e il male morale. Tutto ciò fa parte dell’enigma di fondo – come ricorda il Concilio Vaticano II – quello che ogni uomo è per se stesso, enigma che può anche essere rimosso dalla coscienza personale e collettiva, ma che prima o poi ritorna incomprimibile con tutta la sua implacabile forza.

Ed è qui, nelle pieghe profonde di questo mondo interiore che si vorrebbe esorcizzare da parte di una cultura nichilista ridente e triste, che il Maestro ci ha inviato come i suoi primi Apostoli, per portare la luce della redenzione e della speranza. E noi ci siamo messi in cammino, sorpresi e grati fino alle lacrime per questa elezione frutto della sola liberalità di Dio; ci siamo incamminati sapendo che la luce deposta nelle nostre fragili mani non potevamo tenerla nascosta, ma dovevamo viverne per esserne lucerna benefica. Cari Amici, sappiamo che per essere lucerna della Luce dobbiamo stare accanto alla Luce, lasciarla entrare in noi perché invada la nostra anima anche se dovessimo sentirne dolore, e così, illuminati, illuminare. Siamo sospinti ad intensificare la nostra vita spirituale, e quanto più le responsabilità e i compiti pastorali ci inseguono, tanto più sentiamo il bisogno di dimorare nella luce perché la luce, che è Cristo, ci abiti e ci custodisca. In questa imprescindibile missione, siamo anche incoraggiati a non avere paura, paura delle possibili incomprensioni, delle critiche: ce lo testimonia nel suo Magistero e nella guida pastorale il Papa Benedetto XVI, che segue con puntualità e affetto grandi la Chiesa che è in Italia, noi Vescovi, i sacerdoti, le nostre Comunità. Sì, ci insegna l’umiltà del tratto, la chiarezza disarmata della verità, la sapienza lucida del dialogo, la prudenza ardita dei gesti, la libertà di fronte al mondo, il coraggio che deriva dal sapersi nelle mani di Dio.

2. Ma c’è una seconda parola che vorremmo brevemente richiamare: “Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi”. Forse il ministero della verità che illumina viene ridimensionato con queste parole? Forse dobbiamo commisurare la verità evangelica sul piccolo metro delle nostre forze o delle nostre personali coerenze? Sappiamo che non è questo lo scopo del Maestro: si tratta, infatti, di restare fedeli alla Luce, alla Verità tutta intera, con le sue altezze esigenti e affascinanti, con i suoi richiami inderogabili, ma senza mai scoraggiare o, peggio, condannare l’uomo, rinchiudendolo nelle sue prigioni interiori, privandolo del futuro. Come sacerdoti che hanno la grazia di essere ministri della riconciliazione, sappiamo che le anime desiderano avere indicate le mete sublimi e senza sconti della vita cristiana, riconoscere i propri peccati, rinnovare il cammino della conversione; ma nel contempo sono, come tutti, mendicanti di misericordia e di fiducia, chiedono di essere rassicurate circa la forza della grazia, la fedeltà di Dio, l’amore di Cristo, la maternità della Chiesa.

3. Vi è, infine, una terza parola che forse suona un po’ misteriosa e che sempre sollecita la nostra meditazione: “A chi ha sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Come ben sappiamo, non basta avere i talenti e i doni dello Spirito, è necessario coltivarli. Come tutte le cose vive, non è sufficiente che ci siano, bisogna curarle. Così è per l’amore, così per la fede, così per ogni dono di grazia. In questa logica, trascurare significa perdere. E la tentazione di trascurare è alla portata di tutti. Il Santo Padre non manca di esortare tutta la Chiesa ad un’opera di rinnovamento del cuore e della vita, come il fondamento e la condizione di ogni vera riforma: ce lo insegnano nella storia innumerevoli Santi, basta pensare a san Francesco, santa Caterina, santa Teresa d’Avila…E noi, Pastori della Chiesa, siamo chiamati ad essere davanti alle nostre comunità per dare l’esempio e segnare la strada dietro a Benedetto XVI. Sì, dobbiamo tutti lottare contro l’abitudine che scolora la vita, indebolisce la ferialità del bene, rende opaca la fede, smorza la vibrazione dell’anima davanti al mistero eucaristico. Potremmo dire, che l’abitudine stanca e annoiata conduce in una nebbia indistinta che fa perdere quei doni di grazia di cui Dio riveste le anime. Dobbiamo ogni giorno rinfocolare il “si” a Colui che ci ha scelti per misericordia e rivestiti del suo sacerdozio.

Cari Amici, chiediamo al Signore Gesù, in questo giorno dedicato alla ‘memoria’ dell’Olocausto, la grazia di essere Pastori luminosi per il nostro popolo, e di indicare a tutti, sostenuti dalla Santa Vergine, la luce calda di Gesù Eucaristia
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ZENIT Staff

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