Beati voi, perché Io sono con voi

IV Domenica del Tempo Ordinario, 30 gennaio 2011

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 28 gennaio 2011 (ZENIT.org).- “Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”(Mt 5, 1-12a).

Attraverso le beatitudini Matteo annuncia l’esistenza futura,..”: provo un certo disagio nel leggere queste parole in un commento teologico alle Beatitudini, perché sento che nel mio rapporto con Dio non posso e non devo accontentarmi del “non ancora”. E’ vero che Gesù usa qui i verbi al futuro: “saranno… avranno… troveranno… vedranno”, ma la prima e l’ultima beatitudine, poste in una inclusione comprensiva delle altre, riguardano il presente: “perché di essi è il regno dei cieli(Mt 5,3.10).

Dunque il “già” racchiude il “non ancora”, lo realizza nonostante le sofferenze del presente, di quel presente che è la mia vita oggi.

Ciò significa che la predizione delle prove che attendono il credente: “vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi..” (pensiamo alle drammatiche persecuzioni contro i cristiani dei nostri giorni), è riferibile anche a quelle prove, amarezze e fatiche che costituiscono il duro pane quotidiano per molti, quel pane che ognuno si augura di non dover mangiare mai o non mangiare più.

Ma Gesù spazza via il timore naturale di tale prospettiva dolorosa, alla quale comanda anzi di guardare con gioia anticipata, caparra di un’esultanza paradossale che sarà sperimentata ad una sola condizione: che le sofferenze siano sopportate “per causa mia”(Mt 5,11).

Come intendere la precisazione: “per causa mia”?

Il primo significato è “per il nome di Gesù”, come sta testimoniando Asia Bibi in Pakistan. Gesù è “causa” in quanto l’odio alla sua persona è la ragione per la quale il cristiano rischia o subisce il martirio.

Inoltre, con “causa” si può intendere anche lo scopo per cui si soffre, donde il valore soggettivo attribuito alla sofferenza. E’ l’intenzione che il cuore assegna al proprio dolore, accolto in spirito di fede, o al sacrificio volontariamente offerto per impetrare una grazia o in vista di frutti sperati. In tal senso la sofferenza, specialmente quella innocente, diventa preziosissima risorsa per la Redenzione. Sta in questo il significato profondo delle parole che il Signore rivolge ai discepoli poco prima di morire: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove” (Lc 22,28).

In verità, in Cristo crocifisso e risorto, capo del Corpo mistico della Chiesa, ogni sofferenza di un membro a Lui unito è al servizio della Redenzione del mondo intero. E’ questa le legge sapientissima della Croce: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo, patì, morì e fu risuscitato, perché la divina sapienza ordinò, e la divina volontà volle, che i mali del genere umano fossero tolti, non mediante un atto di potenza, ma secondo quella giusta e misteriosa legge della croce, grazie alla quale quegli stessi mali sono trasformati in un grandissimo bene” (B. Lonergan, De Verbo Incarnato, 552; in Civiltà Cattolica n. 3852, Il mistero della Redenzione).

Torniamo alle Beatitudini. L’affermazione che “i poveri..quelli che sono nel pianto..i miti..quelli che hanno fame e sete di giustizia..i perseguitati..” possono realmente sperimentare la gioia di vivere, è assolutamente vera, altrimenti Gesù non lo avrebbe detto. Lo è per questa ragione: “perché di essi è il Regno dei cieli”.

In altre parole, costoro possiedono Dio nel loro cuore, e Dio è infinita beatitudine, fonte traboccante di Vita, somma felicità, gioia e dolcezza senza fine. Perciò, anche se la sensibilità naturale dovesse assaporare l’aceto amaro del dolore, l’anima unita a Dio può gustare un sapore divino, nuovo, dolce, stabile e duraturo come la luce del sole, il “sapore” del cuore di Cristo.

Quando la donna samaritana (figura di ogni anima desolata e sola), assetata d’amore vero incontrò Gesù al pozzo dove si era recata per attingere acqua, si sentì promettere: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per (dare) la vita eterna” (Gv 4,13-14).

La presenza stessa di Gesù nell’anima amica è quest’acqua viva, zampillante, cioè “arricchita” di gioia come un bambino che saltella felice per l’arrivo della mamma.

Questa Presenza, già data nel Battesimo e rinnovata nell’Eucaristia, va tuttavia esercitata, e tale esercizio è la preghiera solitaria, prolungata, raccolta, assetata del volto di Cristo, salda nella fede, fedele nell’amore, fervente nel desiderio, perseverante ad ogni costo, totalmente immersa nella volontà di Dio.

Allora, come vero che il bambino nel grembo trasforma in pienezza, bellezza e gioia la persona della madre, così e molto di più, la Vita di Gesù, gioiosa come fontana zampillante, opera effetti divini: dona luce alla mente per il discernimento della verità; da’ forza alla volontà per obbedire alla coscienza; abolisce la tentazione dei sensi; alimenta la carità; moltiplica l’energia del corpo; vince il turbamento emotivo, pacifica i sentimenti, trasforma le macerie dell’infelicità in edificio di gioia…In una parola rende beata la vita..: “perché Tu sei con me” (Salmo 23/22,4).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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