Mons. Pelvi: “la pace esige il lavoro più eroico”

Durante la Messa in suffragio del caporalmaggiore Luca Sanna

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ROMA, venerdì, 21 gennaio 2011 (ZENIT.org).- “La pace esige il lavoro più eroico”. E’ quanto ha detto questo venerdì mons. Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, in occasione della messa a Roma in suffragio del caporalmaggiore Luca Sanna, il militare di 33 anni ucciso in Afghanistan il 18 gennaio scorso. 

Avvolto in una grande bandiera tricolore e trasportato dai commilitoni il feretro di Luca Sanna ha fatto ingresso nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri per i funerali, accolto da un lungo applauso e dal picchetto d’onore.

Numerose le personalità presenti alla cerimonia, tra cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i ministri Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi, il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, il Presidente della Regione Lazio Renata Polverini.

L’attacco costato la vita all’alpino (sono finora 36 i militari e gli agenti italiani uccisi in Afghanistan) e in cui un suo commilitone è rimasto ferito in modo grave si è verificato nell’avamposto di Bala Murghab nella provincia di Badghis. L’attentatore vestiva la divisa dell’esercito afghano.

“Il nostro Luca in Afghanistan intendeva essere una presenza amica – ha detto mons. Pelvi –, desiderosa di favorire uno scambio di doni tra persone semplici, umiliate e minacciate in un conflitto in cui nessuno chiede il loro parere, salvo imporre loro di soffrire e pagarne le atroci conseguenze”.

“Luca aveva compreso che non si vince solo con le armi e non si vince importando determinati modelli culturali e politici. Era un alpino sempre sorridente che sentiva compiersi misteriosamente in se stesso quell’invito appassionato: volere e fare del bene”.

“La sua morte violenta potrebbe portare a concludere che s’illudeva – ha affermato poi –. Ma egli una simile fine l’aveva messa nel conto, perché uomo a cui il coraggio non mancava; un soldato che affrontava giorno dopo giorno il rischio della vita, lasciandosi invadere dalla benevolenza per i popoli martoriati”.

“Nessuno dei nostri militari vuole fare l’eroe. Tutti vogliono tornare a casa dalle loro famiglie e dai loro amici. Ma tutti non esistano a porre a rischio il proprio futuro, sapendo che possono dare la vita o rimanere segnati. Questo è il vero eroismo quotidiano della famiglia militare”.

“Certo, il nostro Luca, non poteva immaginare che chi aveva simulato una scelta simile alla sua, arruolandosi nell’esercito afgano, avrebbe potuto tradirlo, colpendolo a morte, frantumando il suo desiderio di amicizia tra i popoli. A Luca non è stata rubata la vita, perché egli l’aveva già donata”.

“E anche noi non ci faremo rubare la speranza – ha sottolineato mons. Pelvi –, non ci strapperanno l’amore per i più deboli e la fiducia nel popolo afghano, nonostante questa ennesima ferita. E’ l’Amore che genera la speranza, che ci è stata consegnata dall’Innocente tradito”.

“Il coraggio di Luca – ha continuato – ha la sua radice nell’unione con Gesù Cristo, nella forza che viene da lui, in maniera tanto misteriosa quanto vera e concreta. Di un coraggio analogo ha bisogno ciascuno di noi, se vuole affrontare il cammino della vita; un coraggio non per colpire e uccidere, ma per accogliere e costruire la comprensione, il dialogo e la pace là dove troppo spesso regnano l’intolleranza, il disprezzo e l’odio”.

“Chi è più caritatevole del soldato che giura di morire per il bene dell’altro? L’amore per l’uomo debole e bisognoso ha chiamato Luca in un deserto. Terra inutile da coltivare perché sterile di futuro? Ma Luca amava quella terra e aspettava l’aurora di un nuovo giorno, anche se non conosceva i tempi del germoglio”.

“Bisogna avere sensibilità e dedizione per l’umanità che soffre fisicamente, socialmente, moralmente – ha osservato l’Ordinario militare per l’Italia –. Sogniamo, forse, quando parliamo di civiltà della pace? No, non sogniamo. Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri”.

Mons. Pelvi ha quindi avvertito che “il dovere di costruire la pace non deve essere confuso con una specie d’inerzia quietistica che è indifferente all’ingiustizia, accetta ogni tipo di disordine, scende a compromessi con l’errore e con il male e cede a ogni pressione per mantenere ‘la pace a qualsiasi prezzo’”.

“Il cristiano sa bene, o dovrebbe sapere bene, che la pace non è possibile in termini simili. La pace esige il lavoro più eroico e il sacrificio più difficile – ha infine concluso –. Esige un eroismo più grande della violenza. Esige una maggiore fedeltà alla verità e una purezza di coscienza molto più perfetta”.

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ZENIT Staff

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