ROMA, lunedì, 10 gennaio 2011 (ZENIT.org).- L’Africa è stata spesso definita il continente dimenticato. Tuttavia, con le visite dei Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’Africa si è rivelata ai fedeli come una delle popolazioni cattoliche in maggior crescita al mondo.
Per la Società delle Missioni Africane, l’Africa è tutt’altro che dimenticata. Questa organizzazione ha infatti lavorato in Africa per più di 150 anni.
Per conoscere questi missionari e il loro lavoro in Africa, il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, ha parlato il vescovo Kieran O’Reilly.
Monsignor O’Reilly è stato ordinato Vescovo di Killaloe, in Irlanda, lo scorso Agosto. Prima è stato per quasi 10 anni il superiore generale della Società delle Missioni Africane.
L’Africa ha visto un’esplosione del Cattolicesimo, dai 1,2 milioni di fedeli del 1900 ai più di 140 milioni di oggi. A cosa attribuisce questa esplosione di fede in Africa?
Monsignor O’Reilly: Come direbbero molti dei miei amici vescovi in africa, “È anzitutto una benedizione di Dio ed è una grande grazia”. Ed è così, a giudicare dal numero dei battesimi, di adulti e bambini, e dal numero delle persone che si avvicina ai sacramenti.
Ma penso che la realtà principale dell’Africa è che, sin dalla sua indipendenza di 45 o 50 anni fa, abbiamo assistito ad un’enorme crescita della realtà urbana in Africa. Con la crescita delle città, molte persone hanno abbandonato le zone rurali e si sono ritrovate nelle città, a cui sono in gran parte alieni, finché non si integrano nelle comunità che ritrovano. Molto spesso queste comunità sono associate alle Chiese e quindi la gente che abbandona le zone rurali approda immediatamente nella vita della Chiesa delle zone urbane.
Non è probabile che la cerchino, essendo una realtà a loro familiare in questo nuovo ambiente a cui sono estranei?
Monsignor O’Reilly: Sì, ma in Africa esiste anche un forte legame tra i villaggi e la gente che dai villaggi si è già stabilita nelle città. Quindi si riesce ad entrare in contatto immediatamente. Ci si trasferisce geograficamente, ma ci si ritrova con la gente della propria zona e della propria estrazione.
Il lavoro missionario è cambiato a causa dell’urbanizzazione?
Monsignor O’Reilly: Per quanto riguarda noi, il nostro istituto missionario, poiché una delle nostre missioni principali è l’evangelizzazione, sì, è cambiato. Ed è in continua evoluzione a causa della realtà numerica delle persone con cui abbiamo a che fare. Per quanto riguarda i numeri, essi corrispondono all’enorme crescita demografica dell’Africa subsahariana negli ultimi 30 anni, che è ancora in corso. Molti fattori, come la sanità e l’acqua pulita, hanno contribuito a questa crescita. La realtà dell’espansione della Chiesa è strettamente legata alla realtà della crescita africana.
Infatti è noto che il 90% della popolazione ha meno di 24 anni. Anche questa è una sfida per la Chiesa. Come affrontate la pastorale dei giovani adesso?
Monsignor O’Reilly: È una sfida enorme. Una delle cose che mi ha colpito quando ho visitato le grandi città come Kinshasa, Lagos, Abidjan, Nairobi, o qualunque città in Africa, è l’enorme quantità di giovani – soprattutto quelli della scuola secondaria – e poi il numero delle persone che hanno un titolo di studio universitario e che si trovano senza lavoro. Si vede un gran movimento ogni giorno. Basta andare a Lagos per vedere il numero delle persone e la difficoltà persino dello Stato di fornire i fondamentali servizi per una popolazione che sta crescendo così rapidamente.
Le infrastrutture necessarie sono enormi. Quindi per noi come Chiesa, quando ci siamo mossi, una delle cose principali che abbiamo fatto è stata quella di creare delle scuole. Abbiamo costruito le chiese e subito dopo le scuole, o come spesso accade nelle prime missioni: la chiesa era la scuola. Ma ora con il numero dei bambini che devono andare a scuola, la Chiesa non è più in grado di farvi fronte da sola e spesso lo Stato non ha le risorse necessarie. Così dobbiamo contribuire, soprattutto perché l’educazione è la speranza.
Qual è la soluzione?
Monsignor O’Reilly: La soluzione è di non perdere la speranza. La soluzione è di continuare a lavorare con la Chiesa locale, lavorare con i gruppi locali, a cercare l’aiuto di organizzazioni come Aiuto alla Chiesa che soffre e di persone generose all’estero. La gente potrebbe dire: “siamo stanchi di dare”. No, non si è mai stanchi di dare; è per i bambini, per il loro futuro, è per la speranza. Non si è mai stanchi di questo. La sfida è enorme perché la popolazione continua a crescere.
Nell’anno 2050 si dice che tre Paesi africani saranno tra i 10 Paesi cattolici più grandi al mondo: Uganda, Congo e Nigeria. Il futuro del Cattolicesimo è in Africa?
Monsignor O’Reilly: Questa è una domanda difficile. Direi che gran parte del futuro del Cattolicesimo è legato all’Africa, ma non tutto, e di conseguenza credo che ci debba essere molta più consapevolezza della realtà africana nella nostra Chiesa. Non è molto lontana da Roma. É solo sull’altra sponda del Mediterraneo, ma talvolta può essere molto distante. Quindi è la realtà demografica da cui dipende il futuro. Quindi credo che ad ogni livello nella Chiesa ci deve essere una vera consapevolezza di questo e una programmazione attenta in funzione di questa realtà.
Qual è la forza della fede africana?
Monsignor O’Reilly: Credo che la forza della fede africana venga dalle stesse persone, dal modo in cui si pongono rispetto all’esistenza di Dio, alla realtà di Gesù Cristo nella loro vita e dal modo in cui il Cristianesimo riesce ad inserirsi in un contesto ricco di una cultura dell’aiuto reciproco. C’è un grande senso del “ciò che è nostro appartiene a tutti noi”. C’è un grande senso di condivisione, mentre forse in altre culture siamo più incentrati su noi stessi. Questo si vede soprattutto a tavola. Il cibo c’è sempre, c’è sempre del riso da poter aggiungere. Ce ne sarà per tutti. Nessuno muore di fame. C’è questo senso, diciamo, dell’essenza dell’ospitalità e apertura cristiana. È molto bello, quando si gira l’Africa, lo si ritrova sempre.
Qual è la debolezza della fede cattolica in Africa?
Monsignor O’Reilly: Penso che una debolezza sia il fatto di non aver affrontato il prima possibile alcune realtà del contesto.
Per esempio?
Monsignor O’Reilly: Uno dei fenomeni che sarà sempre un ostacolo è quello della corruzione. La corruzione nella società è una malattia terribile e provoca grandi danni allo sforzo costruttivo. Brave persone, ben qualificate, non riescono a trovare lavoro perché non pagano il pizzo. L’intera struttura del potere può essere incentrata in questo modo sulla corruzione e sulle tangenti. La Chiesa ci sta provando, ma è molto difficile perché è un male talmente radicato nelle culture e bisogna dire che spesso è dovuto alla leadership e agli stranieri che sono venuti per approfittare di qualsiasi cosa, tra cui l’estrazione delle risorse naturali. Per poter ottenere le condizioni migliori, non hanno esitato a pagare e se non ci sono controlli e contrappesi nel Paese, tutto crolla.
Abbiamo parlato finora della crescita del Cattolicesimo, ma esiste anche una crescita dell’Islam. Un africano su tre si considera musulmano. Che sfida comporta questo per la Chiesa cattolica in Africa?
Monsignor O’Reilly: La sfida più importante che pone è quella di riuscire a lavorare con i nostri fratelli e sorelle che vivono nel caseggiato vicino. La nostra chiesa si erge vicino a una moschea. Lavorano sullo stesso campo. Si spostano con gli stessi autobus. Quindi una delle cose più important
i è il rispetto reciproco. Questo rispetto deve essere sviluppato e accompagnato dalla comprensione dei valori di ciascuno e quando questo avviene si inizia a scoprire che i valori sono comuni, che esiste una comune ricerca per le cose giuste.
Il rischio è sempre – e lo è stato in Africa con queste due grandi religioni – l’estremismo: elementi estremisti che cercano di sfruttare le religioni per fini politici, sociali o economici; che cercano di destabilizzare una regione, un governo o un ministero. Ma io credo che una delle cose più importanti che è avvenuta negli ultimi 30 anni, è il grado di avanzamento nel processo di avvicinamento e di come abbiamo lavorato tra di noi ai diversi livelli del governo. Io so che in Nigeria, con i recenti disordini a Bauchi, il capo della Chiesa cattolica e l’imam, si sono riuniti immediatamente per parlare di ciò che è avvenuto e per trovare soluzioni. Quindi esiste certamente un gran movimento per una migliore comprensione e un maggiore rispetto delle posizioni reciproche e un’attenzione verso i rispettivi stili di vita e per lavorare insieme.
Anche Papa Benedetto ha invocato fortemente questo dialogo con l’Islam, come la soluzione ai numerosi conflitti che sembrano dilagare?
Monsignor O’Reilly: Effettivamente. Purtroppo molti di questi conflitti sono “strumentalizzati”, come si dice in italiano, a vantaggio di qualche politico o di qualche persona, e allora il lavoro buono che era stato fatto, viene disfatto rapidamente e bisogna iniziare a costruire di nuovo. Noi stiamo cercando di costruire una società più giusta e i valori dell’Islam a tale riguardo coincidono con i nostri, e quindi lavoriamo insieme per questo.
Sia il Cristianesimo che l’Islam hanno incorporato molte credenze africane tradizionali. Si parla in questo caso di sincretismo? È in atto anche una rinascita delle credenze africane tradizionali. Come vede questa questione?
Monsignor O’Reilly: È molto interessante. Esiste una rinascita che è possibile legare al Brasile e ai diversi culti ch lì si sono sviluppati. È anche legato, penso, ai mass media. Esiste un enorme mercato di racconti e rappresentazioni in cui la stregoneria è preponderante. Questi sono oggi diffusamente distribuiti in Africa. Li trovo ovunque. Quindi è veramente una grande sfida. Per certi versi può alimentarsi della grande povertà e della disoccupazione. Anche le persone migliori, per aiutare i propri figli, possono rivolgersi a chiunque. Andrebbero ovunque per guarire un figlio; chi non lo farebbe?
Quindi la risposta, di nuovo, deve essere l’educazione e una corretta comprensione di ciò che la Chiesa cattolica sta facendo. È qualcosa di cui siamo consapevoli: un’attenta formazione dei nostri ministri, religiosi e laici, su tali questioni. Una situazione che non ci deve far tornare indietro ai tempi in cui regnava la paura e in cui queste forze esercitavano un potere spropositato sulla vita delle persone. Non deve essere così. Anche se il rischio è sempre presente nelle società in cui domina la povertà, la miseria e la disoccupazione.
Nel documento “Ecclesiae in Africa”, Papa Giovanni Paolo II afferma che è giunta l’ora dell’Africa. Anche lei crede sia cosi?
Monsignor O’Reilly: Sì, per certi aspetti. All’interno della Chiesa, certamente è giunta l’ora, se si prendono le statistiche e la realtà di come tali dati sono destinati a crescere nei prossimi 10, 20 e 30 anni. L’africa, purtroppo, per come è fatto il mondo economico, viene emarginata sempre di più e sfruttata solo per le sue risorse, come possiamo vedere dalle grandi potenze che stanno facendo così. Ma rispetto alla Chiesa, direi che il suo momento è arrivato, e credo che Papa Giovanni Paolo II aveva capito che in futuro sarà un continente sempre più centrale; forse non dominante, ma centrale per la vita e la missione della Chiesa.
Come cambierà, questo, la Chiesa universale?
Monsignor O’Reilly: La cambierà per il meglio spero, perché la ricchezza di tutte le nostre Chiese, in qualsiasi posto si trovino, è la ricchezza di uomini come Paolo che possono prendere il contesto greco, semi-ebraico, portarlo a Roma e mettere il Vangelo in tutto questo. Quindi se possiamo inculturare pienamente il Vangelo in Africa, l’Africa restituirà una ricchezza che non possiamo immaginare per la Chiesa universale. E se possiamo vedere il volto di Cristo nelle loro culture, allora avremo la ricchezza che lo Spirito vuole per noi.
Cosa le ha dato l’Africa?
Monsignor O’Reilly: Mi ha dato quella netta sensazione della presenza dello spirito nelle comunità. Sono le comunità che mi hanno dato maggiore ispirazione e senso di umiltà. Come la gente si serve reciprocamente senza badare ai costi. Sono persone che si danno con grande generosità anche a servizio della Chiesa. Sono straordinari. Amano la Chiesa.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org