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Sacro Cuore di Maria Santissima Carissimi Fratelli e Sorelle,
i Vescovi italiani hanno scelto, come impegno pastorale per il decennio, l'educazione. Mi sono chiesto come potervene parlare brevemente per richiamare l'attenzione di tutti – laici, consacrati, sacerdoti – a quella che appare una sfida urgente e difficile dato il disorientamento in cui si vive.
In effetti, sembra di rivivere l'esperienza della torre di Babele di cui racconta la Bibbia: tutti parlavano e nessuno capiva. Risultato: incertezza e turbamento, un senso pesante di solitudine e di angoscia.
Non basta, infatti, sentire tante parole: è necessario che esse comunichino qualcosa di vero e di grande, che permettano di entrare in rapporto, di intrecciare le vite. Altrimenti è confusione, smarrimento, isolamento.
L'educare
Riflettendo sul senso dell'educare, mi sono visto io per primo sempre bisognoso di educazione; sì, per il semplice motivo che ogni giorno mi viene incontro la vita con la sua carica di novità e sfide, di luci e ombre. Essa chiede a qualunque età di essere guardata, compresa, accolta con responsabilità. Educare vuol dire aprire alla vita: vuol dire incontrarla e dialogare con lei.
Ogni giorno, infatti, devo incontrare la vita, devo mettermi in dialogo con essa e accoglierla così come mi si presenta, senza evasioni, illusioni o pretese da parte mia. Accoglierla significa, in dialogo con lei, portare qualcosa di mio, corrisponderle, così da far diventare le giornate e gli eventi non un peso che mi capita addosso e che devo subire passivamente, ma qualcosa di personale, che faccio mio, che abbraccio e che mi appartiene: la mia storia.
È questa la maturità umana che anche la fede cristiana ci chiede. Ed è questa serietà che porta la gioia e, comun¬que, serenità e pace. In sintesi, educare è trasformare la vita, che ci è stata data senza nostra richiesta, in un dono, frutto della nostra libertà.
L'educatore
Se ogni età chiede lo scalpello o il cesello educativo, è anche vero che le generazioni più adulte hanno maggiore responsabilità verso i più giovani. Nessuno è mai "arrivato", ma gli adulti devono avere qualcosa da dire a chi si trova all'inizio della parabola: qualcosa da dire con le parole e da testimoniare con i fatti.
Tenendo presente una verità: se l'educazione è aprire alla vita – dialogare con essa e portarla con responsabilità – è chiaro che, nella misura in cui accompagno un altro, sono chiamato in causa io stesso, chiamato in gioco da coloro che ho il dovere di educare.
La luce si accende solo con la luce, la vita solo con la vita, la libertà solo con la libertà. Se non sono io per primo un uomo luminoso, libero e vivo interiormente, non potrò accendere nulla e nessuno.
Se io, anziano, ho rispettato e arricchito i miei anni, devo poter essere un riferimento educativo per i più giovani, altrimenti faccio della demagogia e mi defilo – "siamo tutti in ricerca", "non ho nulla da insegnarti" – oppure recito. Comunque, avrei perso anni che non torneranno più.
Gesù e gli Apostoli
Il riferimento, come sempre, è Cristo. Dio, nell'Antico Testamento, educa il suo popolo attraverso una pedagogia adatta alla situazione: a volte in modo paziente e misericordioso, altre volte esigente e severo. Il Signore Gesù poi, all'inizio della sua missione, sceglie dodici uomini e li educa per farne degli Apostoli.
Erano uomini adulti, avvezzi ad una vita di sacrificio e di responsabilità: erano uomini formati. La vita li interpellava ogni giorno ed essi rispondevano alle sue chiamate: il lavoro, la famiglia, gli amici, la fede ebraica, la società di appartenenza, il villaggio...
Ogni giorno vivevano provocazioni che mettevano a prova, e insieme arricchivano, la loro maturità di uomini e di credenti. Ora Gesù si inserisce nella loro vita e l'avrebbe cambiata alla radice, ne avrebbe fatto dei testimoni: li avrebbero attesi accoglienza e insuccessi, gloria e tradimenti, lusinghe e persecuzioni.
Il divino Maestro voleva formarli, educarli ad incontrare la loro nuova vita. Come? Basta scorrere i Vangeli e vediamo che la sua scuola è fatta di parole e di silenzi, di gesti quotidiani e di miracoli, di rimproveri e di tenerezza, di esigenza e di pazienza, di fatica e di preghiera, di compagnia e di solitudine. Sempre di amore e fiducia in questi poveri uomini, semplici e quasi tutti incolti, che si sono trovati all'improvviso in una avventura più grande di loro.
Le parabole, i grandi discorsi sulla montagna o in riva al mare, i miracoli, la gloria di Gerusalemme e l'abiezione dolorosa del Calvario, l'intimità misteriosa del cenacolo, l'alba della risurrezione e il distacco fisico dell'ascensione al cielo, la Pentecoste... tutto era grazia di salvezza per il mondo e, per loro, anche cattedra che li educava ad un nuovo futuro.
Sarebbero così diventati capaci di affrontare la nuova esistenza, che ogni giorno li avrebbe incontrati e sfidati con situazioni inedite.
Gesù è il maestro perfetto, ma anche il modello pieno e affascinante da guardare per educare ed educarci: è l'unità di misura dell'umanesimo.
In Lui, vero Dio, scopriamo anche il volto dell'uomo vero e completo e, nello stesso tempo, troviamo la sorgente della forza e della grazia.
Ecco perché Cristo è l'esempio cui ispirarsi non solo per i credenti. Lo può essere per tutti: in Lui tutte le virtù umane sono presenti in forma eminente, risplende la piena e nobile umanità dell'uomo, quella umanità che la nostra epoca rischia di non saper più riconoscere.
La cultura del nulla
Purtroppo, non lo possiamo negare, la cultura contem¬poranea sembra non aver più nulla da dire né ai giovani né agli adulti, perché pare non credere al valore dell'uomo: la libertà è identificata col capriccio individuale, la felicità con il successo, il piacere e il denaro. La ragione – capacità di conoscere la verità delle cose e dei valori – è sfiduciata.
Il senso del limite e delle regole sembra un insulto alla dignità: l'individuo è il centro di se stesso.
La vita viene presentata come il mito dell'eterna giovinezza, fatta di trionfi e soddisfazioni, dove tutto è facile e spesso dovuto, dove la fatica e il sacrificio sono banditi, dove l'essenziale è apparire, essere visti e ammirati.
è l'affermazione del nulla: nulla di senso, nulla di valore, nulla di rapporti veri e costruttivi. È il nichilismo.
Ma la vita non è così e se non siamo educati alla vita reale – non a quella virtuale – saranno delusioni gravi e pericolose per i singoli e per la società intera.
La richiesta dei giovani
Il mondo giovanile, però, è più profondo e la bontà sempre più grande. Il Signore è fedele e lavora nei cuori suscitando la nostalgia e la ricerca del vero e del bene. Infatti i ragazzi e i giovani, che vivono un cammino di crescita serio e costante, sono molti: in ogni parroc¬chia, anche le più piccole, incontro gruppi che fanno dei percorsi educativi.
Tanti piccoli numeri fanno un gran numero! Inoltre, è diffusa la richiesta di una educazione seria, che introduca alla vita e che prepari ad affrontare le diverse età. I ragazzi e i giovani lo intuiscono per primi e lo chiedono, per lo meno l'attendono.
Durante la Visita Pastorale nella Diocesi, su invito visito anche gli Istituti scolastici di ogni ordine e grado, e gli incontri assumono il tono e lo stile di un dialogo franco e simpatico. Sempre chiedo quale sia lo scopo della scuola, e sempre la risposta – con parole diverse ma chiare – è: istruzione e educazione! Sotto al termine "educazione" vi è la consapevolezza che per vivere, per stare con gli altri, per assumere delle responsabilità, bisogna essere preparati. Non si può improvvisare!
La vita, in certi momenti, può chiedere di improvvisare, ma l'uomo, per improvvisare, non può essere improvvisato, deve essere pronto, formato.
Il tirocinio non finisce mai – in un certo senso tutta la vita è un tirocinio –; ma è fuori dubbio
che quanto più si è giovani tanto più si è sguarniti, impreparati, bisognosi di qualcuno che introduca, che accompagni con amore ad orientarsi nella realtà intera.
Nella realtà c'è anche il complesso e affascinante mondo di se stessi che richiede la capacità di valutarsi, di conoscere le proprie fragilità e risorse, reazioni e sentimenti, di acquisire un ordine interiore, di imparare la stima e la fiducia nella propria persona – oggi atteggiamenti così rari nonostante le apparenze! –, per imparare il giusto amore di sé.
I genitori
Ma a chi tocca questo compito di accompagnare le giovani generazioni? Alla società nel suo complesso, ma in primo luogo ai genitori. Sono loro i primi e fondamentali educatori dei figli: nessuno può sostituirsi a loro quando ci sono. La Chiesa e lo Stato devono farsi vicini e offrire ogni collaborazione possibile per questo grande e primario compito, ma non possono sostituirsi a questo diritto-dovere insito nella generazione.
Sono i genitori i primi maestri di umanità e, se credenti, di fede. Devono aiutare i figli a conoscere se stessi, insegnare a giudicare le cose e le situazioni nella loro verità e nel loro valore morale, e devono insegnare ad essere liberi.
Dura è la scuola della verità e della libertà, ma, se non si entra nella palestra dell'educazione, sarà durissima e triste la vita dei figli fatti giovani e adulti.
Saranno incapaci di incontrare la vita e di dialogare con lei per viverla e non subirla, per esserne protagonisti intelligenti e liberi, e non succubi delusi e scontenti perché non sarà quella immaginata.
In sintesi, bisogna educare i ragazzi – e noi con loro sempre – innanzitutto al gusto della verità cercata con metodo e sacrificio: nel mondo straordinario della verità c'è anche ciascuno di noi, come ognuno è.
È, questo, un sano realismo al quale iniziare le giovani generazioni, premessa per quel lavorio ascetico e spirituale senza il quale si darà sempre la colpa agli altri per inevitabili fatiche, prove e sconfitte.
La palestra della libertà
Così pure è necessaria la palestra della libertà: si nasce liberi, ma bisogna imparare ad essere liberi, altrimenti si pensa che la libertà sia fare tutto ciò che si vuole. La libertà, invece, è autodominio e responsabilità, è ri¬spondere delle proprie scelte; e rispondere significa che c'è qualcuno attorno a noi, che si è sempre insieme ad altri, che le scelte sono personali ma mai individualistiche e indifferenti in forza dei rapporti in cui si vivono.
La libertà di ognuno è dunque sempre in relazione con il mondo dove gli altri sono legati a noi e noi a loro; e tutti siamo in relazione ai valori morali, al bene e al male.
Recentemente, un ragazzo della media, dispiaciuto, confidava al suo parroco che in casa nessuno gli insegna a distinguere il bene dal male. Ecco la solitudine più grande nella quale spesso vivono e soffrono i nostri ragazzi, il disorientamento che la cultura diffusa del relativismo crea e che sforna comportamenti distorti e immorali, esibiti e, potremmo dire, imposti ai ragazzi e ai giovani. Ma non si tratta solamente di scoprire, gustare e scegliere i valori morali, ma anche di scoprire, proprio in famiglia, la bellezza dei legami.
Vivendo nella propria famiglia, il ragazzo deve imparare a rapportarsi con gli altri nel segno della fiducia e dell'amore, accettando la fatica e la bellezza del sacrificio. Deve rendersi conto che gli altri limitano la sua libertà di fare ciò che gli piace e quando ne ha voglia, ma che questo è un valore, un bene. Deve accorgersi che gli altri non sono soltanto un limite alla sua libertà, ma la condizione affinché possa vivere libero e felice.
La Chiesa è vicina
Cari Amici, sono solo alcuni spunti parziali. Dovremmo parlarne ben più ampiamente e affrontare anche l'educa¬zione alla fede, la scoperta di Cristo e della Chiesa. Come cristiani, sappiamo quanto l'incontro con Gesù sia per il bambino, il ragazzo, il giovane, motivo di fiducia, di forza, di riferimento per la costruzione di se stesso. I Santi ce ne danno testimonianza.
Lo scopo di questa mia Lettera è quello di attirare l'atten¬zione sulla grande e urgente sfida educativa. Il Documento dei Vescovi potrà essere lo strumento più opportuno per l'approfondimento personale, nei Vicariati o nelle vostre comunità. Vi prego di non mancare.
Tutti vogliamo il bene e la felicità dei nostri ragazzi, e fa tristezza quando li vediamo annoiati e scontenti mentre, invece, hanno dentro delle risorse di generosità e di dono straordinarie soltanto se intravedono ideali e opportunità. E questo dipende da noi adulti, dalla società nel suo insieme. A voi genitori voglio rinnovare tutta la mia stima per il grande e non facile compito verso i figli.
Vi assicuro la disponibilità della comunità cristiana: la Chiesa – con i suoi sacerdoti, diaconi, consacrati, catechisti, oratori e associazioni, movimenti e gruppi – ha una esperienza secolare che continuerà a porre al vostro servizio. Con umiltà e convinzione. Camminiamo insieme uniti e collaborativi: è in gioco il bene dei vostri figli, bene che non può essere sostituito con nessuna soddisfazione materiale. Essi desiderano sentire la nostra vicinanza, rispettosa ma certa; l'attendono anche quando esternamente la disdegnano. Desiderano non sentirsi soli davanti alla vita che a volte li spaventa: solitudine che spesso esorcizzano con forme di illusoria evasione.
Cercano un accompagnamento educativo che ha come scopo il fiorire della persona di ciascuno secondo il disegno di Dio e l'esempio di Cristo.
Il sogno del decennio
La scelta dei Vescovi italiani per il decennio è il segno di un'attenzione che nasce dalla paternità spirituale di cui siamo rivestiti per grazia. In questa sfida molti soggetti della società civile sono sinceramente interessati e disponibili secondo le rispettive responsabilità. Ad esempio, penso con stima e fiducia alla Scuola con il grande servizio dei Docenti.
Tutti siamo in ascolto della richiesta che giunge dal mondo giovanile: educare è doveroso ed è possibile! In questo decennio, dopo averne parlato nei vari Consigli Diocesani – Presbiterale, Pastorale, Consulta delle Aggregazioni laicali – faremo una serie di Convocazioni dei diversi soggetti educativi, a cominciare dagli adolescenti e dai giovani per arrivare ai genitori, docenti, catechisti, animatori associativi, operatori della comunicazione... Devono essere preparate con cura e con tempo debito. Per questo chiedo a tutti di corrispondere con entusiasmo alle indicazioni degli Organismi preposti. Credo molto in questa opportunità: la ritengo una grazia di Dio. Non vogliamo sprecarla per indifferenza, pigrizia o pessimismo. Tutti atteggiamenti antievangelici.
Ai nostri carissimi sacerdoti, sparsi nelle parrocchie, nelle associazioni, negli ambienti di lavoro, rinnovo la mia gratitudine e quella della Diocesi. Sono sempre in prima linea nonostante difficoltà e prove, a volte nonostante gli anni. Il Signore, Pastore dei Pastori, vi benedica e vi sostenga nella vostra vita personale e nel vostro ministero.
Grazie a tutti per aver letto pazientemente questa Lettera un poco più lunga delle altre. La Santa Vergine, grande Madre di Dio e nostra, vi protegga.
Con affetto vi benedice il vostro Vescovo
Angelo Card. Bagnasco