Quando la lite diventa sentenza di morte

Intervista all’avvocato che difende i cristiani in Pakistan

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ROMA, lunedì, 20 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Le cosiddette leggi antiblasfemia del Pakistan catturano regolarmente l’attenzione internazionale, come nel recente caso di Asia Bibi, una donna cristiana condannata a morte per presunte espressioni blasfeme verso Maometto. Queste leggi, tuttavia, sono qualcosa con cui i cristiani pakistani ormai convivono da più di 20 anni.

Diverse ONG nel mondo prestano il loro servizio di assistenza ai cristiani in Pakistan che sono vittime della normativa antiblasfemia o del generale clima di discriminazione.

L’American Center for Law and Justice è una di queste organizzazioni. Shaheryar Gill, avvocato pakistano, che ha studiato negli Stati Uniti e in Korea, è consigliere associato di questo Centro.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, Gill dà uno sguardo, da addetto ai lavori, alle leggi antiblasfemia e spiega i motivi di speranza per il Pakistan.

Ci può raccontare qualcosa di sé? Lei è nato e cresciuto in Pakistan?

Gill: Sì, sono nato in una famiglia cristiana in Pakistan, dove sono cresciuto. Sono andato in Corea per studiare diritto e poi negli Stati Uniti. Ora lavoro con l’American Center for Law and Justice, come consigliere associato in Virginia.

Come è approdato a questo tipo di lavoro?

Gill: Prima di studiare diritto, lavoravo in Pakistan per una organizzazione umanitaria, che forniva assistenza legale alle minoranze perseguitate in Pakistan, soprattutto ai cristiani. Durante questa attività ho visto molte persone in Pakistan perseguitate a causa della loro religione e discriminate per via della loro fede. Così ho iniziato ad interessarmi alle questioni legali ed ho deciso di iscrivermi a giurisprudenza.

Ci può dire che tipo di discriminazioni vedeva?

Gill: In Pakistan la gente è perseguitata per motivi religiosi. Molte persone sono bersagliate a causa delle note leggi antiblasfemia, promulgate nel 1986 dal dittatore militare, il generale Zia ul-Haq, e in base a queste leggi molte persone sono state perseguitate negli ultimi due decenni.

Cosa sono queste leggi antiblasfemia? Concretamente, di cosa stiamo parlando?

Gill: In sostanza, se dici qualcosa di spregiativo sull’Islam puoi essere processato. La parte più nota di queste leggi è la Sezione 295 C del Codice penale pakistano, secondo cui: chiunque, oralmente o per iscritto o mediante visibile rappresentazione, profana il sacro nome di Maometto, sarà punito con la morte. Altre sezioni del codice penale vietano la dissacrazione del Corano e dei luoghi religiosi, e vietano persino di pronunciare parole dispregiative su esponenti religiosi.

Lei dice che questo incide sia sui cristiani che sui musulmani. Ma come può incidere sui musulmani?

Gill: Non importa se si è cristiani o musulmani. Quando dici qualcosa di dispregiativo sull’Islam, chiunque lo sente può andare alla polizia e fare una denuncia di blasfemia. Ma queste leggi non sono usate solo per il loro scopo formale antiblasfemia, ma anche in caso di controversie personali tra due persone. Per esempio, se uno decide di voler dare una lezione a un altro, può andare dalla polizia e denunciarlo di blasfemia. Quindi queste leggi sono usate anche per interessi personali.

Ci può raccontare qualche esempio concreto su cui ha lavorato la sua ONG per aiutare persone che hanno avuto problemi con queste leggi sulla blasfemia?

Gill: C’era stato un attacco ad un villaggio a Kasur da parte di una folla di musulmani. Centinaia di musulmani hanno attaccato un villaggio cristiano di 135 famiglie. L’evento scatenante era stata un’accusa di blasfemia, conseguente a un litigio tra un cristiano e un musulmano.

Il cristiano stava guidando il suo trattore e ha visto una moto ferma in mezzo alla strada. Ha chiesto al motociclista di spostarsi per poter passare, ma quello gli ha risposto che un “chura” non poteva dire a lui cosa fare. Il termine “chura” indica in modo dispregiativo un cristiano. Subito dubito è scoppiata una lite. Alcune persone sono intervenute per fermarli e poi tutti sono tornati a casa.

Dopo qualche ora, una famiglia musulmana ha radunato altre persone e attaccato e percosso quella famiglia cristiana. Il giorno dopo, alla moschea, è stato annunciato che un cristiano aveva dissacrato il Corano. Allora si è radunata una folla che ha attaccato le 135 famiglie di quel villaggio. Tutto ciò solo per un futile litigio tra due persone.

Quindi può essere facilmente strumentalizzata?

Gill: Assolutamente sì. Può essere facilmente strumentalizzata. I musulmani in Pakistan sono intolleranti per qualsiasi blasfemia contro l’Islam. Bisogna anche ricordare, come ho detto prima, che questi incidenti possono anche non riguardare blasfemie vere, ma essere frutto di dispute personali. Quindi si dovrebbe sapere che occorrerebbe almeno investigare su ciò che effettivamente è successo e cercare di risolvere le liti personali in tribunale, anziché ricorrere alla legge antiblasfemia per motivi personali.

Lei ci ha ricordato che la parola “chura” è un termine dispregiativo per indicare i cristiani. Qual è, in generale, il rapporto tra cristiani e musulmani in Pakistan?

Gill: Generalmente viviamo bene insieme. Ai cristiani è consentito andare in chiesa e svolgere le funzioni religiose, ma quando si crea una disputa sulla religione o su motivi personali, è molto facile che si ricorra a quella legge. Tutto ciò che si deve fare è andare alla polizia e denunciare il fatto. Ora, se io che sono musulmano ho una discussione con te, non andrò alla polizia perché la pena potrebbe essere una mera sanzione pecuniaria. Ma se ti denuncio di blasfemia, posso rovinarti per tutta la vita. Le tue proprietà potrebbero essere vandalizzate. Potresti andare in prigione e rimanerci a vita.

Quale potrebbe essere la tipica pena in caso di blasfemia?

Gill: Esistono diverse pene, a seconda del tipo di violazione della sezione sulla blasfemia del codice penale. La sanzione più pesante è la pena capitale in caso si dica qualcosa di negativo sul Profeta islamico.

E’ stata mai messa in atto?

Gill: No, mai, ma qualcuno è stato anche condannato a morte. Originariamente si trattava di ergastolo; ora di morte. Nel 1991, la Corte federale per la Sharia, che è una corte islamica, ha detto che l’ergastolo non è una punizione appropriata, mentre solo la pena capitale è una punizione adeguata contro chi profana il nome del Profeta.

Abbiamo parlato delle leggi antiblasfemia. Che altre forme di discriminazione subiscono i cristiani in Pakistan?

Gill: Ho citato il termine “chura”. Ogni cristiano nella sua vita ha fatto l’esperienza di essere chiamato con quel termine dispregiativo da parte dei suoi vicini, amici o altri musulmani. I cristiani sono visti di fatto come cittadini di serie B. Anche la Costituzione ne fa cittadini di serie B perché afferma che il presidente non può essere un non musulmano.

Come cristiano non mi posso candidare alla presidenza e quindi automaticamente la costituzione mi identifica di serie B. La Costituzione proclama i diritti fondamentali della libertà di espressione e di religione, ma queste libertà sono soggette a restrizioni. L’articolo 19 della Costituzione, per esempio, ti dà la libertà di espressione, la libertà di parola, ma le assoggetta a “restrizioni ragionevoli” come quelle per motivi di “gloria all’Islam” o di ordine pubblico. Ma queste leggi non sono attuazione di queste restrizioni.

Dal 1986, quando la legge originale sulla blasfemia – contenente la sezione 295 C – è stata promulgata, fino al 2009, vi sono stati più di 900 casi di blasfemia. Quindi, anziché arginare e restringere i casi di blasfemia, queste leggi li anno aumentati. La maggior parte di que
sti sono basati su false accuse, ma le false accuse sono di per sé una forma di blasfemia. Quindi queste leggi che dovevano tutelare la gloria dell’Islam, hanno in pratica creato violazioni alla gloria o alla sacralità di quella religione inducendo la gente ad accusare falsamente gli altri.

Lei ha avuto esperienza diretta di questo tipo di discriminazione?

Gill: Non proprio persecuzione, ma discriminazione sì. I miei amici musulmani mi hanno chiamato “chura”. È un termine storico che era usato per riferirsi agli indù convertiti al Cristianesimo durante la dominazione britannica del subcontinente. La maggior parte di questi convertiti erano considerati intoccabili ed erano trattati male dagli indù. Questo termine è stato poi importato ed è usato per indicare i cristiani come cittadini appartenenti ad una casta di basso livello.

È interessante questa spiegazione, perché nel 1947, quando si è costituito il Pakistan, è stato definito la “casa dei puri” – la terra dei puri – e il suo primo Presidente affermava che i cristiani dovevano essere liberi di andare in chiesa e pregare. I cristiani possono vivere la loro fede apertamente? Possono esprimere la loro fede?

Gill: Io posso dire alla gente di essere cristiano, ma non posso cercare di far diventare cristiano nessuno, soprattutto se è musulmano. Non esistono leggi anticonversione in Pakistan, ma la società in generale non tollererebbe che una persona venisse convertita.

A cosa potrebbe andare incontro un cristiano se colto mentre cerca di convertire qualcuno? E cosa succederebbe se un musulmano facesse lo stesso?

Gill: Vi sono stati casi, in passato, di gente che è stata uccisa o attaccata dai propri concittadini, per essersi convertita al Cristianesimo.

Nel suo lavoro per l’American Center for Law and Justice, ha avuto casi legali di musulmani convertiti al Cristianesimo che si sono rivolti a lei per ottenere tutela legale?

Gill: Quando lavoravo in Pakistan avevamo un certo numero di casi di blasfemia di cui ci occupavamo. Nel mio lavoro con l’American Center for Law and Justice, sostanzialmente diamo assistenza legale alle minoranze cristiane in Pakistan.

Abbiamo avuto in Pakistan il caso del figlio di un pastore, accusato dalla polizia locale di aver rubato. La polizia aveva arrestato un certo numero di persone per poi rilasciarle tutte – tutti musulmani – tranne il figlio del pastore. Lui è stato torturato e gli è stata rotta la spina dorsale. Noi lo rappresentiamo legalmente. Non può più camminare. È una situazione terribile. La polizia lo ha minacciato di morte perché non li denunci alla magistratura.

Trattiamo continuamente casi di questo tipo, di carattere discriminatorio. Il fatto è che hanno rilasciato tutti gli altri e detenuto e torturato solo lui, anziché portarlo in tribunale per sottoporlo al giudizio della corte. È per questo che esistono i tribunali. Ma purtroppo la polizia agisce come giudice perché lui è cristiano.

È molto delicato il suo lavoro, perché ha a che fare con la cultura, con la fede e con la legge di quel particolare Paese. Non deve essere facile.

Gill: Effettivamente è difficile. Talvolta temo per la mia incolumità, perché trattiamo con la polizia e con i politici. In un altro caso, a Gojra, sono state uccise delle persone. Sei sono stati arsi vivi e due uccisi a colpi d’arma da fuoco. In quel caso molti musulmani erano stati accusati di atti vandalici e dell’uccisione di cristiani. Il contesto era quello cristiano-musulmano di una famiglia cristiana che aveva litigato con una famiglia musulmana. Quella musulmana ha deciso di rendere la lite pubblica ed ha accusato la famiglia cristiana di dissacrazione del Corano. L’accusa è stata annunciata nella moschea. Allora si è radunata una folla che li ha bruciati e uccisi.

Secondo lei, l’acuirsi delle tensioni nella comunità internazionale, per esempio sull’Iraq e l’Afghanistan, si ripercuote sui vostri casi tra cristiani e musulmani?

Gill: Vede, più di 20 anni di legislazione antiblasfemia in Pakistan ha convinto la gente che la pena per chi insulta l’Islam è la morte. Quindi, anziché rivolgersi alla magistratura, la gente si fa giustizia da sola.

Ora, riguardo la sua domanda: anche l’Islam è una religione comunitaria, che è una cosa buona, ma allo stesso tempo, quando loro vedono queste guerre mosse contro un altro Stato musulmano, come l’Iraq o l’Afghanistan, sentono una responsabilità e una solidarietà con gli altri musulmani e la esprimono vendicandosi sui cristiani locali che percepiscono come specie di agenti americani. Questo è un fattore, direi, che è importante da tenere in considerazione, per spiegare l’aumento delle violenze contro i cristiani.

Abbiamo parlato molto delle situazioni di difficoltà, ma ci devono pur essere delle storie di sostegno tra le comunità musulmana e cristiana o casi di musulmani che hanno preso cristiani nelle loro case perché in difficoltà o in pericolo di essere attaccati?

Gill: Ci sono molte ONG musulmane. Sono moderate e vogliono aiutare, ma allo stesso tempo, se vogliono aiutare i cristiani o le altre minoranze, rischiano di porsi contro gli altri musulmani e questo minaccia la loro esistenza. In pratica, quindi, sono solo le organizzazioni cristiane che rappresentano queste vittime. Alcune organizzazioni musulmane collaborano con quelle cristiane per assistere i cristiani.

Quindi un’organizzazione come la sua svolge non solo un lavoro legale, ma ha anche un ruolo di tutela che è molto importante perché esercita pressione sul governo pakistano, perché rispetti le proprie leggi e incoraggi la loro giusta applicazione in favore di tutte le minoranze in Pakistan?

Gill: L’American Center for Law and Justice fornisce assistenza legale alle organizzazioni pakistane con cui collaboriamo. Abbiamo anche presentato una petizione scritta alle Nazioni Unite, dove sosteniamo che tutti questi casi sono una violazione del diritto internazionale e che il Pakistan è obbligato a rispettare il diritto umanitario internazionale.

Siamo anche impegnati nel dibattito pubblico e recentemente abbiamo avuto un incontro con i funzionari diplomatici pakistani per informarli di questi eventi. Spero che vorranno fare qualcosa per dare giustizia a queste vittime e processare chi ha perpetrato violenze per motivi religiosi.

Molti cristiani locali si sono arresi, hanno preso i propri beni e se ne sono andati. Perché sono i giovani ad andare via? E cosa comporta questo per i cristiani in Pakistan?

Gill: Dobbiamo aiutare i cristiani in Pakistan a rafforzarsi nella società. Per fare questo occorre l’istruzione. Le scuole migliori in Pakistan sono quelle cristiane: cattoliche e anglicane. Esse forniscono la migliore educazione, ma gli alunni sono soprattutto musulmani. Il problema è che se i cristiani non sono ben istruiti, non ottengono buoni lavori. Se rimangono analfabeti, non potranno avere influenza nella società e continueranno ad essere bersagli facili. È facile sfruttarli, perché non sono in grado di replicare, di rispondere agli attacchi, di difendersi.

Si può avere speranza per i cristiani? Si può avere speranza per il vostro Paese?

Gill: Sì, io ho speranza, ma dobbiamo pregare molto per questo. Abbiamo bisogno di tante preghiere sia per i cristiani che per i musulmani in Pakistan. Preghiere soprattutto per i musulmani, che Dio gli conceda il discernimento, la sapienza e lo spirito di tolleranza, cosa che potrà avvenire solo con il potere dello Spirito Santo. Poi, dobbiamo educare e rafforzare i cristiani locali, perché possano camminare con le proprie gambe.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org

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ZENIT Staff

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