Per secoli nelle chiese di tutta la cristianità si è sviluppato un sistema complesso di catechesi e di spiritualità mediante le immagini. Infatti, le verità di fede sono state raffigurate nei cicli pittorici e scultorei ed espresse in forma simbolica nelle forme dell’architettura. La struttura dell’edificio sacro, infatti, non risponde solo a criteri funzionali, ma è fede espressa in tettonica, secondo una ricca e complessa simbologia, che è stata fonte viva dell’architettura sacra di ogni epoca.
La chiesa, in tutta la tradizione, è dunque un luogo sacro rappresentato e costruito come tale, ed inoltre è luogo di formazione catechetica, di annuncio kerigmatico, di preghiera, di meditazione ed ogni elemento che la costituisce è pensato in questa prospettiva.
Spesso si sottolinea che i cicli pittorici, in modo particolare di alcune epoche storiche, siano delle Biblia pauperum. Sovente questa definizione viene interpretata in modo scorretto, con conseguenze anche gravi. Infatti i cicli pittorici sacri vengono ritenuti un sistema di educazione per analfabeti e “illetterati” e di conseguenza sono giudicati superati, inutili, addirittura dannosi, giacché nel mondo occidentale l’analfabetismo è stato debellato. Ma la questione è più complessa, e merita attenzione.
Innanzitutto, se osserviamo i cicli pittorici in questione scopriamo alcuni elementi che inducono a una riflessione più profonda. Per esempio, la presenza di scritte, in latino, o in greco o più raramente in volgare, risulterebbe incomprensibile se davvero si trattasse di dipinti sostitutivi della scrittura. Parimenti, i dotti rimandi iconografici evidenziati dalle complesse letture iconologiche effettuate dagli storici dell’arte sembrerebbero inappropriati se si trattasse di narrazioni semplificate per incolti. Allora occorre prima di tutto tenere presente il contesto culturale nel quale essi nascevano e per il quale erano realizzati. Occorre inoltre chiarire che l’incapacità di leggere e scrivere non è necessariamente sinonimo di ignoranza dottrinale. Credo sia esperienza comune ai docenti di iconografia cristiana constatare che spesso quello che gli studenti universitari ignorano e devono apprendere con fatica, è invece ben conosciuto da alcune vecchiette semi analfabete, che praticano con regolarità e semplicità nella propria vita di devozione e di fede. Per esempio riconoscere una “Immacolata concezione” e distinguerla da una “Assunta”, o ancora riconoscere un “San Nicola di Mira”, o un “San Trifone” è cosa complicata per gli studenti universitari, ma semplicissima per la vecchina ancorata alla sua fede e alla tradizione.
Inoltre, la presenza delle scritte testimonia che i cicli pittorici erano realizzati per tutti i fedeli. La scrittura del nome del santo accanto alla sua immagine non aveva tanto una necessità funzionale, piuttosto rispondeva ad una esigenza teologica, indicando che il nome del santo o della santa è scritto a lettere d’oro nel cielo. Peraltro si ricollega ad una antica tradizione latina, secondo la quale il nome del console o dell’imperatore ritratto veniva riportato per iscritto non per rendere noto il nome, ma per poterlo celebrare in termini politici.
Infine, la riflessione più importante riguarda la categoria evangelica dei “pauperes”. Non si tratta semplicemente dei poveri, gli ignoranti, gli illetterati, ma di tutti i poveri in spirito. Le Biblia Pauperum sono dunque dipinte o scolpite o architettonicamente edificate per tutti coloro che umilmente si accostano alle verità di fede, ricchi o poveri, colti o incolti.
Dunque le Biblia pauperum non sono dedicate agli “analfabeti” in senso scolastico ma, paradossalmente, proprio l’assenza di Biblia pauperum, motivata scorrettamente dal pretesto della scolarizzazione generalizzata, ha avuto come effetto l’analfabetizzazione iconografica. Se un tempo le vecchine illetterate sapevano leggere le immagini, adesso i giovani scolarizzati non intendono nulla di iconografia cristiana, avendone del tutto perso la consuetudine, avendo peraltro frequentato perlopiù chiese prive di immagini sacre e progettate secondo criteri puramente funzionalisti. Allora, paradossalmente, gli unici che sanno oggi leggere le Biblia pauperum sono i “professori”, coloro che hanno un dottorato in storia dell’arte.
Ecco allora che sono le stesse chiese, se concepite globalmente come luogo liturgico e di formazione, che possono insegnare le verità di fede ed anche il linguaggio per poterle apprendere. A questo proposito possiamo guardare alla chiesa di Santa Maria Novella a Firenze che è stata nella storia una sorta di laboratorio, in cui sono state progettate soluzioni poi diffuse gradualmente ovunque, dunque un luogo di ricerca, una grande opera esemplare. In questa chiesa, di ambito domenicano, vediamo come i cicli di affreschi non siano concepiti semplicemente come sussidio per gli ignoranti, ma come vere e proprie predicazioni, parte attiva di una complessa struttura, impegnata in un’efficacia di tipo spirituale, psicologico, affettivo, nella complessa attuazione del carisma volto alla predicazione e alla evangelizzazione. Al proposito è esemplare, per esempio l’affresco di Andrea Bonaiuti, Specchio della predicazione dei domenicani, eseguito tra il 1366 e il 1367 nella Sala Capitolare del complesso conventuale di Santa Maria Novella. Al centro esatto dell’affresco, è rappresentato san Domenico, fondatore dell’Ordine dei Predicatori ed espressione dell’essenza del carisma della predicazione; la composizione propone due momenti rappresentanti due eventi cronologicamente successivi: ovvero l’ascolto della predicazione e il sacramento della riconciliazione, cioé il frutto della predicazione che matura nel cuore di chi ha saputo ascoltare. Nel volto del frate confessore, inoltre, è possibile riconoscere fra Jacopo Passavanti, contemporaneo di Buonaiuti, autore di un noto testo intitolato Specchio di penitenza.
Buonaiuti nel suo affresco rappresenta la predicazione e il suo effetto, la penitenza, realizzando in questo modo una vera predicazione pittorica, una “immagine acustica”, una immagine che predica. Con lo stesso metodo con cui Passavanti ha scritto il suo testo, Buonaiuti dipinge il suo affresco. In questo modo si crea una esplicita rispondenza tra le parole pronunciate nella predicazione dai Domenicani e le immagini conservate nella chiesa, in una straordinaria esaltazione della capacità di predicazione propria dell’arte sacra.
Tutto questo stimola fortemente anche noi oggi, spingendoci a pensare o a ripensare le nostre chiese affinché siano concepite come immagini acustiche, vive, capaci di riecheggiare nel cuore e nella mente dei fedeli. Perché ciò accada, serve un’arte capace di farsi carico della narrazione dei misteri, capace di mostrare con la composizione l’articolazione del messaggio di fede, l’intimo dinamismo finalistico che pervade ogni cosa e ogni persona, verso il vertice, che è l’Alfa e l’Omega, movente e meta di ogni conversione, inizio e compimento, capo e testata d’angolo dell’immenso corpo mistico della Chiesa.
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* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.