Benedetto XVI: abbiamo sempre bisogno di convertirci alla fede in Dio

Discorso alla Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi

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CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 20 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Nel suo tradizionale discorso ai membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi, Benedetto XVI ha esortato a perseguire una conversione continua alla fede in Dio.

Nel discorso che ha pronunciato questo lunedì mattina nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Papa ha voluto ricordare alcuni avvenimenti importanti dell’anno che sta per terminare, tra cui la visita pastorale in Inghilterra che ha svolto dal 16 al 19 settembre.

In particolare, ha richiamato la beatificazione del Cardinale John Henry Newman, del quale ha voluto sottolineare la conversione “alla fede nel Dio vivente”.

Fino a quel momento, ha spiegato, “Newman pensava come la media degli uomini del suo tempo e come la media degli uomini anche di oggi, che non escludono semplicemente l’esistenza di Dio, ma la considerano comunque come qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria vita”.

“Veramente reale appariva a lui, come agli uomini del suo e del nostro tempo, l’empirico, ciò che è materialmente afferrabile”.

Nella sua conversione, ha osservato, “Newman riconosce che le cose stanno proprio al contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta”, e “sono molto più reali degli oggetti afferrabili”.

In questo contesto, “ciò che fino ad allora era apparso irreale e secondario si rivela come la cosa veramente decisiva”.

“Dove avviene una tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma fondamentale della vita”, ha constatato, sottolineando che “di tale conversione noi tutti abbiamo sempre di nuovo bisogno”.

Coscienza

Il Papa ha poi ricordato che “la forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza”, ma non nell’accezione moderna, per cui “in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione”.

Secondo questa linea di pensiero, al mondo oggettivo appartengono le cose che si possono “calcolare e verificare mediante l’esperimento”.

“La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del soggettivo”, e in questo campo potrebbe decidere “solo il singolo, l’individuo con le sue intuizioni ed esperienze”.

La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta, ha rilevato il Pontefice.

Per lui, infatti, “’coscienza’ significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, la verità”.

Allo stesso tempo, la coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone “il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra”.

“Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto”.

Quello di Newman è dunque “un cammino della coscienza – un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui”.

Conversione al cattolicesimo

La conversione di Newman al cattolicesimo, ha proseguito il Vescovo di Roma, “esigeva da lui di abbandonare quasi tutto ciò che gli era caro e prezioso: i suoi averi e la sua professione, il suo grado accademico, i legami familiari e molti amici”.

“Newman era sempre stato consapevole di avere una missione per l’Inghilterra”, ha aggiunto, “ma nella teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva essere udita”, perché “era troppo aliena rispetto alla forma dominante del pensiero teologico e anche della pietà”.

“Nell’umiltà e nel buio dell’obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso”.

Benedetto XVI ha poi ricordato l’incontro che ha avuto con il mondo della cultura nella Westminster Hall, in cui “la consapevolezza della responsabilità comune in questo momento storico” ha creato “una grande attenzione”, in ultima analisi rivolta “alla questione circa la verità e la stessa fede”.

“Che in questo dibattito la Chiesa debba recare il proprio contributo, era evidente per tutti”, ha affermato.

A questo proposito, ha concluso citando Alexis de Tocqueville, che osservò che “in America la democrazia era diventata possibile e aveva funzionato perché esisteva un consenso morale di base che, andando al di là delle singole denominazioni, univa tutti”.

“Solo se esiste un tale consenso sull’essenziale, le costituzioni e il diritto possono funzionare – ha constatato il Pontefice –. Questo consenso di fondo proveniente dal patrimonio cristiano è in pericolo là dove al suo posto, al posto della ragione morale, subentra la mera razionalità finalistica”.

“Questo è in realtà un accecamento della ragione per ciò che è essenziale. Combattere contro questo accecamento della ragione e conservarle la capacità di vedere l’essenziale, di vedere Dio e l’uomo, ciò che è buono e ciò che è vero, è l’interesse comune che deve unire tutti gli uomini di buona volontà. È in gioco il futuro del mondo”.

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ZENIT Staff

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