A dieci anni della promulgazione, la Dominus Jesus interroga ancora

Intervista a don Mauro Gagliardi

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di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 16 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Il 6 agosto del 2000, in pieno Giubileo, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò la Dichiarazione Dominus Iesus, sulla unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa.

Sebbene il testo non facesse altro che ripetere la dottrina immutabile della Chiesa Cattolica in materia, senza proporre alcuna novità, la sua pubblicazione scatenò un’ampia serie di reazioni, in buona parte negative. Rispetto ai secoli passati era infatti nuovo il contesto ecclesiale e culturale in cui la Dichiarazione veniva a collocarsi.

Nel decennale della pubblicazione, l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” (APRA) di Roma ha dedicato un congresso di due giorni all’approfondimento delle tematiche contenute nel documento vaticano.

Ora l’editrice Lindau ha pubblicato gli atti di quel congresso con il titolo “La dichiarazione Dominus Jesus a dieci anni dalla promulgazione”.

Il curatore don Mauro Gagliardi ha scritto nella presentazione del volume: “nonostante sia un documento breve pubblicato da una congregazione vaticana, è un testo tutt’altro che trascurabile o di secondo piano. Bisogna invece dire che esso è di capitale importanza. Forse tra alcuni decenni o tra un secolo, si potrà persino vedere che ha marcato un’inversione di tendenza”.

Don Mauro Gagliardi è professore ordinario dell’APRA, è anche professore invitato presso l’Università Europea di Roma. Nel 2008, Benedetto XVI lo ha nominato Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice e nel 2010 Consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Per cercare di capire l’attualità e le implicazioni della Dominus Jesus nel dibattito contemporaneo, ZENIT lo ha intervistato:

Quali sono le ragioni della pubblicazione del volume, da lei curato, “La Dichiarazione Dominus Iesus a dieci anni dalla promulgazione”?

Don Mauro: Il volume raccoglie gli atti del Convegno tenuto nel mese di marzo scorso, organizzato dalla Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, in occasione del decennale di pubblicazione della Dominus Iesus, per approfondire diversi aspetti del documento e anche per rilevare, più in generale, la sua importanza all’interno del percorso tracciato dai documenti magisteriali degli ultimi decenni.

Che cosa dice all’umanità di oggi la Dichiarazione Dominus Iesus?

Don Mauro: Mi pare che il messaggio di oggi sia quello di sempre: Gesù Cristo è l’unico Salvatore del mondo e la Chiesa svolge, per volontà del suo Fondatore, una funzione salvifica universale. In concreto, questo significa che non c’è salvezza senza Gesù di Nazaret e senza una misteriosa mediazione ecclesiale della grazia. Queste dottrine appartengono al grado minimo della fede. Negarle o edulcorarle significa semplicemente porsi al di fuori della comprensione di fede cattolica. Quando la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò, dieci anni fa, il documento Dominus Iesus, scelse di dargli la forma o genere letterario di “Dichiarazione”. Questo implica, come chiarì l’allora Segretario della Congregazione mons. Tarcisio Bertone, che il contenuto del documento non consiste di dottrine nuove. La Dominus Iesus ha voluto solo riaffermare in modo sintetico la fede cattolica di sempre riguardo al ruolo salvifico di Cristo e della Chiesa. Per i credenti, la Dichiarazione rappresenta un richiamo ai fondamenti stessi della loro fede. Per gli altri uomini, Dominus Iesus espone in modo sintetico e chiaro ciò che noi crediamo a riguardo del carattere cristologico ed ecclesiale della salvezza.

Perché è stata al centro di critiche e polemiche? Quali sono i punti meno accettati dal mondo moderno?

Don Mauro: La pubblicazione della Dichiarazione è stata in effetti accolta in modi diversi, sia dentro che fuori la Chiesa Cattolica. Lascio qui da parte il tema delle reazioni in ambito ortodosso e protestante, oggetto di uno specifico contributo all’interno del volume. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, molti pastori e fedeli sono stati entusiasti della pubblicazione della Dichiarazione. Credo, anzi, che la “maggioranza silenziosa” abbia accolto Dominus Iesus come un bel dono del Signore alla sua Chiesa, proprio nel cuore del Grande Giubileo del 2000, il quale aveva per motto: «Gesù Cristo ieri, oggi e sempre» (Ebrei 13,8). Nella «Presentazione» al volume, ho voluto sottolineare il contesto immediato di questo versetto neotestamentario, lì dove la centralità di Cristo in ogni tempo – ieri, oggi e sempre – si fonda sulla retta dottrina della fede. L’autore della Lettera agli Ebrei, infatti, prosegue subito dopo: «Non lasciatevi sviare da dottrine varie ed estranee».

Cristo è sempre attuale, sempre vivo e giovane potremmo dire, solo a patto che sia davvero Lui e non una sua caricatura. Purtroppo dobbiamo dire che in epoca moderna sono stati delineati molti ritratti insufficienti di Gesù di Nazaret, che non danno ragione del suo mistero di Verbo incarnato e quindi sottraggono la base per l’affermazione del valore universale della sua mediazione salvifica. Presentando la Dichiarazione, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, annotava che in fondo il motivo per cui la modernità non è spesso riuscita a cogliere completamente l’unicità del mistero di Cristo è «il sostanziale rigetto dell’identificazione della singola figura storica, Gesù di Nazaret, con la realtà stessa di Dio, del Dio vivente. Ciò che è Assoluto, oppure Colui che è l’Assoluto, non può darsi mai nella storia in una rivelazione piena e definitiva. Nella storia si hanno soltanto dei modelli, delle figure ideali che ci rinviano al Totalmente Altro, il quale però non si può afferrare come tale nella storia» (Conferenza Stampa del 5 settembre 2000). Allora possiamo dire che al pensiero moderno è sfuggita la legge dell’incarnazione, ossia della sintesi tra “spirito” e materia, che si realizza perfettamente nel cristianesimo. Molte forme di pensiero moderno si sono contraddistinte per essere o spiritualismi o materialismi: comunque insufficienti per accostarsi al mistero di Cristo e della Chiesa, che mantiene sempre il carattere di sintesi dell’umano e del divino.

È forse la Dominus Iesus una Dichiarazione che rivela la crisi di obbedienza e fedeltà al Magistero?

Don Mauro: Nel clima di generale contestazione generatosi attorno al Sessantotto, certamente vi sono stati anche numerosi episodi spiacevoli e dolorosi di contestazione del Magistero dei legittimi pastori della Chiesa. In alcuni casi questo si è verificato anche in seguito alla pubblicazione di Dominus Iesus. In questo caso la contestazione colpisce maggiormente, proprio perché, come accennavo, qui non si tratta di dottrine che riguardano un ambito particolare della fede e della morale, ma di dottrine assolutamente centrali, con le quali o senza le quali sta o cade l’intero cristianesimo. Ci si può stupire dinanzi al fatto che alcuni reagiscano negativamente nel momento in cui il Magistero della Chiesa ricorda che Cristo è l’unico Salvatore del mondo e che la Chiesa è il sacramento universale della salvezza. Perciò, le reazioni scomposte alla Dichiarazione, almeno in alcuni casi più eclatanti, forse indicano anche quacos’altro e non semplicemente un atteggiamento di disobbedienza al Magistero della Chiesa. Probabilmente esse sono indice di una perdita della fede in quanto tale, quanto meno sotto il profilo dottrinale di essa.

Quali e quanti sono i benefici che questa Dichiarazione ha apportato al dibattito interno ed esterno della Chiesa Cattolica?

Don Mauro: Non sono in grado di enumerare in modo specifico i benefici dovuti a Dominus Iesus. Sono però conv
into che siano numerosi. Sempre nella «Presentazione» al volume, ho espresso questa mia convinzione annotando che «Dominus Iesus, nonostante sia un documento breve pubblicato da una congregazione vaticana, è un testo tutt’altro che trascurabile o di secondo piano. Bisogna invece dire che esso è di capitale importanza. Forse tra alcuni decenni o tra un secolo, si potrà persino vedere che ha marcato un’inversione di tendenza». Penso che sia ancora presto per giudicare in modo definitivo l’importanza della Dichiarazione. Voglio però almeno citare uno dei benefici che essa ha apportato: quello della chiarezza. Il Concilio Vaticano II e il successivo Magistero della Chiesa hanno introdotto nella vita della Chiesa la pratica del dialogo a livello istituzionale, a molteplici livelli e con diversi interlocutori. Dominus Iesus rimane totalmente fedele al Concilio e al Magistero postconciliare quando ci ricorda che presupposto necessario perché il dialogo sia costruttivo è l’onestà e la chiarezza, in modo particolare in ambito dottrinale. Dialogare non può significare ingannare il proprio interlocutore e se stessi a riguardo delle proprie convinzioni di fede. Né esso può richiedere come sua componente necessaria la «diminuzione della verità». Dominus Iesus è un grande invito a seguire l’indicazione di san Paolo: vivere l’amore nella verità. Anche qui conviene citare il brano paolino nel suo insieme: «Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il Capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso […] cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Efesini, 4,14-16).

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ZENIT Staff

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