Algeria: da due a tre mesi di carcere con la condizionale a quattro cristiani

Erano accusati di aver aperto un tempio protestante senza autorizzazione

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di Paul De Maeyer


ROMA, domenica, 12 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Il giudice del tribunale correzionale di Larbaâ Nath Irathen, nei pressi di Tizi Ouzou, nella Cabilia, la regione di lingua e tradizione berbera dell’Algeria, ha reso noto questa domenica il verdetto contro quattro cristiani del villaggio di Ath Atteli, fra cui il pastore della piccola comunità evangelica, Mahmoud Yahou, 43 anni. Il processo contro il quartetto, accusato di “apertura di un luogo di culto senza autorizzazione” da parte della Commissione nazionale per i culti non musulmani, era iniziato domenica 28 novembre.

Come ha rivelato il quotidiano El Watan, tre degli imputati – Abdenour Raid, Nacer Mokrani e Idir Haoudj – sono stati condannati a una pena di due mesi di carcere con la condizionale. Il pastore Yahou, contro il quale era stata mossa inoltre l’accusa di “aver ospitato senza autorizzazione” un pastore francese giunto in Algeria per una conferenza, ha ricevuto una condanna di tre mesi di prigione con la condizionale e una multa di 10.000 dinari.

Per il pastore si tratta di un’accusa incomprensibile. “Ho sempre accolto degli invitati stranieri dal 2003, entrano legalmente in Algeria con il visto che ottengono grazie al mio certificato di idoneità alloggiativa”, ha detto Yahou il 10 dicembre al quotidiano francese La Croix.

L’ennesimo processo contro membri della minoranza cristiana rispecchia la politica seguita da alcuni anni dalle autorità algerine in applicazione della legge n. 06-03 (oppure 06-02 bis). Anche nota come l’Ordinanza 06-03, la norma promulgata nel febbraio del 2006 rappresenta un vero e proprio giro di vite nei confronti dei culti non musulmani in un Paese che negli anni ’90 era finito nel mirino dei fondamentalisti islamici.

L’Ordinanza sottopone ad esempio tutti gli edifici utilizzati per il culto all’autorizzazione governativa e criminalizza l’incitamento (manca però una definizione di “incitamento”) alla conversione di persone di fede musulmana e i tentativi di “scuotere” la loro fede.

Secondo il governo del Presidente Abdelaziz Bouteflika (al potere dal 1999 e ormai al suo terzo mandato), il decreto rispetta in pieno la Costituzione algerina, un’affermazione respinta però da vari osservatori. “(La norma) crea una zona grigia nella quale il Governo e la polizia hanno lo spazio per agire contro la Chiesa. Questa legge permette al Governo di condannare i credenti per la loro fede o per culto illegale anche se la Costituzione garantisce la libertà religiosa”, ha detto un esperto locale che ha preferito mantenere l’anonimato (Compass Direct News, 5 ottobre).

Anche se il Primo Ministro Ahmed Ouyahia ha dichiarato il 21 ottobre scorso davanti all’Assemblea Nazionale di Algeri che la libertà di culto (si noti, non libertà di religione) sarà “sempre garantita” nel Paese, i processi contro membri della minoranza cristiana e contro quei musulmani che non rispettano il Ramadan sono ormai frequentissimi. L’8 novembre scorso il tribunale correzionale di Akbou, nella provincia di Bejaia, ha assolto otto musulmani che durante l’ultimo Ramadan avevano interrotto il digiuno e a metà ottobre un tribunale di Oum El Bouaghi ha condannato per lo stesso reato un giovane a una pena di due anni di carcere e a una multa di 100.000 dinari (circa mille euro) (Agence France-Press, 27 novembre).

L’obbligo o precetto del digiuno sacro durante il Ramadan sembra valere anche per i non musulmani. Il 5 ottobre scorso, una corte nella città di Ain El-Hammam, nella provincia di Tizi Ouzou, ha assolto due cristiani – Salem Fellak e Hocine Hocini, entrambi membri della Chiesa Protestante d’Algeria (EPA) – dall’accusa di “inosservanza di un precetto dell’islam”.

La polizia aveva arrestato il 13 agosto scorso i due uomini perché stavano pranzando nel cantiere edilizio in cui lavoravano. Secondo il giudice, “nessun articolo (di legge) prevede persecuzione legale” nel caso di inosservanza del digiuno durante il mese sacro del Ramadan (BBC, 5 ottobre).

Il processo è stato il primo del genere contro cittadini non musulmani. “Pratichiamo la nostra religione sotto le pressioni dell’amministrazione”, ha osservato Mustafa Krikèche, dell’EPA, il quale teme una nuova campagna contro la denominazione (La Croix, 22 settembre).

Per quanto riguarda il tema del digiuno islamico per tutti – i non musulmani inclusi -, è interessante il battibecco fra il quotidiano El Watan e l’Alto Consiglio Islamico (HCI in acronimo francese) d’Algeria.

L’organismo islamico aveva denunciato “le violazioni da parte di certi individui del carattere sacro del mese del Ramadan in certi luoghi del Paese e i comportamenti immorali manifestati da questi ultimi nei luoghi pubblici”.

Per il quotidiano, queste accuse sono una distorsione dei fatti, uno “scivolamento pericoloso” da parte dell’organismo. “Perché si ha paura dei convertiti al cristianesimo?”, chiede El Watan (10 ottobre), che il 20 agosto scorso aveva pubblicato un ritratto del pastore Hamid Guernine e raccontato la storia di altri tre convertiti (El Watan Week-end).

I processi contro i non musulmani coinvolgono di norma membri della Chiesa protestante o dei movimenti pentecostali, finiti nel mirino delle autorità, ma anche dei fondamentalisti musulmani per il loro “proselitismo”.

Nel gennaio scorso, estremisti islamici hanno saccheggiato e incendiato una chiesa nel capoluogo della Cabilia, Tizi Ouzou. “L’intolleranza islamista ritiene che non ci sia spazio per la prassi religiosa cristiana in Algeria”, ha detto il capo dell’EPA, Mustafa Krim, commentando l’accaduto.

Per l’esponente protestante, ad “alimentare” l’aggressione è stato l’attacco armato contro un gruppo di copti, che nella notte tra il 6 e il 7 gennaio – il Natale copto – aveva provocato a Nag Hammadi, in Egitto, la morte di 6 cristiani (Associated Press, 11 gennaio).

Nei giorni precedenti al raid, la Tafat Church di Tizi Ouzou era già stata oggetto di proteste e di atti di sabotaggio. Sabato 26 dicembre 2009 una cinquantina di manifestanti musulmani aveva bloccato l’ingresso ai fedeli che volevano celebrare il Natale, e il 30 dicembre l’edificio era rimasto senza elettricità (Compass Direct News, 31 dicembre 2009).

Già portare con sé una Bibbia o altri libri religiosi può bastare per finire davanti ai giudici. Nel maggio 2008, un tribunale nella città di Djelfa (o Djilfa) – capoluogo dell’omonima provincia – ha condannato un convertito trentatreenne a un anno di carcere con la sospensione della pena e a una multa di 300 euro.

L’uomo, abitante della città di Tiaret, era accusato di “stampare, immagazzinare e distribuire” materiale religioso proibito. Il convertito, fermato dalla polizia a un posto di blocco stradale mentre viaggiava in un taxi condiviso, trasportava nel suo bagaglio una copia della Bibbia e alcuni libri religiosi.

Emblematico è il caso di Habiba Kouider. La giovane convertita ed educatrice era stata fermata nel marzo del 2008 dalla gendarmeria nella sua città di Tiaret mentre tornava a casa da Orano (Wahran in arabo) in autobus con varie copie della Bibbia e del Vangelo nella borsa.

Come ha riferito il quotidiano Le Figaro (27 maggio 2008), durante la prima udienza il Pubblico Ministero ha fatto una proposta forse curiosa ma senz’altro molto eloquente alla donna, accusata di “praticare un culto non musulmano senza autorizzazione”.

“Se tu ritorni all’islam, io archivio il dossier. Se tu persisti nel peccato, incorrerai nei fulmini della giustizia”, ha minacciato il magistrato. La donna ha respinto l’offerta o “deal”, e aspetta ancora oggi il suo verdetto.

Come spiega in un’intervista al quotidiano La Croix (19 giugno 2008) la storica Karima Direche, che dal 2005 si reca regolarmente in Algeria per raccogliere le testimonianze di convertiti al cristianesimo, uno dei problemi è la grande visibilità dei convertiti nello spazio pubblico.

“N
on nascondersi è un fenomeno nuovo”, ha ribadito la Direche, esperta di storia sociale algerina e autrice del libro “Chrétiens de Kabylie 1873-1954”. “Ormai i convertiti non fanno più mistero della loro nuova appartenenza confessionale e delle loro pratiche cultuali”, ha aggiunto.

I fulmini della giustizia algerina colpiscono anche gli esponenti cristiani stranieri. Lo dimostra la decisione delle autorità di non rinnovare il permesso di soggiorno all’ex presidente della Chiesa Protestante d’Algeria (fino al 2006), Hugh Johnson, residente nel Paese dal 1963. Secondo il Ministro degli Affari religiosi, Abdallah Ghoulamallah, il mancato rinnovo e la susseguente espulsione del pastore metodista non avevano “nulla a che fare” con la campagna contro il proselitismo, parole poco convincenti secondo La Croix (7 aprile 2008).

In tutto ciò la Chiesa cattolica risulta meno colpita o esposta, ma questo non vuol dire che sia stata esente da azioni penali nei suoi confronti da parte della magistratura algerina. Lo dimostra il caso di padre Pierre Wallez, definito da Camille Eid su Avvenire (10 febbraio 2008) “la prima vittima” cattolica della polemica Ordinanza del 2006.

Il sacerdote di origini francesi è stato condannato il 30 gennaio del 2008 dal tribunale di Orano a un anno di carcere con sospensione della pena perché aveva “officiato una cerimonia religiosa in un luogo non riconosciuto dal Governo”. Come ha ricordato l’allora Arcivescovo di Algeri, monsignor Henri Antoine Marie Teissier, padre Wallez aveva solo recitato il 29 dicembre 2007 una preghiera con un gruppo di cristiani del Camerun, nient’altro.

In un tentativo di “ridorare il blasone” del Governo, il Ministro degli Affari religiosi, Abdallah Ghoulamallah, ha organizzato il 10 e 11 febbraio scorsi nella capitale Algeri un colloquio dal titolo “Libertà di culto, un diritto garantito dalla religione e dalla legge”, a cui hanno partecipato (dopo alcuni momenti di esitazione) i capi delle Chiese cristiane d’Algeria, fra cui quella cattolica.

Come ha sottolineato l’Arcivescovo di Algeri, monsignor Ghaleb Moussa Bader, il convegno ha permesso a “ciascuno di esprimersi in tutta libertà” (La Croix, 18 febbraio). Il presule – originario dalla Giordania e giurista di formazione – ha ricordato anche il lato positivo della legge del 2006, perché essa riconosce infatti l’esistenza di religioni diverse dall’islam in Algeria.

Allo stesso tempo, ha analizzato la norma da un punto di vista critico e ha fatto alcune osservazioni. “Non è forse tempo di rivedere questa legge o di annullarla?”, ha chiesto.

Come ha scritto su AsiaNews (17 febbraio) il noto islamologo padre Samir Khalil Samir, S.J., le parole di Bader hanno “irritato in profondità” il ministro Ghoulamallah, il quale non ha esitato a elogiare i predecessori di monsignor Bader, invitando il presule a trarre insegnamento da loro e a chiedere il loro consiglio “su ciò che gli algerini possono ammettere e ciò che non possono ammettere”.

Per padre Samir, quello che chiedono le Chiese d’Algeria – il Paese nordafricano in cui nacque e morì uno dei più grandi Padri e Dottori della Chiesa, Sant’Agostino di Ippona (354-430) – è poco: di essere lasciate tranquille.

“Esse domandano – così ha scritto – di avere il diritto di annunciare il Vangelo a ogni persona che voglia accoglierlo, allo stesso modo in cui vi è il diritto di annunciare il Corano e l’islam a chiunque”. Nient’altro.

P.S. Come ha riferito questa domenica l’agenzia Agence France-Presse, dei dieci deputati all’Assemblea del Popolo che il Presidente egiziano Hosni Mubarak può eleggere direttamente, ne ha nominati sette facenti parte della comunità copta. Il 28 novembre e il 5 dicembre scorsi si sono svolte le elezioni legislative nel Paese (cfr. il nostro articolo del 6 dicembre scorso “Pesanti scontri fra manifestanti copti e polizia in Egitto”).

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ZENIT Staff

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