GENOVA, mercoledì, 8 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha pronunciato questo mercoledì a Genova nella solennità dell’Immacolata Concezione.
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Carissimi Fratelli e Sorelle
1. La solennità della Madonna Immacolata riempie di gioia Genova, e questa Basilica, la prima a Lei dedicata, si riempie di luce e di preghiera. Inoltre, sulla strada verso il Natale, Colei che è stata concepita senza peccato originale ci conduce verso il mistero di Colui che è stato concepito nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo. Alziamo il capo verso la Santa Vergine e quanta dolcezza di ricordi, emozioni, ispirazioni e propositi sentiamo nell’anima! Siamo avvolti dallo splendore di questa chiesa e sentiamo che ci fa bene, ci scalda il cuore. Siamo avvinti dalla bellezza della liturgia con il suo linguaggio di luci e colori, canti e musiche, riti e parole, silenzi…e ci sentiamo elevati verso un mondo sì invisibile ma per nulla irreale e lontano. Intuiamo che il mondo della fede è più concreto di quello che cade sotto i nostri sensi. Sentiamo che lo stare in rapporto con Dio, la Madonna, i Santi, ci aiuta a stare con gli altri, a sentirli non come estranei ma prossimi, non solo come consimili per l’umana natura ma, ben di più, fratelli. A nessuno sfugge come la visione dell’uomo e del mondo, nella luce della fede cattolica, crea un sentire comune circa le cose più importanti del vivere e del morire, genera un modo di stare insieme originale, alimenta un ethos personale che si riverbera nella società intera, la plasma e le dà forma nel segno di una umanità autentica e piena.
Per questa ragione avvertiamo che quanto più si diluiscono i punti di riferimento e si pongono in dubbio i valori primi – la vita, la famiglia, la libertà religiosa e educativa -, oppure quanto più l’uomo si allontana da Dio volendo costruirsi da sé, tanto più si addensano le nubi e la fede appare come una fortuna incomparabile; emerge il contributo decisivo e irrinunciabile del cristianesimo. E’ forse la voglia di rivalsa o di riconoscimenti che ispira queste parole che da diverse parti echeggiano? Sarebbe miope e meschino! Non degno certamente del Vangelo di Cristo che è venuto per servire e, nell’amore, salvare il mondo. E proprio solo per amore che diciamo questo; basta ragionare per un momento.
2. Ogni Stato ha in sé bisogno di un popolo, ma il popolo non è tale in forza dello Stato né si identifica con questo: lo precede e lo rende plausibile. E’ il popolo, infatti, il terreno su cui nasce e si costruisce lo Stato e il popolo non è costituito dall’economia o dalla burocrazia o dalla politica. Esso è una comunità di persone, e una comunità vera e affidabile è sempre di ordine spirituale ed etico, ha cioè un’anima. E’ questa la sua spina dorsale, e se questa si corrompe, allora il popolo diventa fragile, e lo Stato si indebolisce e si snatura. Ciò accade quando viene meno la coscienza dei valori comuni, la coscienza della propria identità culturale. Parlare di identità culturale non significa affatto, come a volte si sostiene, ripiegarsi o rinchiudersi. Si tratta di non sfigurare il proprio volto: senza volto, infatti, non ci si può incontrare, non si riesce a stimarsi, a correggersi, a camminare insieme, a lavorare per gli stessi obiettivi, ad essere un “popolo”. Lo Stato non può creare questo “spirito” perché questo è pre-istituzionale e pre-politico. Deve essere però attento a preservarlo e a non danneggiarlo in alcun modo, poiché è il fondamento dell’unità dinamica di una società.
Ecco, cari Amici, perché siamo qui ogni anno: la devozione filiale alla Madonna Immacolata ci attira. Qui troviamo momenti di luce e di grazia per noi, le nostre famiglie, a Lei confidiamo pene e speranze. Sappiamo che questo rapporto con la Madre di Dio ci aiuta a vivere il quotidiano, ci incoraggia e purifica, ci dona serenità e gioia. Ma dobbiamo essere consapevoli anche che siamo qui per gli altri, per tutti, per la società in cui viviamo, che amiamo, e che dobbiamo servire lealmente. Il primo modo di servirla è rinvigorire l’anima, mantenere e alimentare quella concezione alta e nobile dell’uomo, della vita, della libertà vera, della carità fraterna, della distinzione tra bene e male, che ha generato lo “spirito” del nostro popolo, che ha intessuto la nostra storia, e che ancora anima fondamentalmente il vivere del nostro Paese. Smantellare questo patrimonio, non testimoniarlo con coraggio nelle nostre azioni, lasciare che venga corroso in nome di nominalismi vuoti, significherebbe lasciar morire la fede e l’esempio dei nostri padri, ma anche lasciare che deperisca il volto umano dell’uomo e della società che ne consegue.