Iraq, quella guerra ai cristiani che non fa notizia

Nel silenzio dei media si consuma un «genocidio sitematico»

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di Mariaelena Finessi

ROMA, mercoledì, 8 dicembre 2010 (ZENIT.org).- «Nel mondo ogni giorno 7 persone su 10 vengono violate nella propria libertà religiosa. E su 100 morti per motivi legati al credo, 57 sono cristiani». A snocciolare i dati è Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa, l’università che a fine novembre ha ospitato a Roma la tavola rotonda “Guerra ai cristiani. Testimoni di una tragedia del XXI secolo”, che nel titolo richiama il libro dell’europarlamentare Mario Mauro, Rappresentante personale dell’Ocse per la lotta contro il razzismo e la persecuzione ai cristiani, anch’egli intervenuto all’incontro per raccontare la tragedia delle persecuzioni che i fedeli di Cristo subiscono quotidianamente in uno degli angoli più martoriati della Terra.

«Oggi è facile perdere la vita se si crede in Gesù eppure, la più generica libertà religiosa, come ebbe a dire Giovanni Paolo II, è una “cartina tornasole” di tutte le altre libertà perché – spiega Mauro – mette a nudo l’approccio che il potere ha con la persona umana, con la sua dimensione spirituale». Colui che professa una fede è portatore di una forza interiore che nessuno può sottrargli. È per questo che accetta con difficoltà le privazioni al proprio credo impostegli dalle sfere politiche. «Dio nasce, il potere trema», scriveva il filosofo polacco Józef Tischner.

È così per i cristiani che umiliati, perseguitati, lasciano a migliaia il Paese in cui sono nati. Fuggono verso il Nord dell’Iraq o si rifugiano negli Stati vicini, Giordania in testa. La ragione che rende i cristiani pericolosi agli occhi degli estremisti musulmani sta tutta in quella loro peculiare capacità di comprendere la realtà. Di più, «i cristiani sono un collante – chiarisce padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia di informazione Asianews -, mediatori tra i diversi gruppi etnici. Ed è grazie a loro che si mantiene vive la speranza della pacifica convivenza. Questa, per i musulmani è l’ultima occasione per aprirsi alla modernità».

Eppure il silenzio sembra ammantare questa tragedia che è prima di tutto umana e che rischia di essere dimenticata «nell’impotenza e l’indecisione – spiega Dalla Torre – delle istituzioni internazionali». Difatti, chiarisce Mauro, «nello stile del politically correct, il Parlamento europeo ci ha messo ben 10 anni per far approvare un meccanismo di protezione dei cristiani in Iraq. Assente, invece un qualche pronunciamento significativo da parte dell’Onu». La risoluzione a cui fa riferimento l’europarlamentare è stata votata lo scorso 25 novembre e condiziona la concessione di aiuti al rispetto di molte libertà, tra cui quella di culto.

Immobilismo dei decisori politici, dunque, ma anche indifferenza mediatica. A parlarne sono i due giornalisti Monica Maggioni e Gian Micalessin, autori di un reportage sulle intimidazioni e i massacri dei cristiani in Iraq. «Di violenze quotidiane, che hanno i connotati di un “genocidio sistematico”, non si parla mai – spiega Maggioni – ad eccezione di frettolose coperture di eventi particolarmente drammatici come la recente strage alla chiesa caldea di Baghdad».

E per non dimenticare quei 58 iracheni rimasti uccisi il 31 ottobre, per mano dei terroristi nella cattedrale di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, le Ambasciate irachene presso l’Italia e la Santa Sede hanno previsto per il 9 dicembre, a Roma, una commemorazione.

Oltre un milione all’inizio degli anni ’90, oggi i cristiani di Iraq sono ridotti a poche centinaia di migliaia e con la caduta di Saddam Hussein e il conseguente arresto del caldeo Tareq Aziz, la comunità si è trovata da sola. La condanna a morte prevista dal Tribunale di Baghdad per l’ex ministro degli Esteri ed ex braccio destro di Saddam, nell’ambito del processo per la chiusura dei partiti religiosi in Iraq, potrebbe complicare ulteriormente la situazione.

Come già dichiarato dal direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, la Santa Sede si augura che la sentenza contro Tareq Aziz non venga eseguita, proprio «per favorire la riconciliazione e la ricostruzione della pace e della giustizia in Iraq dopo le grandi sofferenze attraversate». La pena di morte sarebbe oltremodo rischiosa, chiarisce ad una agenzia di stampa italiana, monsignor Giorgio Lingua, Nunzio apostolico in Iraq e Giordania, per le reazioni di violenza che potrebbe scatenare. Più che fare giustizia potrebbe apparire vendetta e generarne di nuova, in una perversa spirale di violenza difficilmente arrestabile.

Intanto L’Esercito islamico iracheno, costola di Al Qaida in Iraq, ha già annunciato che «tutte le istituzioni, le organizzazioni, i centri, i leader e i seguaci del cristianesimo sono obiettivi legittimi». Il Parlamento di Bagdad, eletto la scorsa primavera, per contrastare una simile sfida sta lavorando all’individuazione di alcune aree del Paese dove concentrare la minoranza religiosa. Una possibilità, quella della nascita di una regione speciale cristiana, già prevista dalla Costituzione sebbene attualmente i fedeli non sembrino d’accordo. Il rischio è la ghettizzazione.

Al via anche una commissione speciale incaricata di fronteggiare l’emergenza attentati, presieduta dal cristiano Yunadem Kanna. Molte le proposte già sul tavolo del nuovo organismo, tra cui la creazione di un unico corpo speciale di intelligence che dovrebbe occuparsi della difesa dei cristiani. L’ipotesi è di istituire un presidio militare speciale a Ninive. Inoltre, nel tentativo di arrestare l’esodo dei fedeli, è stato approvato il blocco delle vendite immobiliari di case e proprietà dei cristiani. Per favorire la ricostituzione del tessuto sociale, è stato invece richiesto lo stanziamento di un fondo per risarcire le vittime degli attentati e ricostruire case e chiese danneggiate.

Qualcuno, in proprio, cerca tuttavia già di contrastare la violenza degli estremisti islamici. A Karamlis i cattolici assediati tentano l’autodifesa. Il quartier generale dei miliziani è proprio di fronte alla grande chiesa di Sant’Adday. Una volta era solo un ufficio postale, oggi è il posto di comando da cui Shaker Banjamin e Latif Issa, due quarantottenni ex ufficiali di Saddam che dalla caduta del dittatore, rimasti disoccupati e senza stipendio, organizzano la difesa di 5.000 cristiani sotto scacco. Una vera e propria milizia «crociata» forte di 243 uomini guidati da dieci ufficiali provenienti dai ranghi dell’ex esercito saddamista. I combattenti sono tutti volontari e si accontentano di un piccolo contributo tratto dalla questua in chiesa.

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ZENIT Staff

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