di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 3 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Ha suscitato un enorme interesse e un dibattito acceso il documento sottoscritto da 40 autorevoli scienziati che avevano partecipato ad un convegno organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze (PAS) sul tema: “Le piante transgeniche per la sicurezza alimentare nel contesto dello sviluppo”.
I mezzi di comunicazione di massa si sono preoccupati di sapere se il documento, sottoscritto anche da autorevoli membri della Pontificia Accademia delle Scienze, riflettesse o meno la posizione ufficiale della Chiesa cattolica.
Meno attenzione è stata data al contenuto del documento in questione che presenta punti di vista originali non solo nel settore scientifico ma anche in quello economico-commerciale ed etico sociale, soprattutto nei settori della giustizia ed in quelli della difesa del bene comune.
Per cercare di saperne di più ZENIT ha intervistato il prof. Piero Morandini, ricercatore e docente di Biotecnologie vegetali e Fisiologia vegetale presso l’Università degli Studi di Milano, nonché uno dei due italiani che hanno partecipato al convegno della PAS e alla stesura del documento.
Quali sono i contenuti importanti del documento pubblicato al termine del convegno organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze?
Morandini: Devo innanzitutto chiarire che non è un documento della PAS, ma di un gruppo di lavoro convocato dalla PAS per una Settimana di studio. Occorre aggiungere che erano presenti il Presidente, il Cancelliere, il Card. G. Cottier e diversi membri della PAS, in particolare quelli che hanno più autorevolezza nel settore della biologia, vale a dire il prof. Werner Arber, uno dei padri dell’ingegneria genetica e premio Nobel in quanto co-scopritore degli enzimi di restrizione, il prof. Peter Raven, botanico di fama mondiale, il prof. Ingo Potrykus, inventore del Golden Rice e organizzatore della Settimana di studio, il prof. Rafael Vicuña, biologo molecolare cileno e la prof. Nicole M. Le Douarin, biologa dello sviluppo. Sono tutti scienziati di grande fama, la cui statura non può essere messa in dubbio da nessuno.
E’ quindi giusta e doverosa la precisazione che il documento sottoscritto (http://www.ask-force.org/web/Vatican-PAS-Statement-FPT-PDF/PAS-Statement-Italian-FPT.pdf) non può essere considerato ”una posizione ufficiale della Santa Sede o del magistero della Chiesa sull’argomento”, come chiarito da padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Allo stesso tempo, se i membri della PAS che sono esperti nel settore della Biologia hanno sottoscritto il documento, questo vorrà pure dire qualcosa. Gli altri membri della PAS (fisici, matematici…) hanno chiaramente poca autorevolezza nel settore specifico e quindi risulta difficile capire come possano aggiungere o togliere autorevolezza al documento, mentre tra gli esperti esterni troviamo gente come Marc van Montagu, uno dei padri di tutta la biotecnologia vegetale. Inoltre, il tutto si è svolto in Vaticano, nella sede della PAS e attraverso l’organizzazione dalla PAS, non per caso ma anche per indicare l’attenzione che il Vaticano e la PAS hanno verso questo tema. Per ultimo e più importante, la PAS aveva già prodotto un suo documento pubblicato nel 2001 (che tra l’altro viene chiaramente ripreso nel documento appena rilasciato) che era già molto chiaro e che è tuttora disponibile (http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_academies/acdscien/documents/newpdf/es23.pdf) sul sito ufficiale del Vaticano.
Fatta questa doverosa premessa, i tre messaggi principali possono essere così riassunti: Primo, questa tecnologia, dopo 15 anni di uso nel mondo reale su centinaia e centinaia di Milioni di ettari ha già dimostrato ampi benefici, anche nei paesi in via di sviluppo. Secondo, i rischi connessi alla modificazione genetica per transgenesi sono gli stessi di quelli presentati dalle piante convenzionali, in cui però le modifiche sono casuali, generalizzate e spesso imprevedibili, sia nei dettagli molecolari che nei loro effetti. Terzo, è quindi insensato sottoporre i prodotti della transgenesi a una normativa così costosa e stringente da rendere l’approvazione per la coltivazione impossibile alle università ed ai centri di ricerca pubblici. Questa normativa ha di fatto ucciso la possibilità che la ricerca pubblica possa contribuire a risolvere i problemi dei Paesi in via di sviluppo. Questi problemi sono principalmente le basse rese (dovute a malattie, piante parassite, danni da insetti, siccità, inondazioni, erbacce…), ma anche carenze nutrizionali e cibi contaminati da tossine.
In sintesi, è la normativa iperprecauzionale (ma non scientifica) e costosa che impedisce lo sfruttamento di questa tecnologia a beneficio dei poveri. Tutti gli altri ostacoli, vale a dire brevetti, adattamento alle condizioni locali, carenza nei fondi di ricerca…ecc., diventano, nei fatti, poco rilevanti.
Quali sono le novità di questo documento?
Morandini: La chiarezza su alcuni punti e la visione globale. La chiarezza nel dire a chi si oppone, magari per le più sacrosante indignazioni di questo mondo che sorgono di fronte a casi di sfruttamento indegno che si verificano in certi paesi, che non considerare la grande mole di evidenze scientifiche e di esperienze nel mondo reale, rischia di uccidere questa tecnologia e di avere il massimo effetto negativo proprio sui poveri, in nome dei quali gli oppositori sembrano voler parlare. Non possiamo continuare a dibattere di rischi ipotetici ed immaginari quando queste cose sono state oggetto di studi e di migliaia di pubblicazioni. Occorre muovere un passo avanti, partendo da quanto assodato e cercando di risolvere i problemi. Chiarezza perchè si riconosce che la scienza e l’impresa hanno l’obbligo morale di rendere questa tecnologia accessibile ai meno fortunati. Anche se si riconosce che questo è già stato fatto in alcuni casi, è chiaro che è possibile e si deve fare di più.
Visione globale perchè si riconosce che comunque gli OGM non sono “la” soluzione agli enormi, numerosi e diversificati problemi che affliggono le popolazioni che vivono per e di agricoltura sul nostro pianeta e che sono circa la metà della popolazione mondiale. Infatti la mancanza di infrattustrure, di stabilità politica, di educazione agricola…sono questioni irrinunciabili. Senza tutte queste cose, pretendere che gli OGM siano una bacchetta magica che può risolvere tutto, è sbagliato e pretestuoso. E’ però evidente che questi stessi problemi si applicano a qualsiasi tipo di agricoltura che non sia quella tipica di sussistenza, praticata da secoli in molti paesi e spesso associata a malattie e carestie. Questi problemi non sono quindi peculiare degli OGM o una conseguenza del loro uso, mentre, al contrario, alcuni dei problemi potrebbero essere mitigati attraverso gli OGM. Ad es. usando le piante che si autoproteggono dai parassiti che quindi non necessitano di pesticidi, l’unica cosa di cui c’è bisogno è il seme.
Il documento sostiene che gli OGM sono una grande opportunità per gli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo. Può spiegarci perchè?
Morandini: Sono un’opportunità in molti modi, anche se chiaramente non esiste alcuna panacea, perchè ogni situazione va affrontata per le sue peculiarità: il tipo di problema agricolo, le pratiche locali e anche la cultura locale (es. le preferenze alimentari). Ho ancora negli occhi le immagini proiettate nella presentazione del collega W. Parrott (Università della Georgia, USA) (http://www.ask-force.org/web/Vatican1/PAS-28-Parrott-Myths-Realities-20090518.pdf )
in cui raccontava del Guatemala e dell’alta incidenza di difetti del tubo neurale come la spina bifida. In certe zone rurali la frequenza di questi difetti è più di 30 volte la frequenza del mondo occidentale, e questo è dovuto in grandissima parte al consumo di mais contenente alcune tossine prodotte dai funghi che contaminano il raccolto. Il mais transgenico Bt potrebbe ridurre drasticamente questi casi perchè riduce il danno da insetti e quindi la conseguente contaminazione da funghi sulle pannocchie. Invito tutti a leggere la sua relazione (http://www.sciencedirect.com/science/article/B8JG4-506RN94-2/2/41a40cb121ad20dd44db6f76d34f1bd5).
Mi sono ancora commosso di fronte alle immagini delle piante parassite che distruggono i raccolti in Africa, immagini presentate dal prof. Jonathan Gressel (http://www.ask-force.org/web/Vatican1/PAS-26-Gressel-Environmental-Risk-20090518.pdf) del Weizman Institute. In molti Paesi africani, ma non solo, sono presenti piante parassite che si attaccano con le loro radici alle radici delle altre piante e ne succhiano i nutrienti. Così ad esempio il mais spunta, incomincia a crescere, ma poi di colpo avvizzisce e non produce niente perchè viene annichilito dalla pianta parassita, quasi come se fosse un maleficio di una strega; infatti queste piante parassite, con fiori bellissimi, sono chiamate witchweed, (erbacce della strega). Anche qui la biotecnologie potrebbe aiutare a prevenire l’infestazione molto efficacemente.
Ma penso anche alla Cassava e ad altre specie parzialmente tossiche, o a quelle minacciate da virus e parassiti. Penso al Golden rice e chiedo a tutti i lettori di Zenit, li imploro, di andare a vedere la vedere la nona diapositiva della presentazione del prof. Peter Beyer (http://www.ask-force.org/web/Vatican1/PAS-08-Beyer-Golden-Rice-Crops-20090515.pdf). Il Golden rice contiene provitamina A ed è stato creato per prevenire la cecità e la morte nei bambini poveri la cui dieta è basata prevalentemente sul riso, cecità e morte dovute alla carenza della vitamina. La prima versione della pianta transgenica è del 1999, ma arriverà, forse, nei campi degli agricoltori poveri di alcuni paesi asiatici, solo nel 2012.
L’immagine che mi ha colpito di più è stata una di quelle presentate dal prof. Zeigler (http://www.ask-force.org/web/Vatican1/PAS-29-Zeigler-Support-Research-20090518.pdf) , direttore dell’IRRI (Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso con sede nelle Filippine). Nella settima diapositiva si vede un uomo accovacciato che scava in un campo di riso dopo che il riso è stato già raccolto. Alla domanda “che cosa sta facendo?” che Zeigler ha posto al suo collaboratore, si è sentito rispondere: “sta scavando per raggiungere una tana di ratti per recuperare il riso che hanno accumulato nella tana”. Se un uomo deve rubare ai ratti per poter mangiare è ovvio che ci sono problemi con la produzione di cibo. Non entro qui nel problema, seppur rilevante, dell’accesso “finanziario” al cibo, problema che avrebbe bisogno di ben altro spazio; quello che voglio solo dire è che se riusciamo ad aumentare la produzione in loco, questo non può che avere un effetto positivo sulla possibilità che i produttori ne abbiano a sufficienza e che i prezzi del cibo possano calare.
Sulla questione più generale della distribuzione del cibo come metodo per risolvere la fame nel mondo invito i lettori a leggere un mio articolo (http://www.acton.org/pub/religion-liberty/volume-16-number-2/i-was-hungry-and-you-fed-me-ag-biotech-and-hunger). Anche nel caso delle rese, la biotecnologia può aiutare. Per il riso, ad esempio l’IRRI ha isolato un gene che conferisce resistenza alla sommersione (e quindi alle inondazioni che spesso colpiscono le zone dove si cresce riso). La sola presenza di questo gene può fare la differenza tra un raccolto abbondante e nessun raccolto.
Potrei continuare con numerosi esempi. Invito i lettori non solo a guardarsi le presentazioni (che sono tutte disponibili) (http://www.ask-force.org/web/Vatican-PAS-Slides-PDF/Powerpoint-Presentations-PAS-200905.pdf ) fatte durante il convegno, ma anche a leggersi i lavori pubblicati (anche questi tutti disponibili) (http://www.sciencedirect.com/science/issue/43660-2010-999729994-2699796) sulla rivista New Biotechnology, in cui la posizione dei singoli autori è argomentata nel dettaglio.
Chiedo ai giornalisti di intervistare queste persone e farsi spiegare le potenzialità e i benefici reali e potenziali delle biotecnologie.
In merito al rischio che le multinazionali sfruttino i Paesi poveri, il documento sostiene che il problema più grande sono le opposizioni che stanno facendo lievitare i costi per la brevettazione ed in particolare l’onerosa regolamentazione. Insomma secondo il documento siamo al paradosso in cui coloro che si dicono critici delle multinazionali in verità le stanno favorendo, penalizzando invece la ricerca biotech dei Paesi in via di sviluppo. Può illustrarci il contenuto di questo punto del documento?
Morandini: In verità, come accennato prima, i brevetti di fatto non sono un ostacolo per diversi motivi (che varrebbe la pena di sviscerare separatamente). La regolamentazione è il punto cruciale, perchè richiede, per la coltivazione e la commercializzazione, una lunghissima serie di test, caratterizzazioni molecolari, prove di campo e di alimentazione, che diventa insostenbile per la ricerca pubblica. Penso ad esempio al seme di cotone reso commestibile per transgenesi a cui accenno nella pubblicazione (http://www.sciencedirect.com/science/article/B8JG4-50DYHB8-1/2/1a62001700632583af489b7a83ccc9a6 ). Questa pianta transgenica, pubblicata nel 2006, se fosse introdotta e incrociata con le varietà locali, renderebbe commestibili i semi di cotone, mettendo a disposizione a mezzo miliardo di persone una dose di 50 g di proteine al giorno (10 milioni di tonnellate di proteine ogni anno) e questo senza aumentare la coltivazione, senza spruzzare pesticidi o erbicidi, senza alcun brevetto. Gli autori lo renderebbero infatti disponibile gratuitamente ai Paesi poveri, se solo riusciranno ad ottenere i soldi per arrivare alla commercializzazione. Potrei fare molti altri esempi.
Sono quindi i miti della pericolosità ambientale e sanitaria degli OGM, spesso creati e propagati ad arte, che hanno contribuito a modellare la legislazione vigente e che contribuiscono a mantenerla e molti addirittura chiedono di renderla ancora più restrittiva. In tal modo hanno ucciso la ricerca pubblica e hanno consegnato la tecnologia praticamente nelle mani dei grandi gruppi privati. Quindi coloro che, per paura delle multinazionali e dello sfruttamento indebito, hanno osteggiato i transgenici, hanno di fatto contribuito a creare condizioni più favorevoli per questo sfruttamento. Guardate solo all’Italia: la sperimentazione in campo è stata bloccata da quasi dieci anni. Chi ne ha beneficiato eliminando la ricerca pubblica italiana? Anche questa sarebbe una domanda da esplorare…
Una certa cultura accusa la Chiesa cattolica di essere oscurantista, mentre il documento mostra che la Chiesa è sicuramente molto attenta, lungimirante e aperta alle i
nnovazioni scientifiche e tecnologiche. Qual’è il suo parere in proposito?
Morandini: E’ interessante girare nei blog che riportano la notizia e vedere il mondo dei lettori spaccarsi in due. Quelli che si rallegrano perchè la Chiesa, secondo loro, finalmente ci azzecca su qualcosa e quelli che sostengono, arrabbiati, che la Chiesa sbaglia anche in questo caso, perchè così favorirebbe le multinazionali. La mia posizione, in quanto scienziato e in quanto figlio della Chiesa, è che l’attitudine che pervade la cultura ebraico-cristiana, vale a dire il mandato di “custodire e coltivare il giardino”, abbia in sè il germe della tecnologia. In una visione del mondo in cui si riconosce che l’intelligenza è un dono di Dio, che il mondo è intelligibile e che “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” (Benedetto XVI a Ratisbona), l’uso dell’intelligenza per modificare la natura è del tutto naturale e accettabile e la tecnologia, che da tale uso deriva, non è condannabile in sè, ma è condannabile solo quando comporta un danno alla natura o all’uomo.
Quindi l’opposizione non è a priori, ma solo se ci sono conseguenze negative. Ancora due citazioni per sottolineare l’apertura della Chiesa all’azione dell’uomo che indaga la natura, per capirla e per usarla in modi sempre nuovi. La prima ancora dal discorso di Regensburg: “Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte della decisione di fondo dello spirito cristiani”, e l’altro nella Caritas in veritate: “La tecnica — è bene sottolinearlo — è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. (…) Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità“. Se non è sufficiente questo a convincere, non so che altri “armi” usare…
In conclusione, ed anche in relazione a questa domanda, invito tutti a leggere la dichiarazione e, specialmente le persone coinvolte nei media e nell’educazione, anche le singole relazioni presentate, per poter iniziare a prendere coscienza dell’immenso corpus di evidenze raccolte che ci rassicurano sul potenziale e sui benefici di questa tecnologia. Dopodichè traggano le loro conclusioni.