di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 30 novembre 2010 (ZENIT.org).- Mentre la sorte di una donna cristiana condannata a morte rimane incerta, una corte ha assolto un ricco avvocato accusato di aver ucciso una dodicenne cristiana.

Per ora niente grazia per Asia Bibi, la prima donna ad essere condannata a morte in Pakistan in nome della discussa legge sulla blasfemia. Lo ha stabilito lunedì il giudice capo dell'Alta Corte di Lahore (capoluogo della provincia del Punjab), Khawaja Mohammad Sharif, che ha accolto una petizione presentata da un gruppo di avvocati, chiedendo di bloccare l'eventuale indulto concesso dal presidente Asif Ali Zardari (AFP, 29 novembre).  Il caso dovrà seguire il normale iter giuridico, vale a dire dall'appello presso la stessa Alta Corte di Lahore alla Corte Suprema e dopo eventualmente al presidente Zardari.

Parlando con l'agenzia Fides (29 novembre),  il vescovo ausiliare di Lahore, monsignor Sebastian Shaw, si è dichiarato “favorevole”. “Vogliamo - così ha ribadito - che Asia sia dichiarata innocente una volta per tutte, senza alcuna macchia e senza ambiguità. Perché vogliamo disinnescare le polemiche sollevate dagli estremisti islamici e depotenziare le loro sollevazioni popolari”.

La quarantacinquenne Asia (o anche Aasia) Bibi, sposata e madre di quattro figli (alcune fonti parlano di cinque), era stata condannata a morte per impiccagione lo scorso 7 novembre dal giudice Naveed Iqbal, del tribunale del distretto di Nankana Sahib, nella provincia del Punjab, in nome della legge sulla blasfemia. La sezione 295-C del codice penale, introdotta nel 1986 sotto l'allora dittatore e generale Mohammad Zia-ul-Haq (1924-1988), prevede la pena di morte per le persone trovate colpevoli di blasfemia o oltraggio nei confronti del profeta Maometto.

Il caso della Bibi risale già al giugno 2009, quando la operaia agricola viene incaricata di portare dell'acqua, poi rifiutata da un gruppo di donne musulmane. Sostengono che la Bibi è “impura” (“haram” o estranea all'islam) perché non è musulmana e dunque ha reso a sua volta l'acqua impura. Scatta un forte litigio fra le donne, durante il quale la Bibi viene accusata di aver offeso il Profeta. Come racconta il sito AsiaNews (15 novembre), durante l'alterco la donna cristiana avrebbe spiegato la morte di Gesù sulla croce per i peccati dell’umanità, chiedendo poi alle altre donne che cosa avesse fatto Maometto per loro. In seguito, la donna è stata arrestata e messa sotto accusa. A pronunciare la sentenza con la condanna alla pena di morte è stato dunque più di due settimane fa il giudice Naveed Iqbal, il quale ha ribadito – così si legge nella copia del verdetto - “non ci sono circostanze attenuanti”.

Secondo l'attivista dei diritti umani Ali Dayan Hasan, esperto dell'organizzazione Human Rights Watch (HRW) per l'Asia del Sud, citato da Myra MacDonald (Reuters Blogs, 19 novembre), l'idea che i cristiani e i non musulmani siano “impuri” è purtroppo molto diffusa in Pakistan, soprattutto nella provincia del Punjab. “Apparentemente, la corte avrà pensato che va benissimo affermare che i cristiani sono impuri e se rispondono accusando i loro detrattori di bigotteria sono colpevoli di blasfemia”, così osserva l'attivista. Per Mahir Ali, commentatore del quotidiano pakistano di lingua inglese Dawn (“No excuse for intolerance”, 17 novembre), la tesi della presunta impurezza della Bibi è “uno spregevole ma non del tutto sorprendente regresso ai pregiudizi di casta associati a varianti dell'induismo”.

La condanna inflitta alla donna cristiana ha suscitato forti preoccupazioni da parte della Chiesa. Al termine dell'Udienza generale del 17 novembre scorso, Papa Benedetto XVI ha lanciato un sentito appello a favore della liberazione di Asia Bibi. “Oggi esprimo la mia vicinanza spirituale alla signora Asia Bini e ai suoi familiari, mentre chiedo che, al più presto, le sia restituita la piena libertà”, ha detto il Pontefice, che ha richiamato poi l'attenzione alla “difficile situazione dei cristiani in Pakistan, che spesso sono vittime di violenze o di discriminazione”. A confermare i timori espressi dal Pontefice è stato monsignor Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad e vice presidente della Conferenza Episcopale del Pakistan. In un'intervista con l'agenzia Fides (20 novembre), il presule ha sottolineato la crescente intolleranza religiosa che da anni ormai si registra nel paese, la quale “colpisce le comunità cristiane, le altre minoranze religiose ma anche i gruppi di fedeli musulmani moderati, come quelli che frequentano i santuari sufi, spesso vittime di attacchi terroristici”. Per monsignor Coutts, la Bibi è “simbolo di tutti i cristiani vittime dell'odio religioso e della legge sulla blasfemia, divenuta un'arma contro gli avversari, per compiere vendette personali”. In una testimonianza pubblicata il 16 novembre dall'agenzia AsiaNews, un sacerdote pakistano (che mantiene l'anonimato per motivi di sicurezza) descrive il clima di insicurezza e di intolleranza che si respira nel suo paese, frutto anche della legge sulla blasfemia, “una spada di Damocle sulle nostre teste”. “La nostra Chiesa – ribadisce il prete – è una Chiesa che soffre: scuole, chiese, ospedali sono stati attaccati, e più di 300 case di cristiani date alle fiamme. La crescente islamizzazione del Pakistan spaventa i cristiani, e li rende insicuri”.

Anche numerosi esponenti della lotta per i diritti umani e organizzazioni non governative hanno protestato contro la sentenza e hanno organizzato raccolte di firme per la liberazione della donna, fra cui l'ONG Peace Pakistan. Subito dopo la condanna, il direttore di Release International, Andy Dipper, si è dichiarato scioccato e ha ribadito che il Pakistan “ha varcato una linea” (AsiaNews, 09/11). Per Saman Wazdani, musulmana ed attivista per i diritti umani, “le donne del Pakistan si stanno muovendo. Il caso di Asia Bibi ha fatto pressione sulle nostre coscienze per chiedere l'abrogazione della legge sulla blasfemia” (idem, 17 novembre). Secondo la Commissione pakistana sullo Stato delle Donne (NCSW) e l'ONG Life for All, l'accusa mossa contro la Bibi è falsa e l'inchiesta nei suoi confronti presenta “grossolane irregolarità” (idem, 19 novembre).

Tutti concordano che la legge sulla blasfemia va urgentemente rivista, se non abolita del tutto. L'attivista pakistano Ali Dayan Hasan non ha esitato a definire la norma “assolutamente oscena”. “Essa è utilizzata – ha detto a AsiaNews (15 novembre) – soprattutto contro gruppi vulnerabili che soffrono discriminazione politica e sociale. In particolare essa è utilizzata contro le minoranze religiose e le sette eretichemusulmane”. A riconoscere gli abusi è il ministro per le Minoranze, Shahbaz Batthi. Secondo l'esponente della minoranza cattolica, “nella maggior parte dei casi la legge sulla blasfemia è un abuso del diritto utilizzato per dirimere questioni personali, vendette politiche e tensioni fra comunità religiose” (idem, 18 novembre). Lo stesso governatore della provincia del Punjab, Salmaan Taseer, ha ammesso che la norma è un “residuato del regime militare del generale Zia-ul-Haq e oggi viene utilizzata per perseguitare i cristiani e altri gruppi” (idem). Per il giornalista Mahir Ali, “non c'è alcuna scusa credibile” per mantenere la norma.

Un parlamentare pakistano si è già offerto per avviare una revisione della legge anti-blasfemia. Come ha riferito l'agenzia Fides (26 novembre), nei giorni scorsi la deputata musulmana Sherry Rehman, membro del Pakistan People Party (PPP, al governo) e presidente del prestigioso Jinnah Institute, ha presentato presso la Segreteria del Parlamento una dettagliata proposta di revisione della legge sulla blasfemia. Nel documento che ha ricevuto Fides, ci sono diverse proposte, ad esempio: cinque anni di reclusione invece della pena capitale per chi commette il reato di blasfemia, punire severamente le false accuse di blasfemia e  l'invio dei procedimen ti per blasfemia o per oltraggio all’Alta Corte. Come ha dichiarato la Rehman, la quale considera la revisione una delle “priorità a livello politico, sociale e religioso”, “auspichiamo che il Presidente dell’Assemblea inserisca la mozione nell’agenda dei lavori” della prossima sessione dei lavori dell'Assemblea, in programma per il 20 dicembre.  

Ma il compito si preannuncia molto arduo. A difendere con i denti la legislazione sono i movimenti e partiti islamici, i quali sostengono che risalga direttamente al profeta Maometto e ai Califfi. Lo ha detto il capo dell'organizzazione ATAS (Aalmi Tanzim Ahle Sunnat), Pir Afzal Qadri. I movimenti radicali aumentano d'altronde le loro pressioni sul presidente Zardari, sempre del PPP, e lo mettono in guardia dal concedere la grazia alla Bibi. Una tale mossa sarebbe secondo Ameer Syed Munawar Hasan, del Jamat-e-Islami (JI), “il chiodo definitivo” sulla bara del suo governo (AsiaNews, 24 novembre).


Per quanto riguarda la Bibi, rimane la domanda: cosa succederà alla donna? Anche in caso di un esito positivo dell'iter processuale, la sua vita rimane in “estremo pericolo”. A lanciare l'allarme è stata Tahira Abdullah, musulmana e attivista per i diritti umani. “I leader islamici radicali diranno che una colpevole di blasfemia è stata liberata e vorranno farsi giustizia da soli. Chiunque potrà ucciderla, per difendere il nome del Profeta, ottenendo così la promessa del paradiso”, ha detto a Fides (23 novembre). Gli stessi timori sono stati espressi da un sacerdote pakistano (AsiaNews, cfr. supra). “Sfortunatamente viviamo in una società dove un uomo, giudicato innocente da un tribunale, venga ucciso da musulmani fanatici che lo uccidono dove e quando lo trovano. Come risultato, la persona sa che potrebbe essere assassinata ovunque e comunque dai fanatici musulmani. Egli ha solo una via di scampo: scappare in un altro Paese per salvarsi la vita”, così avverte. La stessa promotrice della revisione della legge sulla blasfemia, la deputata Sherry Rehman, teme “che Asia, simbolo di tale campagna anti-blasfemia, non potrà più vivere in Pakistan perché sarà in pericolo di vita. Dovremo metterla al sicuro all’estero”.

Il passato le dà purtroppo ragione. Nel luglio scorso, infatti, alcuni sconosciuti hanno ucciso all'uscita del tribunale di Faisalabad, sempre nella provincia del Punjab, due fratelli cristiani – Rashid Emmanuel e Sajid Masih Emmanuel -, arrestati il mese precedente dopo la scoperta di alcuni volantini ritenuti “blasfemi” (AsiaNews, 19 luglio). Come ha ricordato di recente Mira Sethi sul Wall Street Journal (21 giugno), per gli estremisti pakistani i non musulmani – i membri della minoranza o setta musulmana Ahmadi (o ahmadiyya) in testa - “meritano la morte” (wajib ul qatl). Un messaggio chiaro e netto, purtroppo.

Nel frattempo continua a scorrere il sangue dei cristiani in Pakistan. Nel Punjab, due estremisti islamici hanno ucciso il 18 novembre il ventiduenne Latif Masih. Al giovane era appena stata concessa la libertà su cauzione in un altro caso di presunta blasfemia o dissacrazione del Corano. “Nessun musulmano tollera un uomo che commette atti blasfemi”, ha commentato l'ispettore di polizia Rafique Ahmed. Sempre nel Punjab, sei militanti – probabilmente membri del gruppo terroristico Lashkar-e-Taiba – hanno ucciso il 12 novembre nella località di Mehmoodabad quattro membri di una famiglia cristiana (Compass Direct News, 19 novembre).

I responsabili di questi attacchi non vengono quasi mai identificati. Ma anche nei casi in cui gli autori di una violenza anti-cristiana vengono arrestati, prevale di norma l'impunità. Emblematico è il caso della giovanissima Shazia Bashir, 12 anni. Come ha riferito il 27 novembre l'agenzia Fides, il tribunale di primo grado a Lahore ha assolto infatti il facoltoso avvocato musulmano Chaudhry Mohammad Naeem, ex-presidente della Lahore High Court Bar Association, accusato assieme al figlio Haris e alla moglie Ghzala di aver torturato, violentato e poi ucciso nel gennaio scorso la ragazzina cristiana, la quale lavorava come collaboratrice domestica per la famiglia. Secondo il tribunale, non ci sono le prove inconfutabili che la Bashir sia stata violentata ed uccisa.

Secondo le fonti consultate da Fides, l'intero processo è stato abilmente manipolato. “Non è la prima volta che in casi simili a questo – così ha detto a Fides il responsabile del Centre for Legal Aid Assistence and Settlement (CLAAS), Nasir Saeed – l'esito dei processi lasci impuniti influenti cittadini musulmani, nonostante le atrocità compiute su cristiani poveri e indifesi”. Sin dall'inizio, la comunità cristiana temeva che gli imputati rimanessero impuniti. Segnali malauguranti sono state le pressioni da parte degli avvocati della Lahore High Court Bar Association, che avevano minacciato di “bruciare vivo” chiunque avesse difeso la famiglia della ragazzina uccisa (AsiaNews, 06 febbraio) e  la decisione del tribunale di Lahore di concedere la libertà su cauzione a Muhammad Naeem, alla moglie e al figlio (idem, 16 febbraio).

L'assoluzione del ricco avvocato è l'ennesimo duro colpo per la minoranza cristiana del Pakistan, che in questi giorni ha ricevuto il sostegno del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Arrivato il 25 novembre nel paese  per una visita fissata da tempo, il porporato ha partecipato ad un meeting interreligioso e ha incontrato anche le autorità civili, fra cui proprio il presidente Asif Ali Zardari. A Lahore, il cardinale ha inaugurato domenica 28 novembre – ultimo giorno del suo viaggio – in presenza di vari capi religiosi un nuovo “Centro per la Pace”, promosso dai padri Domenicani. Monsignor Sebastian Shaw, vescovo ausiliare di Lahore, ha ringraziato il Papa “per aver inviato il Card. Tauran a vedere da vicino la nostra situazione e ad ascoltare i nostri problemi, con grande empatia” (Fides, 29 novembre).