Come fare affinchè la politica protegga e valorizzi la famiglia?

di mons. Giampaolo Crepaldi*

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TRIESTE, giovedì, 11 novembre 2010 (ZENIT.org).- La famiglia è  il  luogo della vita: dove  la vita viene generata e dove la vita viene accolta. Poiché l’uomo non è una cosa, la vita umana non viene prodotta, come si produce in un laboratorio o in una  fabbrica. La dignità della persona umana richiede che  la vita  sia generata ed accolta nella famiglia, ossia in un contesto di amore e dedizione reciproca, di responsabilità e di impegno educativo. Il figlio ha diritto alla famiglia, mentre la famiglia non ha diritto al figlio. Il figlio ha diritto ad essere concepito in modo umano, ossia come espressione dell’amore tra suo padre e sua madre, di un amore disinteressato e quindi aperto alla vita. Ha diritto  a non essere prodotto  in  laboratorio e concepito in una provetta mediante un intervento medico. La vita e la famiglia, quindi, si richiamano l’un l’altra. Non c’è vero amore tra i coniugi se non aperto responsabilmente alla  vita,  perché in questo caso la strumentalizzazione reciproca, più o meno consapevole, si farebbe sentire. La vita, del resto, non sarebbe degnamente accolta ed onorata se non ricevuta in una famiglia, ove il nuovo arrivato si senta accolto, protetto e da dove può ricevere l’educazione necessaria per la vita.

La  famiglia è la cellula della  società,  si dice spesso. Con questa espressione si intende dire di solito che la famiglia è già società in sé, è il primo nucleo della società e che l’intera società nasce dalla famiglia. Si può anche dire che nella famiglia si sprigiona una energia relazionale che poi si dirama nella società intera. Non è che sia la società, o peggio ancora lo Stato, a fondare la relazionalità umana. Questa appartiene alla persona, che è relazionale per sua natura, e viene vissuta prima di tutto in famiglia. In questo senso la famiglia è all’origine della società e senza famiglia non c’è nemmeno società, ma una somma di individui. Per questo all’origine deve esserci non due individui asessuati, ma un maschio e una femmina, ossia una coppia. due  individui asessuati o dello stesso sesso non fanno una coppia, ma solo due individui. Maschio e femmina costituiscono la  coppia da cui nasce la società prima di tutto per la loro complementarietà: si completano a vicenda. In secondo luogo per la loro apertura reciproca nella complementarietà: tendono all’unione, ad essere “due in una carne sola”, ad essere una sola realtà. In terzo luogo perché, la loro apertura reciproca significa apertura alla vita: sono capaci di generare una nuova vita in modo umano, sono fonte di umanità, possono continuare la comunità umana nel futuro. Questo comporta avere presente l’aspetto sociale e politico della sessualità, che oggi purtroppo viene invece individualizzata e intesa in modo funzionale e non espressivo della natura della persona. Se la sessualità viene separata dalla procreazione, essa diventa un fatto tecnico, che può essere messo in atto da due individui asessuati, nel senso che non interessa il loro sesso. Ma una sessualità individualizzata e ridotta a  tecnica non è più una  sessualità pienamente umana. Manca del carattere di apertura  reciproca nella complementarietà  e  della  uni-dualità. All’origine  della società non stanno quindi due individui ma una coppia di un uomo e di una donna, aperti alla reciproca accoglienza nella complementarietà sessuale e aperti alla vita.

Non abbiamo riflettuto a sufficienza sugli effetti negativi della individualizzazione della sessualità, che è invece il fatto umano originario della società stessa. Per questo la società non può rinunciare a nascere da una famiglia, significherebbe intendersi non come un tutto relazionale, ma come un insieme di individui isolati e al massimo accostati. Se infatti all’origine ci  sono due  individui asessuati, allora anche tutti gli altri legami sociali rimarranno individuali. Se invece c’è una relazionalità complementare fin dalle origini esiste la possibilità che anche la società possa fondarsi su legami di appartenenza e reciprocità a carattere organico. L’inizio è  sempre decisivo. Lo si vede con la vita. Se non si accoglie in quel momento come si potrà essere accoglienti in seguito? Lo si vede per la famiglia: se non c’è reciprocità complementare all’inizio come potrà esserci in seguito. Le persone non si sommano né si ammucchiano; esse si relazionano.

Vediamo così gli effetti molto negativi anche per  la stessa società della separazione tra procreazione e sessualità mediante  l’inseminazione artificiale. La Fivet, ossia il concepimento in provetta, rappresenta una ferita non rimarginabile alla natura umana e alla famiglia. Alla natura perché trasforma il figlio in un prodotto, insinuando l’idea  che  la  vita  possa  essere  produzione  umana. Alla società perché la nuova vita presuppone solo una capacità tecnica e non un contesto di  amore di coppia. Infatti il concepimento  in vitro può avvenire anche mediante “donatori” di spermatozoi o di ovociti esterni alla coppia; può essere soddisfatto il desiderio di avere un figlio da parte di due donne o di due uomini; si può impiantare  l’embrione  nell’utero  di  una  donna  terza  che  può farlo a pagamento  fungendo da madre  surrogatoria. La famiglia naturale viene così decostruita e ricostruita artificialmente in molti modi seguendo i desideri dei singoli individui. La maternità e la paternità si moltiplicano: c’è quella genetica, quella biologica  e quella  sociale… dal punto di vista tecnico oggi un bambino può avere fino a 6 genitori. Specularmente anche la filiazione si moltiplica e assume molte sfaccettature. I diritti del bambino ad una famiglia composta di un uomo e una donna legati da un duraturo patto di amore  reciproco vengono negati con innumerevoli conseguenze negative sul piano psicologico e della maturazione personale e con nuove forme di disagio e disadattamento dai costi  ingenti per la comunità. Per tutti questi motivi la politica non può rassegnarsi a fare da notaio imparziale di questi desideri di frontiera, animati da spirito individualistico e incapaci di assunzione di responsabilità, in quanto sono distruttivi della dignità della persona, della donna, del figlio concepito, della sessualità e della stessa società.

Ho insistito sugli aspetti sociali della sessualità e della procreazione perché ritengo indispensabile che la politica si riappropri di questi ambiti, non nel senso di intervenire nella  responsabilità personale e di  coppia,  come avviene per esempio nei paesi che impongono con la forza la pianificazione familiare e la politica del figlio unico. Il potere politico non può intervenire nelle questioni relative  alla  sessualità  e  alla  procreazione  senza  ledere l’originaria libertà responsabile della coppia. Ciò tuttavia non significa che la sessualità e la procreazione debbano perdere  la  loro  rilevanza anche pubblica ed essere  relegati nelle scelte individuali, al limite delle scelte ludiche.

Si  tratta  di  scelte  dalle  gravi  conseguenze  sociali. del resto  i figli non  sono una proprietà privata. Sia perché essi sono persone e le persone non sono di nessuno. Sia perché  i figli  rappresentano una  risorsa per  l’intera comunità. Se bene educati, istruiti, formati ad un maturo esercizio delle virtù personali e sociali essi rappresentano un “bene comune”. Quando invece crescono male, subiscono violenza o maltrattamenti, non acquisiscono né una adeguata istruzione né una vera capacità lavorativa, quando vivono nelle aree  del  disagio e dell’emarginazione allora  producono  disfunzioni e costi per tutta la società. Per tutti questi motivi la procreazione non è un fatto  privato,  pur  se  nessuno  deve  sovrapporsi  alla  responsabilità della coppia. Il fatto stesso che a generare sia una coppia, nel senso più volte espresso di questa parola, conferma che non si tratta di un fatto privato ma originari
amente  sociale.

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*Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

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ZENIT Staff

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