Il Sinodo sul Medio Oriente nel suo contesto geopolitico e pastorale

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ROMA, sabato, 2 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo della conferenza tenuta il 13 maggio scorso presso l’auditorium di San Salvatore a Gerusalemme, da mons. William Shomali, Vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

Grazie per aver organizzato questa conferenza con lo scopo di prepararvi meglio al prossimo Sinodo per il Medio Oriente. Come sapete, il Sinodo è rivolto a tutti voi. Avete dimostrato molta sollecitudine nel rispondere alle questioni dei Lineamenta e sarete sicuramente i primi a mettere in pratica i suggerimenti del prossimo Sinodo. Grazie per la vostra collaborazione indispensabile e preziosa. Voi religiosi e religiose della Terra Santa continuate ad essere in prima fila nella Chiesa per testimoniare l’amore di Cristo verso tutti gli uomini, senza distinzioni di razza e di religione. La vostra testimonianza nell’ambito della carità, dell’educazione e dell’assistenza è unica ed irripetibile.

Il Sinodo della Chiesa cattolica per il Medio Oriente riguarda paesi arabi e non arabi, coprendo una vasta area geografica che va dall’Egitto alla Turchia, dall’Iran ad Israele, passando per i paesi del Golfo, l’Iraq, il Libano, la Siria, la Giordania, la Palestina e Cipro. Tocca direttamente o indirettamente la realtà di 14 milioni di cristiani, che vivono in mezzo a 330 milioni di abitanti, contando gli Arabi, i Turchi, gli Iraniani, i Greci e gli Ebrei. Il Sinodo si trova di fronte ad una situazione complessa e diversificata.

È vero che negli ultimi anni si è già tenuto un Sinodo per il Libano ed un altro per la Terra Santa. Sarebbe dunque giusto porsi la seguente domanda: invece di un sinodo così ambizioso per tutto il Medio Oriente, perché non preferire un sinodo particolare per ogni paese che non l’ha ancora avuto? Perché il Libano e la Terra Santa devono ricominciare lo stesso lavoro? La risposta è che il numero e la complessità dei problemi e delle sfide esistenti in Medio Oriente sono troppo grandi per essere trattati dalle diverse Diocesi e dalle diverse Chiese separatamente. Il nostro mondo globalizzato rende indispensabile un Sinodo che tratti complessivamente, globalmente tutti questi problemi comuni sotto l’autorità del Santo Padre, «cum Petro et sub Petro».

Il Sinodo si propone due principali obiettivi:

confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità attraverso la Parola di Dio e i Sacramenti;

ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese sui iuris, perché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente.

Una delle particolarità del Medio Oriente è la presenza di un grande numero di Chiese orientali sui iuris: i Melchiti, i Siriaci, i Maroniti, i Copti, gli Armeni e i Caldei.  Tali Chiese hanno da una parte bisogno di vivere i loro particolarismi liturgici, linguistici e pastorali, e d’altra parte hanno bisogno di una più grande comunione tra loro. Attualmente questa comunione lascia a desiderare. Esse hanno poi bisogno di un rinnovamento liturgico e pastorale. La Chiesa latina ha vissuto questo cambiamento e rinnovamento con il Concilio Vaticano II, che ha rivoluzionato la liturgia, l’ecclesiologia e lo sguardo verso il mondo contemporaneo.  Le Chiese Orientali hanno bisogno di una simile rivoluzione per aggiornarsi, per essere al passo con i tempi, e poter così meglio rispondere alle necessità dei fedeli di oggi. Questo valga come introduzione al tema. Entriamo ora nei dettagli.

1. La situazione geopolitica in Medio Oriente

1 – La Turchia: conta 72 milioni di abitanti, di cui la maggioranza è musulmana. I cristiani sono 100.000, cioè meno dell’1 per mille. La Turchia è un paese laico, in cui la religione (Islam) è separata dallo Stato. Questo paese sta ultimamente cercando di migliorare la propria immagine, al fine di poter entrare nella comunità europea. A suo vantaggio, si può citare la laicizzazione introdotta da Atatürk nel 1924; a suo debito invece, il genocidio armeno, di cui la Turchia si rifiuta di riconoscere la responsabilità; e così pure la divisione dell’isola di Cipro in due parti, turca e greca, di cui è allo stesso modo responsabile.

2 – L’Iran</b>: è un paese dove l’Islam sciita è dominante in tutti i settori della società. I musulmani sono 72 milioni, mentre i cristiani sono 200.000, soprattutto armeni ed assiri. Le notizie provenienti dall’Iran confermano l’esistenza di una comunità battista molto attiva che ha guadagnato la conversione al cristianesimo di migliaia di persone. Si parla addirittura di 10.000 persone. Un convertito è trattato come un rinnegato, perché si trova a tradire l’Islam e ad appoggiare il nemico per eccellenza, cioè gli Americani. L’Iran è ricco e aiuta gli sciiti del Libano e Hamas di Gaza per motivi religiosi e ideologici. Possiede ambizioni territoriali nei confronti del Golfo dove vive una grande minoranza di sciiti ridotti al silenzio.

3 – L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi uniti: in questa zona ricca di petrolio vivono 33 milioni di abitanti. I differenti regimi politici assumono un atteggiamento diverso nei confronti dei cristiani, che va dal profondo rispetto religioso del Qatar, Abu Dhabi e Dubai, all’intransigenza e mancanza di libertà, come in Arabia Saudita. Mentre il Qatar ha permesso la costruzione di una grande chiesa che può contenere 5.000 fedeli, i cristiani dell’Arabia Saudita, circa mezzo milione, non sono nemmeno autorizzati a riunirsi in preghiera. La domenica si riuniscono di nascosto in case private per pregare, chiudendosi per non essere puniti. Un altro problema è la presenza di un gran numero di lavoratori stranieri cristiani, spesso privati dei loro diritti sociali e religiosi. Inoltre l’Islam militante approfitta delle necessità economiche dei lavoratori per convertirli all’Islam. Con la promessa di lusinghieri compensi materiali, un certo numero di essi in effetti si converte ogni anno.

4 – L’Egitto: il numero dei cristiani copti non è ancora certo. Si parla di 6 milioni secondo le statistiche ufficiali dello Stato, di 12 milioni invece secondo i dati della Chiesa copta. Forse una cifra intorno ai 10 milioni si avvicina maggiormente alla realtà. Gli scontri tra i musulmani e i copti sono numerosi. Gli Egiziani sono il popolo più religioso al mondo per la pratica religiosa e anche per il fanatismo. I Copti si sentono sottovalutati e vengono privati di molti dei loro diritti, in particolare della libertà di culto (difficoltà di costruire le chiese), e della libertà di coscienza. Il loro posto nella società, e così pure il loro ruolo nel governo, è insignificante. Un esempio: su 454 parlamentari egiziani, solo 3 sono cristiani, meno dell’1 per cento, mentre la percentuale di cristiani in Egitto è almeno del 10 per cento.

«In Egitto, la crescita dell’Islam politico, da una parte, e il disimpegno, in parte forzato, dei cristiani nei confronti della società civile, dall’altra, rendono la loro vita esposta all’intolleranza, alla disuguaglianza e all’ingiustizia. Inoltre, questa islamizzazione penetra molto nelle famiglie anche mediante i mass media e la scuola, modificando le mentalità che, inconsapevolmente, si islamizzano» (Instr.laboris).

5 – L’Iraq: l’invasione americana ha decimato la comunità cristiana. Prima del 1987, contava 1.250.000 fedeli, soprattutto caldei. Attualmente sono meno di 400.000. Uno dei grandi drammi di questo secolo è il drastico esodo dei cristiani iracheni a causa dell’insicurezza e delle molestie di cui sono vittime. In Iraq, la guerra ha scatenato le forze del male nel paese, tra le correnti politiche e tra le confessioni religiose. Ha causato la morte di molti iracheni, ma tra di essi gli iracheni cristiani sono stati tra le vittime principali, essendo la comunità più esigua e più debole. Ancora oggi la politica mondiale non ne tiene conto, ignorandoli completamente.
E ciò non fa che aggiungersi ad altre calamità che hanno colpito il Medio Oriente nel passato:

–  il genocidio di un milione e mezzo di Armeni in Turchia nel 1915;

–  il genocidio perpetuato nei confronti dei Maroniti nel 1860 e la guerra civile in Libano che ha causato l’esodo di un grande numero di cristiani.

–  ed infine l’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa, fenomeno che continua da più di un secolo.

6 – La Siria: la situazione di un milione e mezzo di cristiani siriani sembra tranquilla sotto il regime del partito Baath, che conta sull’appoggio delle minoranze; la stessa famiglia Asad proviene da una minoranza Alawita. Ma c’è sempre la paura di un inaspettato cambiamento e di un repentino rovesciamento della situazione. In Iraq, ad esempio, i cristiani hanno goduto di molti privilegi sotto il regime di Saddam. Appena detronizzato, sembra che il vaso di Pandora si sia aperto, a sfavore dei cristiani. La paura di uno sconvolgimento rimane ancora presente nel mondo arabo, poiché la politica dello Stato dipende spesso dall’atteggiamento benevolo o avverso della famiglia o del partito al potere, piuttosto che da un atteggiamento popolare sostenibile..

7 – In Libano i cristiani si trovano divisi sul piano politico e confessionale e nessuno possiede un progetto che vada bene per tutti. L’equilibio politico raggiunto nel 1943, quando i cristiani erano il 55 per cento della popolazione totale, non rispecchia più la reale situazione di fatto. Gli sciiti, che stanno diventando ogni giorno sempre più numerosi e più forti, esigono maggiore autorità in Parlamento. L’equilibrio attuale è precario. Il Libano deve raggiungere una matura democrazia e uscire da un assurdo confessionalismo senza spargimento di sangue.

8 – La Giordania: la Giordania è un paese tranquillo. I cristiani vivono in condizioni favorevoli. Possono godere della libertà religiosa avendo i loro rappresentanti in parlamento e al governo. Siamo stati testimoni della calorosa accoglienza accordata dal Re e dal Governo di Giordania a Papa Benedetto XVI. Tuttavia in Giordania non esiste libertà di coscienza. È un fatto che possiamo del resto notare in tutti i paesi arabi. L’Islam sostiene di essere la religione della verità, dell’unica verità. Le altre religioni sono tollerate. Per questo non è permesso ad un musulmano di abbandonare la verità per l’errore. Cambiare religione è pertanto come tradire la società, la cultura e la nazione, basata principalmente su una tradizione religiosa.

9 – Palestina e Israele: il conflitto tra palestinesi e israeliani dura da più di 80 anni, con 6 confronti violenti a cui si aggiungono due “intifade” popolari. Si tratta di un conflitto di natura ideologica che non sembra trovare alcuna soluzione a breve termine. La situazione economica e l’assenza di sicurezza hanno obbligato gran parte dei cristiani palestinesi ad emigrare. La diaspora palestinese conta circa 500.000 persone, la gran parte delle quali si trova in Cile.

II.  Identificazione dei principali problemi che il Sinodo si trova ad avere di fronte.

Questo breve sguardo ci ha permesso di identificare i principali problemi che le comunità cristiane del Medio Oriente si trovano ad affrontare:

L’emigrazione, che ha indebolito il tessuto cristiano. Tale fenomeno ha aperto gli occhi dei musulmani moderati, che vedono in questo esodo un impoverimento della società araba, privata dei suoi elementi moderati. Molti intellettuali palestinesi, tra cui il leader palestinese Faisal Al-Husseini, l’attuale Mufti della Palestina, lo sceicco Mohammad Hussein, il  Gran Magistrato lo Sceicco Tayseer Tamimi, il Presidente Mahmoud Abbas, il Primo Ministro Salam Fayyad, hanno detto che la partenza dei cristiani è una perdita per tutti i palestinesi e pone faccia a faccia l’estremismo ebraico e quello musulmano. I cristiani sono un elemento moderato che attira la simpatia dell’Occidente sulla questione palestinese. Inoltre in passato i cristiani del Libano, dell’Egitto, della Siria, della Palestina, hanno partecipato al progresso ed allo sviluppo delle loro rispettive società. Quando il loro numero diminuirà e si ridurranno ad essere una piccola percentuale, la loro presenza sarà insignificante, un motivo in più per incoraggiare il piccolo resto ad emigrare.

– La conversione all’Islam. È vero che solo alcuni cristiani diventano musulmani, però, visto il numero ridotto delle nostre comunità, ognuno conta. In Egitto si parla di circa 15.000 giovani donne cristiane che ogni anno diventano musulmane per ragioni di matrimonio. Ogni anno succedono casi simili in Palestina e in Giordania. Ogni volta si tratta di un dramma per la famiglia, che considera questa conversione come un tradimento verso la religione oltre che verso la stessa famiglia. Queste giovani nella maggioranza dei casi vengono considerate perdute, visto che interrompono ogni contatto con la loro famiglia di origine. Tali fenomeni di conversione non riguardano solo le giovani donne. I lavoratori stranieri nei paesi del Golfo ne sono vittima allo stesso modo. Per poter trovare lavoro, la conversione all’islam aiuta moltissimo. Nel piccolo emirato di Dubai, il numero di uomini e donne che nel 2008 sono passati all’Islam è di 2763, appartenenti a 72 diverse nazionalitàhttp://www.womanmessage.com/articles.aspx?cid=3&acid=128&aid.

– La crescita dell’Islam politico :   «La crescita dell’Islam politico, a partire dagli anni ’70, è un fenomeno saliente che si ripercuote sulla regione e sulla situazione dei cristiani nel mondo arabo. Questo Islam politico comprende differenti correnti religiose che vorrebbero imporre un modo di vita islamico alle società arabe, turche o iraniane e a tutti coloro che vi vivono, musulmani e non musulmani. Per loro, la causa di tutti i mali è l’allontanamento dall’Islam. La soluzione, quindi, è il ritorno all’Islam delle origini. Di qui lo slogan: l’Islam è la soluzione. […] A questo scopo, alcuni non esitano a ricorrere alla violenza”» (Instrumentum Laboris).

– La mentalità del ghetto: «La religione, come elemento di identificazione, non solo differenzia ma può anche dividere e rendere schiavo, causando chiusura e ostilità. Il pericolo è nel ripiegamento su se stessi e nella paura dell’altro. Dobbiamo rafforzare la fede e la spiritualità dei nostri fedeli e così pure i legami sociali e di solidarietà, senza cadere in un atteggiamento ghettizzante» (Instrumentum laboris).

III. La risposta del Sinodo alle attese dei Cristiani del Medio Oriente

La Chiesa non pretenderà mai di offrire soluzioni prefabbricate a tutti i problemi dei cristiani che vivono in Medio Oriente. La situazione di ciascuna chiesa e così pure di ogni credente, è particolare e non si può trovare un rimedio unico che vada bene per tutti. La Chiesa invece può indicare i luoghi e le modalità per fornire una soluzione a questi problemi e propone pertanto tre piste principali:

1. È necessario formare i cristiani a leggere e a vivere la Parola di Dio

In Medio Oriente è molto vivo il sentimento religioso e così pure la devozione popolare. Tuttavia la Parola di Dio non ha ancora trovato il suo giusto posto nella spiritualità della gente. La lectio divina rimane il privilegio di un’elite. Bisogna fare molti sforzi per introdurre e preparare la gente alla lettura e alla meditazione della Bibbia. Una parte del successo riscosso dalle sette viene proprio dal loro contatto con la Parola di Dio, dal fatto che si presentano dappertutto come comunità ferventi, che attirano coloro che stanno cercando allo stesso tempo esperienze umane di accoglienza e di condivisione.

Le Sacre Scritture, redatte nelle nostre terre e nelle nostre lingue (ebraico, aramaico o greco), in ambiti ed espressioni culturali e letterarie che sentiamo
nostre, guideranno la nostra riflessione. La Parola di Dio è letta in Chiesa. Queste Scritture ci sono pervenute attraverso le nostre comunità ecclesiali, trasmesse e meditate nelle nostre sacre Liturgie. Sono un riferimento indispensabile per scoprire il senso della nostra presenza, della nostra comunione e della nostra testimonianza nel contesto attuale dei nostri paesi.

Ecco una risposta alle domande dei Lineamenta, riguardante la Parola di Dio: «La Parola di Dio orienta, dà senso e significato alla vita, la trasforma radicalmente, traccia cammini di speranza, fornisce un equilibrio vitale nella nostra triplice relazione con Dio, con noi stessi e con gli altri. Aiuta inoltre ad affrontare le sfide del mondo di oggi. Dovrebbe essere tra l’altro il punto di riferimento dei cristiani nella formazione dei bambini, in particolare per alimentare un’esperienza di perdono e di carità. Di fatto, alcune famiglie si ispirano ad essa nell’educare i propri figli».

2. È necessario formare i cristiani al perdono, alla riconciliazione e all’apertura agli altri

Le regioni del Medio Oriente sono lacerate da conflitti sanguinosi, che producono odio implacabile e rancori. Curdi, Iraniani, Palestinesi, Israeliani e Libanesi hanno sofferto terribilmente, e le loro ferite non sono ancora guarite, tanto meno curate. A volte il conflitto ha alla base uno sfondo religioso che gli conferisce una natura ideologica e dunque una maggiore rigidità. La soluzione non consiste nelle rappresaglie, che creano un circolo vizioso di violenza senza fine, ma nel dialogo e nel perdono. Proprio questo sarà il lavoro, a lungo termine, degli educatori. In questo senso, i cristiani hanno il loro contributo da dare nella soluzione dei conflitti di natura politica o religiosa.

L’apertura agli altri ha anche una dimensione interreligiosa. Papa Benedetto XVI, visitando la Terra Santa, la Palestina e la Turchia, ha voluto incontrare i leader musulmani. Ha fatto lo stesso con gli esponenti della religione ebraica per favorire il dialogo interreligioso. Egli sa che il futuro dell’umanità dipende dai nostri sforzi in questa direzione.

L’apertura all’altro possiede anche una dimensione ecumenica. Tra le risposte ai Lineamenta possiamo trovare queste significative sottolineature: “Tutte le divisioni tra le Chiese del Medio Oriente sono i frutti amari del passato, ma lo Spirito opera per abbattere le barriere e portare le chiese verso l’unità visibile desiderata da Cristo: ‘Che tutti siano uno come tu Padre, sei in me e io sono in te. Che loro siano in noi, anche perché il mondo creda che tu mi hai mandato ‘(Gv 17, 20-21).

La principale differenza tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa consiste nel concetto del primato del Vescovo di Roma. Nella sua enciclica Ut unum sint (numeri 88-96, in particolare 93 e 95), Papa Giovanni Paolo II accetta la responsabilità di trovare “un modo di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una nuova situazione, tenendo conto della duplice tradizione canonica latina ed orientale “.

3 – Abbiamo bisogno di formare i cristiani a considerare la loro presenza qui come una vocazione e non come una fatalità

I cristiani che vivono in Medio Oriente, sono radicati in una cultura e in una lingua, e vivono con altri popoli con i quali condividono lingua, storia e tradizioni. I cristiani non devono sentirsi alienati. Essi sono chiamati ad essere testimoni di Cristo nei paesi in cui vivono. Emigrare dai loro paesi di origine sarebbe come sfuggire alla realtà. Abbiamo bisogno di incoraggiare i cristiani a vivere con fede e gioia nella terra dei loro antenati. La loro partenza indebolirebbe il piccolo resto, che cercherebbe allo stesso modo di andarsene.

“I Padri sinodali, pertanto, sono invitati a fornire ai cristiani le ragioni della loro presenza in una società prevalentemente musulmana, sia essa araba, israeliana, turca o iraniana. I fedeli attendono dai Pastori i motivi chiari per (ri)scoprire la loro missione in ciascun Paese. Essa non può essere altra che quella di essere testimoni autentici di Cristo risorto e nella forza dello Spirito Santo presente nella sua Chiesa, nei Paesi in cui sono nati e in cui vivono, e che sono caratterizzati non solamente da sviluppo democratico e politico, ma purtroppo anche da conflitti e da instabilità.”  (Instrumentum laboris)

Un altro aspetto potrebbe contribuire a limitare l’emigrazione: rendere i cristiani più consapevoli del significato della loro presenza e della necessità di impegnarsi qui e nella vita pubblica. Ognuno nel suo paese è portatore del messaggio di Cristo alla sua società. Questo messaggio deve essere portato anche nelle difficoltà e nelle persecuzioni.

Conclusioni

Vorrei concludere con alcuni dati riguardanti i religiosi e il clero trovati tra le risposte ai Lineamenta:

“Le risposte sottolineano l’importanza della testimonianza cristiana a tutti i livelli, in primo luogo la vita consacrata, che è presente nel nostro paese a vari livelli. La prima missione dei monaci e delle monache è la preghiera e l’intercessione per la società per una maggiore giustizia nella politica, economia, solidarietà e rispetto nei rapporti familiari, più coraggio a denunciare le ingiustizie, più onestà per non essere coinvolti in litigi della città o nella ricerca di interessi personali. Questa è l’etica che i pastori, monaci, suore, educatori religiosi devono proporre, con grande coerenza di vita personale e comunitaria alle nostre istituzioni sociali, caritative ed educative, così i nostri fedeli sono inoltre ancora più veri testimoni della Risurrezione nella società”.

“La formazione del nostro clero e dei nostri fedeli, le omelie e catechesi devono dare al credente un significato reale della sua fede, inoltre dare consapevolezza del suo ruolo nella società in nome di quella stessa fede. Egli deve essere insegnato a cercare e trovare Dio in tutto e tutti, cercando di renderlo presente nella nostra società, il nostro mondo, con la pratica delle virtù personali e sociali: la giustizia, l’onestà, la schiettezza, l’ospitalità, la solidarietà, l’apertura di cuore, la purezza dei costumi, la fedeltà, ecc. “

“I ministri di Cristo, le persone consacrate, uomini e donne, e tutti coloro che cercano di seguirlo più da vicino, assumono une pesante responsabilità sprituale e morale nella comunità: essi dovrebbero essere un modello e un esempio per gli altri. La comunità aspetta di loro vivere concretamente i valori del Vangelo in maniera esemplare. Non è sorprendente scoprire che molti fedeli auspicano da loro una maggiore semplicità di vita, un distacco reale dal denaro e dalle comodità della vita, una pratica gioiosa della castità ed una trasparente purezza di costumi. Il Sinodo dovrebbe aiutare a fare questo sincero esame di coscienza per scoprire i punti di forza, al fine di promuoverli e svilupparli, e di debolezza, al fine di avere il coraggio di correggerli.”

D. William Shomali

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ZENIT Staff

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