Fare il cristianesimo in terre di frontiera

La testimonianza di missionario italiano in Canada e di un nativo americano

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di Luca Marcolivio

RIMINI, venerdì, 27 agosto 2010 (ZENIT.org).- La fede cristiana e la predicazione possono portare davvero lontano. Alla XXXI edizione del Meeting di Rimini è stata presentata l’esperienza di un missionario di Varese, don Alfredo Monacelli, impegnato da una decina d’anni nella Vancouver Island, in Canada, a contatto con i nativi americani.

Alla testimonianza del missionario italiano è seguita quella di David Maurice Frank, indiano della Ahousat Riserve, battezzato cattolico dalla nascita. Frank ha ritrovato la fede in età matura dopo un percorso assai travagliato, grazie al contributo di un missionario.

L’incontro Fare il Cristianesimo in terre di frontiera è stato introdotto e moderato dal professor John Zucchi, italo-canadese, docente di storia alla McGill University di Montreal. “La Vancouver Island – ha spiegato Zucchi – è una terra di frontiera in cui la religione crescente è l’ateismo”.

In mezzo alle ombre della secolarizzazione, spicca tuttavia la luce dell’esperienza missionaria di don Alfredo Monacelli. La formazione culturale e spirituale di don Monacelli è stata influenzata dal carisma di Comunione e Liberazione, da lui appreso in oratorio durante l’adolescenza.

Emigrato in Canada con la famiglia, Monacelli è entrato in seminario nel 1999, all’età di 32 anni. Poco dopo l’ordinazione è stato inviato a Campbell Island dove la piccola comunità cattolica di nativi americani necessitava di un catechista.

“Mi sono accorto – ha detto don Monacelli – che il problema non erano loro ma ero io. Ho iniziato a chiedere a Gesù di non avere schemi o pre-condizioni, perché ‘la responsabilità è la conversione dell’io all’evento presente’”.

Il giovane sacerdote lombardo deve fare i conti con circostanze difficili: il clima sfavorevole, l’arretratezza, i disagi ma anche le abitudini degli abitanti del posto, soliti arrivare in ritardo agli appuntamenti anche di un’ora e mezza. “Questo mi fece capire perché molti missionari rinunciavano ai loro incarichi in questi luoghi”, ha detto don Monacelli.

“Ho scoperto, in questa circostanza – ha aggiunto il missionario italiano – il mio sangue varesino, schizzinoso: mi sono sentito oppresso dalla povertà e dalla miseria che vedevo. All’inizio andavo alla riserva con un senso di ‘dovere’, quasi controvoglia. Poi ho scoperto un di più, perché la ‘volontà di Dio’ deve attrarre, deve diventare mia”.

Il fulcro dell’esperienza missionaria di don Monacelli è stato l’incontro con il trentatreenne Don, nativo americano con gravi problemi di dipendenza dall’alcool. Ha ricordato don Monacelli: “Don mi disse: ‘vede, padre, nella mia vita niente ha senso, tutto sembra una miseria. Poi, in cinque secondi, tutto diventa chiaro. Infine tutto torna una miseria’”.

Dopo due settimane don Monacelli apprende la notizia della morte di Don, avvenuta in circostanze mai chiarite. Eppure “furono quei cinque secondi a salvarlo – ha affermato il sacerdote -. Aveva scoperto che il suo cuore desiderava qualcosa di più grande”.

Altro incontro raccontato dal missionario di Varese è quello con un anziano, malato ma sereno e con un gran rosario al collo. “Grazie, padre, di essere qui – fu il saluto riservato a don Monacelli -. Vede questo rosario? Io prego tutti i giorni”. “Davanti a quel sorriso – ha raccontato il sacerdote – io scopro perché sono lì: in quell’istante la volontà di Dio è diventata la mia. Non vorrei essere da nessun altra parte”.

La spiritualità di David Maurice Frank, unisce alla fede cattolica alcune ritualità tipiche dei nativi americani. Prima di iniziare il proprio discorso al pubblico del Meeting, Frank ha recitato una preghiera nella propria lingua madre. Il nome originario di Frank è in realtà Yawatch che significa ‘protettore delle genti’.

Frank-Yawatch ha poi raccontato la propria infanzia, l’educazione cattolica ricevuta a scuola ma soprattutto in famiglia. Quasi cinquantenni al momento della sua nascita, i genitori di Frank battezzano subito il figlio, senza trascurare di insegnargli le antiche tradizioni tribali, a loro dire, “molto simili al cristianesimo”.

Durante la sua fanciullezza Frank è però vittima di abusi sessuali da parte di un sacerdote cattolico. Un’esperienza devastante che lo allontana dalla fede e dagli insegnamenti della tradizione. “Non riuscivo a capire – ha raccontato il nativo americano -. Ho chiesto a Dio: perché hai consentito che capitasse proprio a me?”.

Frank cade poi nella dipendenza dalla droga e dall’alcool. Tenta anche il suicidio. “Pensavo che a Dio non interessasse nulla di me. E’ stato in questo periodo buio che ho sentito qualcuno bussare alla mia porta”. A salvare Frank dall’autodistruzione è un missionario cattolico di nome padre Salomon, grazie al quale, l’uomo ritrova la fede e gli insegnamenti dei suoi genitori”.

Frank è così riuscito a perdonare il prete che aveva abusato di lui. “Non era stata la Chiesa a farmi del male ma solo la malvagità di un suo rappresentante. Ho scoperto che la Chiesa era piena di tanta gente splendida e disposta ad aiutarmi, come padre Salomon e don Alfredo”.

Forte della sua esperienza, Frank ha anche aiutato una giovane donna a riconciliarsi con il fratello maggiore che aveva abusato di lei durante l’infanzia. “Con l’amore si genera la guarigione, ci si avvicina alla bontà di Dio. Al Meeting ho avvertito la presenza di Gesù Cristo”.

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ZENIT Staff

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