<p>di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 24 agosto 2010 (ZENIT.org).- Una delle mostre più frequentate al Meeting di Rimini è quella intitolata “Danzica 1980. Solidarnosc” che si apre con un commento della scrittore russo, imprigionato per 12 anni dal regime comunista, Vladimir Bukovskij.
“A prescindere dall’età e dalla nazionalità noi tutti siamo nati a Budapest – disse Bukovskij –, siamo andati a scuola a Praga, ci siamo fatti le ossa nei lager sovietici e infine abbiamo raggiunto la maturità nei cantieri di Danzica”.
Queste parole sono incomprensibili per chi non ha vissuto o conosce la storia di quei paesi europei, Polonia, Cecoslovachia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Germania est, che dopo la fine della Seconda Guerra mondiale vennero occupati dall’Unione Sovietica. Ma sono chiarissime per chi quegli eventi li ha vissuti.
La dittatura imposta dal regime comunista sovietico era così insopportabile che già nel 1953 in Germania est si svilupparono le prime rivolte.
Rivolte anche a Budapest e Poznan nel 1956, a Praga nel 1968, poi a Danzica nel 1970, a Radom e altre località in Polonia nel 1976, sino ad arrivare alla sciopero dei cantieri navali di Danzica del 1980, esperienza da cui nacque Solidarnosc, il movimento che sarà decisivo per la sconfitta del regime comunista.
Il popolo si sollevò non per ragioni di potere, ma per chiedere libertà di parola, di stampa e di associazione, rispetto dei diritti umani, migliori condizioni di vita.
In Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968), furono gli stessi dirigenti dei Partiti comunisti locali a chiedere un “socialismo dal volto umano”, ciononostante furono repressi brutalmente dalle truppe sovietiche.
Il primo novembre del 1956, Imre Nagy il primo ministro, segretario del partito comunista ungherese, sostenuto dalla popolazione uscì dal patto di Varsavia, dichiarò la propria neutralità e scarcerò il cardinale Mindszenty.
La reazione sovietica fu tremenda. Il 4 novembre 2000 carri armati si diressero in Ungheria, con incursioni aree e bombardamenti di artiglieria. Non si conosce il numero esatto delle vittime civili. Nagy si rifugiò nell’ambasciata Jugoslavia e il cardinale József Mindszenty trovò rifugio nell’ambasciata Americana dove rimase per 15 anni.
Il 22 novembre 1956 Nagy venne consegnato ai sovietici, che due anni dopo lo fucilarono. Furono eseguite 500 condanne a morte e decine migliaia di persone vennero rinchiuse nei campi di internamento o in carcere. 200.000 furono gli ungheresi che lasciarono il Paese.
Il 23 marzo 1968 Alexander Dubcek, nuovo segretario del partito comunista, introdusse una serie di riforme democratiche indicate come segni della “primavera di Praga”.
La notte del 21 agosto 700.000 soldati, migliaia di carri armati e centinaia di aerei ed elicotteri del patto di Varsavia passarono le frontiere ed occuparono Praga. Tutti i dirigenti del Partito comunista vennero arrestati. La popolazione provò ad opporsi, ma le truppe del patto di Varsavia spararono sulla folla: ci furono 100 morti e 335 feriti gravi. Di fronte alla brutalità e allo strapotere del regime sovietico, il popolo polacco, forte della sua fede cattolica continuò a ribellarsi.
Nel 1978 il cardinale Karol Wojtyla divenne il primo Pontefice polacco nella storia della Chiesa. Come Papa nel 1979 fece visita alla Polonia, suscitando un entusiasmo ed una speranza incredibile.
Nell’agosto del 1980, a Danzica la città dove ebbe inizio la seconda guerra mondiale, gli operai occupano i cantieri navali “Lenin”.
Motivo della protesta fu il licenziamento di Anna Walentynowics fondatrice di un sindacato indipendente.
Dalle immagini che le Tv inviarono in tutto il mondo, si capì che era uno sciopero diverso dagli altri. Gli operai pregavano, si confessavano, assistevano alla Messa inginocchiati, costruirono tre enormi Croci al centro dei cantieri.
Il mondo scoprì che si stava verificando una rivoluzione operaia dalle radici popolari e cattoliche. Il regime la cui credibilità era sostenuta da un ideologia operista e rivoluzionaria, si trovava spiazzato.
Il comitato che guidò lo sciopero presentò 21 richieste tra cui: il diritto di fondare un sindacato libero e indipendente; libertà di coscienza e di religione; libertà di parola e accesso ai mass media; trasmissione per radio della Messa domenicale; liberazione dei detenuti politici.
Le richieste degli operai vennero immediatamente sostenute dal primate di Polonia, il cardinale Stefan Wyszynski, e da un appello degli intellettuali sottoscritto anche da alcuni membri del Partito Comunista Polacco.
L’appoggio popolare fu enorme, così il regime cedette: il 10 novembre 1980 “Solidarnosc” venne riconosciuto ufficialmente e registrato in tribunale. Si trattava di molto più che un sindacato libero. Era espressione di un popolo che rifiutava la violenza e si fondava sulla solidarietà.
In pochissimo tempo, più di 10 milioni di persone si iscrissero a Solidarnosc. Il movimento era presente su basi locali in tutto il Paese. Era profondamente radicato nel tessuto sociale e culturale della Polonia. Univa i simboli della nazione e dell’identità religiosa. La vittoria sembrava vicina.
Ma nel 1981, la dittatura comunista provò a fermare la rivoluzione in corso. Il 13 maggio 1981 il turco Alì Agca, in contatto con l’ambasciata Bulgara a Roma, sparò in piazza san Pietro al Papa. Miracolosamente Giovanni Paolo II sopravvisse all’attentato.
Nella notte del 13 dicembre del 1981, con un attacco a sorpresa vennero arrestati quasi tutti i responsabili di Solidarnosc. Il generale Wojcjech Jaruzelski d’accordo con Mosca introdusse la legge marziale.
I polacchi parlarono del golpe di “Pinochetski”. Tutto il Paese venne militarizzato, scuole e università vennero chiuse, le comunicazioni telefoniche vennero interrotte, era proibito spostarsi da una città all’altra. Decine di migliaia di persone vennero processate e inviate nei campi di internamento, tutti i diritti civili vennero soppressi.
La legge marziale rendeva ancora peggiori le condizioni economiche della Polonia. Il socialismo militarizzato era diventato “socialismo affamato”. Il popolo polacco era provato ma non cedette. Sacerdoti come Jerzy Popieluszko alimentavano la speranza. I militanti di Solidarnosc attivarono una rete di controinformazione.
Nel giugno del 1983 ci fu la seconda visita di Giovanni Paolo II in Polonia. Il viaggio fu osteggiato a lungo dal regime. Folle oceaniche accolsero il Pontefice.
Nel luglio del 1983, dopo 583 giorni di legge marziale, con un numero sconosciuto di persone uccise e 10.000 persone rinchiuse in carcere, il regime cominciò a cedere in previsione del crollo del muro che avvenne nel 1989.
Nel corso della conferenza di presentazione della mostra Wojtek Hunolot, primo consigliere dell’Ambasciata Polacca in Italia, ha detto: “Solidarnosc è qualcosa di più importante di un fatto storico per la storia della Polonia. E’ un paradigma per la vittoria pacifica del bene sul male”.
La mostra curata da Sandro Chierici racconta con citazioni e immagini tutta questa storia. Le foto bellissime e originalissime sono di Chris Niedenthal, nato a Londra da genitori polacchi rifugiati.
Fu il primo reporter straniero nell’agosto del 1980 ad avere accesso ai cantieri navali di Danzica.
Con servizi apparsi su “Newsweek”, “Der Spiegel” e “Time”, Niedenthal ha raccontato la storia della Polonia durante tutto il periodo della dittatura comunista.
Per i suoi servizi ha vinto nel 1986 il World Press Photo Award.