Si avvicina agli uomini chi sa andare verso Dio

ROMA, sabato, 31 luglio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata da mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia, nel presiedere nella basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, la Messa per i funerali degli alpini Mauro Gigli, 41 anni, e Pier Davide De Cillis, 33 anni, morti il 28 luglio a Herat in Afghanistan a causa dell’esplosione di un ordigno.

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Signor Presidente della Repubblica,

Carissimi familiari di Mauro e Pier Davide,

stasera, in questa Basilica, vorrei che ciascuno si sentisse a casa per una sosta di consolazione. Rifletto con voi sul dolore straziante e indicibile che attraversa la nostra vita di mendicanti che cercano un senso a una morte improvvisa e umanamente ingiusta.

Dove trovare il senso del mondo e della propria esistenza? La nostra fede ci invita a guardare in alto. Ci chiediamo: quale Dio seguire? Sappiamo che c’è il Dio forte dal volto duro, chiamato il Dio d’oro (cfr. Es. 20-23). C’è il Dio ignoto, quello della magia e dell’esoterismo (cfr. At. 17,23). Esiste il Dio nascosto (cfr. Is. 45,15), ricercato dagli uomini che soffrono.

Noi seguiamo il Dio Amore, persona che entra in rapporto con l’uomo, Padre che si carica sulle spalle la prova, il dubbio, l’angoscia, la solitudine. Un Dio innamorato dell’uomo, tanto che diventa uomo in Gesù Cristo.

Ciò che non riusciamo a capire del Signore è l’unione della potenza divina da una parte e nella stessa persona la provenienza umana.

Tra lo stupore e lo sdegno, nel Vangelo ora ascoltato, i presenti si chiedono: Da dove vengono a Gesù questa sapienza e i prodigi? Non è figlio di un falegname? (cfr. Mt 13,54-55).

L’amore di Dio resta sempre motivo di scandalo. Sin dalla sua Incarnazione lo scandalo minaccia il Figlio di Dio. Da ultimo l’incendio divampa alto, investendo anche lui: è la rivolta del cuore umano contro Colui che porta l’amore.

C’è sempre qualcosa che non si comprende nell’esistenza di chi opera il bene. Non importa che sia il figlio del falegname, e neanche che sia un sacerdote e neppure che sia un nostro militare. I concittadini di Gesù non comprendono il mistero della benevolenza divina e della tenerezza immensa che sta a fondamento della sua esperienza terrena.

Carissimi Mauro e Pier Davide, le vostre famiglie mi hanno raccontato la bellezza della vostra fede.

Tu Mauro hai sempre difeso la vita degli altri, anche nell’ultimo istante della tua esistenza terrena. Sempre sorridente e disponibile, credevi e ed eri entusiasta della professione militare. I tuoi genitori, la tua sposa Vita, i tuoi figli Gian Mauro e Marco aspettavano a giorni il tuo rientro in licenza.

Il piccolo Marco stamane all’aeroporto diceva: “il corpo di papà non c’è ma l’anima è in cielo”. Veramente dalla bocca dei bambini ascoltiamo le verità eterne.

E tu Pier Davide sei sempre stato attivo nella comunità parrocchiale e come responsabile dei giovani di Azione Cattolica hai insegnato il valore dell’amicizia e della fraternità a tanti ragazzi e ragazze che ti avevano come modello. I tuoi genitori, la tua sposa Caterina, i tuoi figli Asia e Pier Davide – il figlio che sta per nascere e avrà il tuo nome – sono fieri degli ideali, che lasci come fiaccola per il loro cammino. Tua moglie, tra l’altro, mi raccontava di come tu le avessi insegnato a pregare e che ogni sera condividevate in casa la vostra fiducia in Dio.

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Mauro e Pier Davide,

come i semplici del Vangelo avete trasmesso la linfa della vita, scegliendo di servire l’uomo più debole e bisognoso, senza retorica, seminando calore e desideri agli sfiduciati, e contribuendo a radicare nell’oggi il grande albero dell’umanità.

Nel vostro sacrificio rileggo non l’annullamento della persona ma la forma più compiuta di realizzazione di voi stessi. Vivere in relazione è criterio decisivo della qualità dell’esistenza sociale, perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide.

In queste ore, per la vostra morte, qualcuno si è chiesto se abbia ancora senso che i nostri militari restino in quelle terre lontane. Domande giustificabili ed è forte la tentazione di considerare non efficaci le missioni internazionali di sicurezza.

Non possiamo ascoltare le sensibilità del momento e seguire quelle tendenze emotive che potrebbero essere originate esclusivamente da egoismo e disimpegno. Gli uomini della terra, infatti, hanno tutti una comune storia, aperta a quella solidarietà che ci appare sempre più come una virtù sociale fondamentale.

Il bene dell’uomo non consiste in un consumismo sempre più sfrenato e nell’accumulazione illimitata di beni, riservati a un piccolo numero di persone e proposti come modelli alla massa, ma in una mobilitazione delle menti e della creatività dell’uomo orientata allo sviluppo integrale della persona umana.

Il servizio internazionale dei nostri militari richiama quella collaborazione tra popoli, unica via per offrire un futuro sereno all’umanità. La comunità internazionale, e in particolare l’Europa e l’Italia, sono tenute a fare la loro parte per promuovere pace, stabilità, disarmo, sviluppo, per sostenere ovunque la causa dei diritti umani. Perciò è giusto intensificare le iniziative di cooperazione internazionale e partecipare alle missioni delle Nazioni Unite in aree di crisi. Ed è importante farlo con professionalità e umanità che contraddistinguono le nostre Forze Armate, alle quali l’intera Nazione esprime riconoscenza e crescente apprezzamento. Se non impariamo a pensare in termini di mondialità siamo destinati al declino.

Occorre riconoscere di essere una sola famiglia umana legata non tanto da doveri e obblighi ma da una relazione di solidarietà. Non esiste nessuna categoria o gerarchia di uomo, inferiore o superiore, dominante o protetto, ma solo l’uomo creato per amore e che vuole veder vivere, in famiglia e in società, un’armonia fraterna. Per l’uomo di fede o per l’uomo di buona volontà, la risoluzione dei conflitti umani, può trasformarsi in una coesistenza umana in un ordine pieno di bontà e di saggezza. Questa coesistenza possibile e auspicabile nel rispetto della natura delle cose e della sua saggezza intrinseca che viene da Dio – la tranquillitas ordinis – si chiama pace.

Cari amici,

questi momenti di sofferenza ci aiutano a riconoscerci tutti, orgogliosamente, un po’ più italiani. Amiamo il nostro Paese, considerandolo un bene comune, un tesoro che è nel cuore di tutti, e che tutti vogliamo far crescere unito e solidale, anche con il sacrificio della vita, come testimoniano i nostri militari.

Facciamo nostre e mettiamole come sigillo sui cuori alcune righe, impregnate di amore, lasciate ai suoi assassini, da uno dei sette monaci di Tibhirine, in Algeria: «E anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì, anche per te voglio io dire questo grazie, e questo a Dio, nel cui volto io ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di nuovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due».

Santa Maria degli Angeli accompagna in paradiso Mauro e Pier Davide, i nostri ragazzi alpini del Genio guastatori, detti “angeli custodi”, perché preparano il cammino a chi deve mettersi in viaggio per le pericolose strade afgane.

+Vincenzo Pelvi

Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia

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ZENIT Staff

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