di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 26 luglio 2010 (ZENIT.org).- Sabato 24 luglio, al Fiuggi Family Festival è stato proiettato il film del regista polacco Rafał Wieczyński: “Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza”.
Si tratta della storia del martire ora beato don Jerzy Popiełuszko, un sacerdote magro, esile, debole nel corpo, che con la sua testimonianza di vita cristiana ha messo in crisi e sconfitto la brutale dittatura comunista.
Un sacerdote esemplare, figlio della Polonia cattolica, un combattente difensore dei diritti umani, un testimone delle virtù cristiane di carità, bontà e verità.
Una persona che nel corso della sua vita ha fatto solo del bene, prestando cura e attenzione agli altri, anche a coloro che lo spiavano, lo perseguitavano e che poi lo hanno brutalmente ucciso.
Sempre a fianco delle vittime delle ingiustizie, don Jerzy ha insegnato a vincere il male con il bene, respingendo i sentimenti di odio e alimentando la speranza con fede e verità.
Il suo assassinio che pure sembrava una sconfitta per quanti dentro e fuori la Polonia si battevano per riconquistare la libertà e i diritti della persona, nel tempo si è rivelata una grandiosa vittoria.
Come il sangue dei martiri durante l’impero romano ha alimentato la rivoluzione cristiana, così il sangue versato da Popiełuszko ha fatto crollare il regime comunista.
Come ha scritto Milena Kindziuk, nel libro “Popiełuszko” (Edizioni San Paolo), il martirio di don Jerzy risulta vittorioso: “E’ la vittoria del bene sul male, dell’amore sull’odio, della vita sulla morte”.
Ma perché il regime comunista si sentiva così minacciato da questo umile sacerdote?
Per lo stesso motivo per cui i potenti imperatori romani temevano i cristiani, e cioè la loro capacità di liberare le persone dalla paura e dall’odio, facendo emergere la verità del bene e della speranza.
E’ la testimonianza cristiana che le forze secolarizzate temono di più. Ricorda la Kindziuk che in greco ed in latino il cristiano che dava la vita per la fede veniva definito “martyr” che vuol dire “testimone”, ed il suo dare la vita veniva chiamato “martyrium” cioè “testimonianza”.
Don Jerzy Poieluszko era un sacerdote mite e umile. Svolgeva il suo ministero in maniera appassionata. Sempre presente a fianco dei perseguitati. Assisteva e convertiva al bene gli operai che occupavano le fabbriche. Era sempre presente ai processi in cui gli attivisti di Solidarnosc venivano ingiustamente accusati e condannati. Aiutava tutti in maniera radicale.
Non teneva nulla per sé, anche le sue scarpe le dava in carità.
“Preferisco dare, anche a costo di essere imbrogliato – diceva – piuttosto che non dare a qualcuno che ha davvero bisogno”.
In una famosa omelia nel maggio del 1982, dopo che le forze di polizia avevano duramente attaccato, picchiato e arrestato i fedeli che pregavano nelle chiese per la liberazione della Polonia, don Jerzy si rivolse a Maria, invocando: “Madre degli ingannati, prega per noi. Madre degli interrogati, prega per noi. Madre degli spaventati, prega per noi. Madre dei resi orfani, prega per noi. Madre dei picchiati nel giorno della tua festa di Regina della Polonia, prega per noi…”.
Don Jerzy testimoniò la carità cristiana e l’amore del Creatore con una vita semplice ed efficace.
Teneva sermoni che non superavano mai la lunghezza di 15 minuti. Testimoniava il vangelo nelle azioni quotidiane. Si batteva per la difesa dei diritti della persona, di tutto l’uomo, di tutti gli uomini.
In questo modo alimentò la speranza, convinse milioni di persone a praticare il bene per vincere il male, e fece infuriare il potere comunista che non poteva tollerare la sua influenza sul popolo.
Già dal giorno del suo rapimento la gente cominciò a vegliare ininterrottamente con preghiere e messe. Quando fu ritrovato il suo corpo sfigurato, cominciò un pellegrinaggio di milioni di persone verso la chiesa dove era stato collocato il feretro.
Nonostante la rigidità e l’avversione del regime al suo funerale parteciparono quasi un milione di persone. Autobus, treni, striscioni con su scritto “La verità ci farà liberi”, “lui era uno, ma dietro di lui ce ne sono milioni”, “meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”.
Presso l’altare insieme al Primate di Polonia, il cardinale Józef Glemp, nove vescovi e più di mille sacerdoti. Telegrammi giunsero dai cardinali e dalle autorità civili e religiose di tutto il mondo.
L’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan scrisse: “Padre Popiełuszko è stato un sostenitore dei valori cristiani e un coraggioso fautore dei valori della libertà. La sua vita è stata un esempio degli ideali più alti della dignità umana. (…) La coscienza del mondo non avrà pace finchè gli autori di questo infame delitto non saranno portati davanti a chi amministra la giustizia”.
Dal giorno del suo funerale più di 18 milioni di persone hanno pregato sulla sua tomba. Sono 73 le città polacche in cui c’è una via intitolata a don Jerzy. Altre vie con il suo nome si trovano in Francia, Germania e America.
Venti scuole in Polonia portano il nome di Popiełuszko. Due scuole con il suo nome sono a Sydney e negli Stati Uniti. Sono settanta i monumenti che lo ritraggono in Polonia, Canada, Francia, Norvegia e Argentina.
Il 25 maggio del 2002, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, si recò personalmente a pregare sulla tomba di don Jerzy, e scrisse nel registro dei visitatori: “Che il Signore benedica la Polonia, la ricolmi di sacerdoti con lo spirito evangelico di don Popiełuszko”.
Il regime comunista pensava di cancellare il nome di don Jerzy e demoralizzare i suoi sostenitori, invece ha fatto conoscere al mondo un santo.