di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 23 luglio 2010 (ZENIT.org).- “Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: ‘Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli’. Ed egli disse loro: ‘Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”’.
Poi disse loro: ‘Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non mi importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo già a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!’” (Lc 11,1-13).
Anche durante l’Ultima Cena i discepoli, e in particolare Giovanni, vedono Gesù che inizia a pregare e poi finisce: “Così parlò Gesù. Poi, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, è giunta l’ora: glorifica il Figlio tuo, perchè il Figlio glorifichi te. (…) Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli…” (Gv 17,1-18,1).
Questa preghiera, rivolta al Padre nell’ora suprema del suo ritorno al Cielo, è l’“atto fondante della Chiesa”: lo ha affermato Benedetto XVI il Giovedì Santo di quest’anno, nell’omelia della Messa “in Coena Domini”.Un solenne “atto di fondazione” che inizia dunque con un semplice sguardo: “alzati gli occhi al Cielo”.
Ricordiamo che, solo pochi giorni prima, anche il gran miracolo della risurrezione di Lazzaro era iniziato allo stesso modo: “Gesù allora alzò gli occhi e disse: Padre ti rendo grazie perché mi hai ascoltato” (Gv 11,41).
Appare così chiaro quello che potrei definire l’“atto fondante” della preghiera personale, vale a dire lo sguardo del cuore che si rivolge al Cielo dentro di noi. Lo sguardo fisico, infatti, può innalzarsi verso l’azzurro ed incontrare il Creatore sulle cime lontane dei monti o al di là dell’orizzonte del mare; è libero di sondare il buio della notte fino alle lontanissime stelle della Via Lattea, o di scrutare gli abissi dell’infinitamente piccolo per mezzo di strumenti raffinati, ..ma Gesù ci insegna a guardare ad occhi chiusi dentro il nostro mondo interiore, per un affascinante cammino di fede e amore di cui Egli stesso è la via, la lampada e la meta.
E’ questo lo sguardo dell’intelletto e del cuore che conduce alla più ineffabile ed appagante delle esperienze umane: l’incontro reale con il Padre celeste che dimora nel segreto dell’anima. E’ un percorso paragonabile alla gravidanza. Dio infatti è vivo e vero dentro la persona battezzata, come un bambino nel grembo di sua madre.
Quando si inizia la vita di preghiera (“insegnaci a pregare”), si è simili allo stato della donna che desidera un figlio e ancora non sa di essere incinta. Appena ella apprende dal test di gravidanza di aspettare un bambino, il suo cuore trasalisce di gioia, facendola sobbalzare come Elisabetta, l’anziana parente di Maria incinta al sesto mese (Lc 1,41). Tale felicità, infatti, non le viene da un semplice strumento biologico, ma dal figlio che porta in seno, anche se ancora non ne avverte la presenza a livello fisico.
Tale è anche l’effetto della parola della fede che certifica la presenza del Figlio di Dio nel grembo dell’anima: l’intera persona “apprende” la presenza di Dio come per una notizia amorosa, il puro Vangelo di una profonda e divina cognizione sperimentale di Lui.
Nel Vangelo di oggi, Gesù sembra incoraggiarci a chiedere cose buone materiali di cui possiamo avere bisogno, promettendocene l’esaudimento. Lo afferma esplicitamente subito dopo aver portato l’esempio dei tre pani che, pur non costituendo una necessità vitale immediata, vengono concessi per l’insistenza decisamente importuna del richiedente: “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). E’ vero che Gesù qui non specifica le cose da chiedere, però porta degli esempi che riguardano esigenze materiali, normali, quotidiane.
Tuttavia la sua conclusione: “Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 11,13), è tale da spiazzare ogni richiesta di cose buone. Lo dobbiamo ammettere: ad un disoccupato che non ha un soldo, ad una coppia che cerca casa, ad un fumatore malato di cancro polmonare, lo Spirito Santo non interessa, e certamente non è al primo posto delle loro richieste al Padre.
Quindi una cosa e chiara: scopo primario della preghiera non è e non può essere quello di venire esauditi nelle pur buone richieste, di ordine materiale e morale, che rivolgiamo a Dio per noi stessi e per gli altri. Troppe sono le smentite quotidiane all’assicurazione del Signore: “vi sarà dato…troverete…vi sarà aperto”.
Anche le preghiere di intercessione che l’assemblea domenicale dei fedeli eleva al Padre nel nome di Cristo (molto spesso del tutto astratte e generiche), pur riferendosi spesso a situazioni di indigenza reale a tutti note, vogliono anzitutto esprimere e ravvivare la fede dei credenti nell’amore tanto misericordioso quanto misterioso del Padre. E certamente non è per aver pregato poco, o male, o da peccatori, che Dio nella stragrande maggioranza dei casi non esaudisce le preghiere specifiche di domanda che gli vengono rivolte.
Direi che..c’era da aspettarselo, a ben riflettere sin dall’inizio su questo Vangelo, tutt’altro che facile e scontato. Consideriamo infatti la domanda: “Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai discepoli” (Lc 11,1).
I seguaci di Gesù sono ammirati di ciò che esteriormente vedono nei discepoli del Battista, e la richiesta è di essere istruiti su un metodo che assicuri un simile ordine nella preghiera. Nulla di veramente profondo: infatti, tra il Battista e i suoi discepoli il rapporto è quello ancora situato nel versante antico, che non conosce il dono dell’amicizia comunicato dallo Spirito di Gesù.
E’ al dono di questa novità profonda che Gesù vuol condurre i suoi discepoli, per mezzo della preghiera del Pater, la quale, pur compendiando tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, certamente non esaurisce l’ambito del pregare, ma illustra il contenuto e dona la sostanza di quella relazione con Dio, che è simile alla relazione materna con il bimbo nel grembo. Una tale amicizia, fondata sulla sconfinata fiducia dei piccoli, è un rapporto orante perenne, che garantisce in ogni situazione l’esaudimento del cuore, anche se materialmente non è dato ciò che immediatamente la natura umana desidera.
Potrei qui dire che il Padre nostro costituisce il “cordone ombelicale” della relazione con Dio, la quale attende di svilupparsi e crescere non per il breve arco dei nove mesi di gravidanza, ma lungo quello di tutta la vita, fino a sfociare nella pien
ezza eterna della visione di Lui.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.