Romano Guardini e "La fine dell’epoca moderna"

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di Ermanno Pavesi*

ROMA, martedì, 13 luglio 2010 (ZENIT.org).- Romano Guardini (1885-1968) è nato a Verona ma è cresciuto a Magonza in Germania. Sacerdote e professore di filosofia della religione e della visione del mondo cristiana, ha insegnato a Berlino dal 1923 fino al 1939, quando fu esonerato dall’insegnamento dalle autorità nazionalsocialiste. Ha ripreso l’insegnamento nel 1945 all’Università di Tübingen e dal 1948 a Monaco di Baviera. In alcune lezioni tenute negli anni 1947-48 all’Università di Tübingen, e pubblicate esattamente 60 anni fa in un volume con il titolo: La fine dell’epoca moderna</i>, Guardini ha analizzato con acume la crisi dell’epoca moderna, pronosticandone la fine e aprendo quindi la discussione sulla post-modernità.

Se si tiene conto degli anni in cui è stata elaborata, quest’opera appare piuttosto singolare già nel titolo. La guerra era appena finita, distruzioni e lutti erano certamente ancora presenti, ma la sconfitta del nazionalsocialismo poteva far sperare in un futuro migliore e nell’affermazione definitiva dei principi della libertà e delle dignità umana su retaggi di epoche precedenti. Invece di rallegrarsi che si fosse chiusa un’epoca con il successo definitivo della modernità, Guardini annuncia invece la fine dell’epoca moderna. Le argomentazioni alla base di tale giudizio sono state confermate dalla storia dei decenni successivi e possono aiutare a comprendere la situazione attuale e in particolare anche i recenti attacchi alla Chiesa cattolica.

Per Guardini il passaggio dal Medio Evo all’Epoca moderna è segnato da una svolta nell’atteggiamento di ampi ambienti della cultura nei confronti del Cristianesimo. Mentre nel Medio Evo il Cristianesimo aveva avuto un ruolo centrale, fin dai suoi inizi l’epoca moderna è stata caratterizzata in modo sempre più netto da uno spirito non-cristiano, se non anticristiano. Questa evoluzione non riguarda solamente il distacco della filosofia dalla teologia, ma coinvolge anche tanto la visione del mondo dominante, che abbandona progressivamente il concetto di creazione, quanto la questione antropologica: alla concezione tradizionale dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, sulla quale per secoli era stata fondata la dignità peculiare dell’uomo, si sostituisce la nozione dell’uomo come essere puramente naturale. “Abbiamo visto che dall’inizio del tempo moderno si viene elaborando una cultura non-cristiana. Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori. Secondo questo punto di vista, largamente adottato dagli studi storici, valori come ad esempio quelli della personalità e dignità individuale, del rispetto reciproco, dell’aiuto scambievole, sono possibilità innate nell’uomo che i tempi moderni hanno scoperto e sviluppato. Certamente la cultura umana dei primi tempi del cristianesimo ha favorito la loro germinazione, mentre nel Medio Evo sono state ulteriormente sviluppate dalla preoccupazione religiosa per la vita interiore e la carità attiva; ma poi questa autonomia della persona ha preso coscienza di sé ed è divenuta una conquista naturale, indipendente dal cristianesimo. Questo modo di vedere si esprime in molteplici forme ed in modo particolarmente rappresentativo nei diritti dell’uomo al tempo della Rivoluzione francese.

In verità questi valori e queste attitudini sono legati alla Rivelazione, la quale si trova in un particolare rapporto riguardo a ciò che è immediatamente-umano. […]

Il carattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo ed accettabile alla volontà, quando, in grazia della adozione a figli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale”. [1]

Il rifiuto del Cristianesimo ha valorizzato indirizzi naturalistici con un approccio scientista alla questione antropologica, ha sottoposto l’uomo a un processo di analisi che ha preso in considerazione solamente singoli aspetti. Questo approccio ha portato certamente a importanti conoscenze in differenti ambiti, ma ha sviluppato pure antropologie riduzioniste che sono ben espresse da concetti come homme machine, homo faber, homo sociologicus, homo oeconomicus ecc. In questo modo è andato perduto ciò che di più umano c’è nell’uomo, ciò che rende uomo l’uomo, cioè lo spirito: “C’è anzitutto il fatto, sempre più evidente, che la cultura dei tempi moderni, scienza, filosofia, pedagogia, sociologia, letteratura, ha visto l’uomo sotto una falsa luce; non solamente in determinati aspetti, ma nel suo principio, e perciò nella sua totalità.

L’uomo non è quello che ci indicano il positivismo ed il materialismo. Secondo queste teorie egli si ‘sviluppa’ dalla vita animale, che è prodotta a sua volta da non si sa quale differenziazione della materia. Nonostante tanti punti di contatto con la materia, l’uomo è qualche cosa di essenzialmente particolare, poiché viene determinato dallo spirito, che a sua volta non può essere fatto derivare da nulla di materiale. Tutto quello che esso è acquista perciò un carattere proprio che lo differenzia da ogni altro essere vivente”. [2]

Il pensiero moderno pretende di conoscere l’uomo unicamente con i metodi delle scienze naturali e di trovare quelle leggi che dovrebbero determinare il suo essere e il suo comportamento. Ma questo significa la negazione della libertà umana, in quanto il comportamento dell’uomo non sarebbe determinato dalle sue convinzioni personali, dai suoi valori e dalle sue decisioni, ma sarebbe causato da fattori indipendenti dalla sua volontà: in altri termini teorie moderne negano la dimensione personale dell’uomo come essere razionale e dotato di libero arbitrio. “L’uomo quale è concepito dai tempi moderni non esiste. I rinnovati tentativi di richiuderlo in categorie alle quali non appartiene: meccaniche, biologiche, psicologiche, sociologiche, sono tutte variazioni della volontà fondamentale di fare di lui un essere che sia ‚natura‘ e diciamo pure natura spirituale. E non si vede ciò che egli è anzitutto ed in modo assoluto: persona finita, che come tale esiste, anche quando non lo voglia, anche quando rinneghi la propria natura. Chiamato da Dio, posto in relazione con le cose e con le altre persone. Persona che ha la stupenda e terribile libertà di conservare o di distruggere il mondo, e persino di affermare e di realizzare se stessa o di abbandonarsi e perdersi”. [3]

Secondo Guardini le varie correnti della cultura moderna hanno elaborato un concetto di uomo astratto e inadeguato, per ciò anche tutte le applicazioni nel campo dell’educazione, dei rapporti interpersonali, nell’elaborazione del modello di società dipendono da un’astrazione.

È proprio questo fatto che fa presagire al filosofo tedesco la fine dell’epoca moderna. Se per la civiltà europea, e quindi anche per l’epoca moderna, sono fondamentali i concetti di persona, di dignità, di diritti umani ecc. e questi sono strettamente legati al Cristianesimo, la progressiva secolarizzazione interrompe sempre più il flusso di linfa vitale che parte dalle radici cristiane – e che sola può vivificare la cultura -, compromettendo il significato più profondo del concetto di persona e di dignità umana.

L’epoca moderna rappresenta quindi un periodo di transizione caratterizzato dal progressivo allontanamento dal Cristianesimo. Per qualche tempo l’epoca moderna può ancora vivere dell’eredità cristiana, ma nella misura in cui si allontana dal Cristianesimo si esaurisce la fonte della sua creatività e della sua identità. Per un po’ di tempo i valori ereditati possono ancora influenzare la società, ma il loro senso si modifica progressivamente. I tentativ
i di fondare la dignità umana e i valori della società senza riferimenti al Cristianesimo possono riuscire fino a quando, tanto chi formula tali teorie, quanto quelli cui sono dirette vivono ancora in un contesto cristiano: “La conoscenza della persona è perciò legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradualmente queste cose vanno perdute”. [4]

Per Guardini la rapida affermazione del nazionalsocialismo era solo apparentemente incomprensibile, “in realtà si era rivelato un vuoto che esisteva ormai da lungo tempo. L’autentica personalità, assieme al suo mondo di valori e di atteggiamenti, era scomparsa dalla coscienza col rifiuto della Rivelazione” [5]. Continuando a usufruire di valori cristiani, l’uomo moderno non si era ancora reso conto di cosa avrebbe significato con l’andar del tempo il rifiuto della Rivelazione: “Già Nietzsche aveva ammonito che il moderno non-cristiano non aveva ancora compreso che cosa sia essere tale. I vent’anni trascorsi ce ne hanno dato una idea, e non era che l’inizio”[6].

L’ideologia anticristiana e neopagana del nazionalsocialismo ha solo radicalizzato il processo di allontanamento dai valori cristiani e lo ha portato alle estreme conseguenze, con il disprezzo totale per la dignità della persona. Per Guardini il nazionalsocialismo non rappresenta quindi un corpo estraneo all’epoca moderna, anzi avrebbe mostrato in modo chiaro sviluppi ed esiti delle tendenze anticristiane della modernità: “non era che l’inizio” . Annunciando la fine dell’epoca moderna il filosofo tedesco riteneva quindi che la modernità avesse già raggiunto un punto di non ritorno. La sua interpretazione del rapporto tra nazionalsocialismo e modernità era un monito ad aprire la discussione sulle cause della crisi dell’epoca moderna e sui rimedi per uscirne e quindi per passare a una civiltà post-moderna.

Purtroppo la lezione di Guardini non è stata adeguatamente recepita, i suoi moniti sono rimasti inascoltati e le sue previsioni, purtroppo, si sono avverate. L’allontanamento dal Cristianesimo ha portato a fenomeni di dissoluzione della società moderna, con il passaggio progressivo dalla civiltà cristiana, – che ben inteso non è mai stata perfetta, ma che almeno ha avuto l’onestà di riconoscere le debolezze umane e la prudenza di incoraggiare comportamenti virtuosi – alla civiltà della morte in tutti i suoi aspetti. Con gli attacchi degli ultimi tempi alla Chiesa e al Santo Padre lo sviluppo di questo spirito anticristiano ha subito un’ulteriore accelerazione.

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*Ermanno Pavesi è Segretario Generale de la Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche (FIAMC).

1) Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, trad. it., Morcelliana, Brescia 1960, pp. 98-100.

2) Ibid., p. 78.

3) Ibid., p. 80.

4) Ibid., p. 100.

5) Ibid., p. 117.

6) Ibid., p. 118.

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ZENIT Staff

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