Sostenere i diritti delle donne in Etiopia

Intervista al Vescovo Rodrigo Mejía Saldarriaga

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SODDO (Etiopia), lunedì, 12 luglio 2010 (ZENIT.org).- Il gesuita colombiano, nonché vicario apostolico di Soddo, in Etiopia, ha fatto della difesa dei diritti delle donne la sua priorità. Insegnare alle etiopi la verità evangelica, secondo cui gli uomini e le donne hanno eguale dignità, è una sfida che deve essere portata avanti soprattutto in questo Paese, afferma il Vescovo Rodrigo Mejía Saldarriaga.

Il Vicario apostolico di Soddo è nato a Medellin, in Colombia, nel 1938 ed è andato in Africa per la prima volta nel 1964. Dopo 20 anni di permanenza nella Repubblica del Congo, ha trascorso 14 anni in Kenya e da 12 anni si trova oramai in Etiopia.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il Vescovo parla delle difficoltà ecumeniche in Etiopia e del perché considera prioritaria la difesa dei diritti delle donne.

L’Etiopia è soprattutto una nazione ortodossa e protestante, con solo una piccola presenza cattolica. È difficile essere Vescovo di una piccola comunità?

Mons. Mejía Saldarriaga: Direi che ha dei vantaggi e degli svantaggi. Il fatto che la comunità non sia molto grande comporta una minore problematicità amministrativa, ma allo stesso tempo maggiori difficoltà pastorali, soprattutto nei rapporti con le altre Chiese.

Ci può fare qualche esempio di questi rapporti?

Mons. Mejía Saldarriaga: Siamo tutti cristiani: cattolici, ortodossi e protestanti. Ma con la Chiesa ortodossa abbiamo difficoltà ad entrare in dialgo e intraprendere relazioni ecumeniche, poiché essa è la Chiesa originaria dell’Etiopia.

Ma è comunque un dialogo possibile quello con la Chiesa ortodossa?

Mons. Mejía Saldarriaga: Io credo che sia possibile. Sicuramente lo è a livello personale. Direi che sul piano personale abbiamo dei buoni rapporti con i Vescovi e sacerdoti locali. Le difficoltà maggiori si presentano sul piano nazionale, perché quel livello implica accordi e politiche.

Ci può fare un esempio dei vostri dialoghi con la Chiesa ortodossa?

Mons. Mejía Saldarriaga: Uno dei dialogo principali che si svolgono ai più alti livelli è quello della collaborazione tra tutti i leader religiosi per la pace. Durante la scorsa guerra con l’Eritrea, i leader religiosi si erano riuniti e avevano emanato una dichiarazione congiunta in favore della pace, invitando tutti a prendere parte a questa lotta per la pace.

Lei ha parlato molto in favore dei diritti delle donne. Perché ha ritenuto necessario impegnarsi in questo ambito?

Mons. Mejía Saldarriaga: Lo ritengo necessario perché costituisce uno degli aspetti della cultura africana che richiede di essere evangelizzato. Il Papa Paolo VI, nella sua enciclica “Evangelii Nuntiandi” ha sottolineato il fatto che è la cultura che deve essere evangelizzata. L’Africa si trova a un punto in cui ha bisogno che il Vangelo gli dica che le donne hanno esattamente la stessa dignità umana degli uomini e che quindi non devono essere trattate come cittadine di serie B.

In che modo la Chiesa intende raggiungere questo obiettivo?

Mons. Mejía Saldarriaga: Credo che una delle vie più efficaci sia quella dell’educazione. Se le donne vengono istruite, allora saranno maggiormente apprezzate e in grado di vivere come cittadine della società.

Perché sta lottando, per così dire, per i diritti delle donne?

Mons. Mejía Saldarriaga: Perché quando sono giunto in questo vicariato in Etiopia, mi sono reso conto che, rispetto agli altri Paesi africani in cui ho vissuto, il ruolo della donna è sottostimato.

Ho avuto belle esperienze di lavoro pastorale sia in Congo che in Kenya, con donne e catechiste, leader di piccole comunità cristiane, e collaboratrici. Ma quando ho cercato di fare lo stesso in Etiopia, all’inizio ho incontrato grande resistenza e meraviglia da parte degli uomini, e persino fraintendimenti. Quindi mi sono detto che questo rappresentava una difficoltà che richiede evangelizzazione.

È necessario evangelizzare anche gli uomini?

Mons. Mejía Saldarriaga: Beh, sì, e la società intera, soprattutto i giovani. Occorre cambiare la loro mentalità e dimostrare loro che viviamo in questo mondo e che siamo tutti uguali. Occorre insegnare loro i diritti umani e il fatto che questi diritti si applicano ad entrambi.

Come è possibile insegnare i diritti umani? Avete delle scuole cattoliche?

Mons. Mejía Saldarriaga: Sì, ne abbiamo. Nel nostro vicariato abbiamo 16 scuole primarie e tre secondarie. La forza della Chiesa cattolica in tutta Etiopia sta nell’istruzione: nella qualità e nel numero delle scuole cattoliche.

Che tipo di studenti frequentano queste scuole?

Mons. Mejía Saldarriaga: Sono scuole aperte a tutti. Questa è una caratteristica degli istituti cattolici, sia nell’istruzione, che nella sanità. Siamo al servizio di tutti e non solo dei cattolici. Siamo una minoranza, ma le nostre istituzioni sono aperte a tutti, e il governo e le altre Chiese lo apprezzano.

Esistono ancora molte tribù nella sua diocesi. Quanto è importante preservare queste tradizioni tribali?

Mons. Mejía Saldarriaga: La mia è una diocesi multiculturale e rurale, localizzata a circa 400 chilometri a sud di Addis Abeba e che confina con il Kenya. Queste tradizioni sono molto vive ed è importante preservarle perché sono portatrici di grandi valori. Non possiamo semplicemente distruggere i valori culturali tribali senza sostituirli con un qualcosa di migliore. Questo provocherebbe gravi danni alle persone e alle generazioni future.

Questi valori sono compatibili con quelli della Chiesa cattolica?

Mons. Mejía Saldarriaga: Molti lo sono, per esempio la solidarietà, il rispetto della vita umana, il servizio e la famiglia. L’unità e coesione della famiglia sono valori tradizionali africani. Ma anche altri come l’ospitalità per gli ospiti. Sono grandi valori.

Le tribù della sua diocesi sono cattoliche o ortodosse?

Mons. Mejía Saldarriaga: Appartengono a diverse confessioni: sono ortodosse, protestanti e anche musulmane. Le tribù più a Sud, sul fiume Omo, sono più primitive delle altre e non sono state evangelizzate. Ne esistono 16, e praticano religioni tradizionali africane.

E questo all’interno della sua diocesi?

Mons. Mejía Saldarriaga: Sì, è ancora territorio della nostra diocesi e per noi è una sfida.

Come vi comportate con queste tribù?

Mons. Mejía Saldarriaga: Cerchiamo di essere presenti tra loro, ma abbiamo carenza di personale – sacerdoti, religiosi, suore – e di risorse finanziarie, che sarebbero necessarie per costruire le infrastrutture necessarie ad assicurare la nostra presenza in quelle zone.

Qual è il motto che ha scelto quando è diventato Vescovo?

Mons. Mejía Saldarriaga: Ho scelto il nuovo comandamento di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri” e l’ho tradotto nella lingua amarica. Ho scelto questo motto proprio perché, soprattutto nella regione del mio mandato, vi sono molte divisioni e tribù, che generano tensioni. Per questo volevo affermare questo fondamentale messaggio nel mio vicariato.

Si ferma a spiegare il suo motto quando visita le diverse parrocchie?

Mons. Mejía Saldarriaga: Sì, quando visito le parrocchie per le cresime o per celebrare l’Eucaristia, parlo alla gente e spiego loro i miei obiettivi e il mio programma che è molto semplice: amatevi gli uni gli altri.

Che lingua usa?

Mons. Mejía Saldarriaga: Uso l’amarico che ho imparato a Addis Abeba, che durante il regno dell’Imperatore Haile Selassie era la lingua ufficiale. Adesso la situazione è cambiata e l’Etiopia è una Repubblica federale e i diversi Stati hanno sviluppato lingue locali. Per questo
nel mio vicariato devo utilizzare almeno quattro lingue diverse. Non le conosco tutte e uso ancora l’amarico perché è ancora utilizzato dalla generazione più anziana. Sono riuscito però a imparare a leggere le altre tre lingue locali, per poter celebrare l’Eucaristia.

Si sente ancora come un missionario in Etiopia?

Mons. Mejía Saldarriaga: Sì, tecnicamente sono ancora considerato un missionario in Etiopia, se per missionario si intende qualcuno che viene da un altro Paese – la nozione tradizionale di missionario. Personalmente, però, mi vedo più come un servitore della Chiesa locale in Etiopia.

Si sente più africano che sud-americano?

Mons. Mejía Saldarriaga: Direi di sì. Non ne sono consapevole quando sono in Africa, ma me ne accorgo molto quando torno in Colombia. Mi sento come uno straniero nel mio Paese.

Qual è la sua speranza per la Chiesa cattolica in Etiopia?

Mons. Mejía Saldarriaga: Non possiamo prevedere il futuro, ma la mia speranza è che la Chiesa cattolica venga maggiormente accettata; che i pregiudizi contro la Chiesa cattolica vengano eliminati e che possiamo entrare in un dialogo migliore con la Chiesa ortodossa. Spero anche che possiamo ottenere la piena libertà per le nostre istituzioni. La Chiesa cattolica sta attualmente intraprendendo un grande progetto per avviare una università cattolica nel Paese, ad Addis Abeba.

Cosa possiamo fare noi per la Chiesa cattolica in Etiopia?

Mons. Mejía Saldarriaga: Anzitutto potete fare ciò che state facendo in questo momento, dandoci la possibilità di essere conosciuti da altri cattolici in tutto il mondo; di fargli sapere che anche se la nostra Chiesa lì è piccola, è comunque presente. Inoltre ci aspettiamo, dalla Chiesa universale, sostegno morale e preghiere, oltre a un aiuto economico che è sempre necessario.

——–
Questa intervista è stata condotta da Marie-Pauline Meyer per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

[Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org]

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ZENIT Staff

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