In Europa, il “matrimonio” omosessuale non è un diritto

Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani

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STRASBURGO, martedì, 6 luglio 2010 (ZENIT.org).- Lo European Centre for Law and Justice (ECLJ) ha appoggiato la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (ECHR) che ha affermato che non esiste un diritto di matrimonio o di partnership registrata per gli omosessuali in base alla Convenzione Europea dei Diritti Umani.

Analizzando la sentenza Schalk e Kopf v. Austria (n° 30141/04), la Corte ha affermato il 24 giugno scorso che il Governo austriaco non ha discriminato la coppia non permettendo a due uomini di contrarre matrimonio.

La Corte ha ribadito all’unanimità che il diritto di sposarsi è garantito solo a “uomini e donne”, come esposto nell’articolo 12 della Convenzione.

Ha anche osservato che tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa “non c’è ancora una maggioranza di Stati per fornire un riconoscimento legale alle coppie dello stesso sesso. L’area in questione, dunque, deve ancora essere considerata uno dei diritti in evoluzione con un consenso non stabilito”.

Visto che “il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali profondamente radicate che possono differire ampiamente da una società all’altra, la Corte ribadisce che non deve affrettarsi a sostituire il proprio giudizio a quello delle autorità nazionali, che sono le più adatte ad affrontare e a rispondere alle necessità della società” (§62), e che “gli Stati sono ancora liberi, in base all’articolo 12 della Convenzione e all’articolo 14 considerato insieme all’articolo 8, di restringere l’accesso al matrimonio alle coppie di sesso diverso” (§108).

In altre parole, la Corte ha prudentemente rinunciato, anche se solo per il momento, a imporre agli Stati nazionali il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso.

Gregor Puppinck, direttore dell’ECLJ, interpreta questa rinuncia prudente alla luce dell’attuale “ribellione” di una dozzina di Stati membri nel caso italiano del crocifisso (Lautsi v. Italia) contro una tendenza della Corte di imporre nuovi diritti umani “post-moderni” che contraddicono i valori sottostanti la Convenzione.

“Gli Stati non possono essere vincolati ad accettare nuovi obblighi che non si trovino nella Convenzione e siano inoltre contrari ad essa”, ha aggiunto Puppinck in alcune dichiarazioni inviate a ZENIT.

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ZENIT Staff

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