Identikit evangelico degli operai della Vita

XIV Domenica del Tempo Ordinario, 4 luglio 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 2 luglio 2010 (ZENIT.org).- “Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: ‘La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi (…)” (Lc 10,1-12.17-20).

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo (…)” (Gal 6,14-18).

Solo Luca racconta che Gesù istituì un secondo gruppo di 72 (o 70) discepoli, con un compito missionario simile a quello dei Dodici. Il numero 72 è simbolico, e rimanda alle nazioni descritte nel libro della Genesi (cap. 10), cioè all’intera famiglia umana.

Il messaggio specifico lucano è alla base del Vangelo in quanto tale, come ha affermato il Concilio Vaticano II: “La vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all’apostolato”, vocazione missionaria (“Decreto sull’apostolato dei laici”, 2). Quindi non solo gli Apostoli e i loro successori (vescovi e sacerdoti), ma tutti i battezzati sono inclusi nell’invio dei settantadue discepoli.

Nella recente festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha affermato: “Vi sono regioni del mondo..in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo radici…ma dove…il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa…una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo”. Sfida formidabile, servizio prioritario, poiché…” anche l’uomo del terzo millennio desidera una vita autentica e piena, ha bisogno di verità, di libertà profonda, di amore gratuito. Anche nei deserti del mondo secolarizzato, l’anima dell’uomo ha sete di Dio, del Dio vivente” (B. XVI, Omelia ai Primi Vespri).

Compito davvero superiore alle forze umane, se solo ci si ferma a riflettere che oggi, l’eclissi del senso di Dio sta oscurando anche la luce della ragione, come dimostra l’attuale rinnegamento relativista della legge naturale inscritta da Dio nel cuore di ogni uomo. La conseguente perdita del “senso della vita” sta precipitando l’umanità in un baratro di morte, dal quale solo Dio e la sua Chiesa ci possono salvare.

Ricordiamo le parole di Giovanni Paolo II: “ogni minaccia alla dignità e alla vita dell’uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa, non può non toccarla al centro della propria fede nell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni creatura” (Enciclica “Evangelium vitae”, n. 3).

E’ in forza di questo mandato divino che papa Benedetto ha deciso di creare un nuovo Organismo, nella forma di “Pontificio Consiglio”, con il compito di promuovere una rinnovata evangelizzazione…“nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società”.

Presupposto necessario per l’efficacia di tale compito è quello richiesto dal Papa al termine del suo discorso: “Cari fratelli e sorelle, la sfida della nuova evangelizzazione…ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani (Omelia, id.).

Un’unità che non potrebbe divenire “ecumenica” se non fosse prima il nostro stesso distintivo: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Al riguardo, notiamo che, a differenza dei primi Dodici, i Settantadue sono mandati in coppia: “li inviò a due a due davanti a sé” (Lc 10,1). Spiegava san Gregorio Magno: “non ci può essere carità meno che tra due persone”, e voleva dire che la prima forma e il criterio di credibilità dell’evangelizzazione è la testimonianza dell’amore reciproco.

Ciò rimanda a quel desiderio e a quell’impegno di comunione tra i credenti in Cristo che animò lo stupore evangelico dell’apostolo Giovanni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,1-3).

E’ stupenda, in quest’annuncio, la definizione del Signore Gesù quale “Verbo della vita”. Come il nome di Cristo è “Verbo”, così suo nome è “Vita”. Il Figlio di Dio non è semplicemente “Verbo”, ma “Verbodellavita”, e il Vangelo è in se stesso il Vangelo-della-vita (cfr Gv 10,10).

Similmente, l’enciclica “Evangelium vitae” annuncia sin dalla prima pagina: “Il vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura” (E.V., n. 1).

In cosa consiste questa “coraggiosa fedeltà” che ho messo in rilievo?

Mi sembra che il Vangelo di oggi risponda chiaramente: “Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,3-4). Riconosciamo che qui Gesù parla anzitutto del proprio coraggio nel rimanere fedele alla volontà del Padre. Infatti, sia il Padre che l’ha mandato, sia il Figlio venuto in mezzo a noi erano consapevoli che la fedeltà all’uomo “homini lupus”, avrebbe comportato la dolorosissima necessità per Gesù di farsi da lui sbranare sulla croce.

E’ questo anche il destino volontario di Paolo, che si vanta solo del suo patire con Cristo, per Cristo e in Cristo: “Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14).

Ecco perciò: per i “missionari della Vita” la fedeltà e il coraggio consistono nella scelta strategica dell’imitazione di Cristo, mite e coraggioso “Agnello di Dio” che ha pagato con il martirio la fedeltà assoluta alla Verità udita dal Padre.

Come Lui e con Lui: “Si deve essere sempre “agnelli”, cioè annunciatori di pace che propongono e mai impongono. Certo il compromesso o l’inoffensività dell’annuncio è inaccettabile, bisogna “scuotere anche la polvere che si è attaccata ai nostri piedi”, eppure dobbiamo continuare con fiducia a ripetere: “Sappiate però che il Regno di Dio è vicino” (Ravasi).

Straordinario, “insuperabile” testimone di questo coraggio e di questa fedeltà al Vangelo della Vita è stato Giovanni Paolo II, la cui testimonianza, sin dall’introduzione della sua enciclica più profetica, continua ad interpellarci concretamente: “In profonda comunione con ogni fratello e sorella nella fede e animato da sincera amicizia per tutti, voglio rimeditare ed annunciare il Vangelo della vita, splendore di verità che
illumina le coscienze, limpida luce che risana lo sguardo ottenebrato, fonte inesauribile di costanza e coraggio per affrontare le sempre nuove sfide che incontriamo sul nostro cammino”
(E.V., n.6).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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