L’impresa sociale, un modello per uscire dalla crisi

Parla il prof. Luigino Bruni, docente di Economia politica

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ROMA, venerdì, 18 giugno 2010 (ZENIT.org).- “L’iniziativa imprenditoriale contribuisce al bene comune quando pone al centro i rapporti interpersonali”. E’ quanto ha detto su ONE-O-FIVE LIVE,  la Radio Vaticana in diretta, il prof. Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università di Milano-Bicocca, professore all’Istituto Universitario “Sophia” del Movimento dei Focolari a Loppiano (FI) e coordinatore della Commissione Internazionale ‘Economia di Comunione’.

In questo senso ha aggiunto il prof. Bruni una delle grandi innovazioni degli ultimi vent’anni in Italia è stata l’impresa sociale che ha puntato a “far diventare delle realtà marginali o escluse, dei protagonisti, per un mutuo vantaggio”. </p>

“In fondo – ha aggiunto – l’impresa sociale, quando nasce agli inizi degli anni ’90, fa questo: soggetti esclusi dal sistema produttivo, con dei disagi o con delle forme di handicap, sono  inclusi e questa inclusione porta sviluppo”.

“Oggi il termine ‘impresa sociale’ è inteso in senso più ampio – ha continuato – . Non è usato solo per descrivere una cooperativa sociale, ma qualsiasi impresa che è veramente costruttiva del bene comune perché mette la persona al centro”.

“Ora la persona, com’è ben noto, non è l’individuo – ha sottolineato il docente di Economia politica –. L’individuo è sé in se stesso. Ed è quindi un termine che sottolinea l’individualità rispetto alla comunità. La persona è invece sé stessa solo in rapporto con gli altri. Perciò quando noi parliamo di persona ‘al centro’, diciamo subito quale deve essere la dimensione dei rapporti”.

“L’essere umano fiorisce quando è inserito all’interno di rapporti significativi, anche mentre lavora, quando produce e quando consuma – ha detto ancora –. Quindi, quando l’impresa riconosce questa dimensione relazionale, personalista, dell’impresa stessa e dell’economia, mette la persona al centro”.

Infatti, ha aggiunto, il principio personalista è alla base dell’art. 41 della Costituzione che riconosce all’impresa una funzione sociale e che afferma quindi che l’impresa è se stessa quando tratta i soggetti come persone e non soltanto come individui.

Parlando poi della vertenza di Pomigliano d’Arco e del ruolo del sindacato in questa vicenda, il prof. Bruni ha detto che a suo avviso il sindacato oggi deve “porsi in un atteggiamento anch’esso innovativo. Salvando tutta la grande eredità dell’ultimo secolo e oltre, deve pensare che l’economia globalizzata è veramente un’altra cosa”.

“Quindi – ha commentato – io credo che in questo momento a Pomigliano si stia confrontando una visione del sindacato, che non dico che sia sbagliata,  ma che è più ancorata a una visione di classe – su cui è stata costruita tanta democrazia e che ha portato contributi di civiltà – con un’idea di sindacato che dialoga di più con l’impresa e cerca d’interpretare questi passaggi epocali”.

“Ovviamente – ha detto il docente – il rischio di lasciare per strada dei pezzi di sindacato importante, che ha costruito tanto, c’è. E io mi auguro che anche la Fiom, e questa parte del sindacalismo più tradizionalmente legata a una certa visione della classe operaia, possa dialogare e portare il suo contributo”.

“Perché credo che c’è anche oggi una parola che viene da questa parte più tradizionale del sindacato che in un dialogo più ricco, più profondo tra le varie anime del sindacato e  l’impresa, possa portare a una sintesi nuova”. 

Parlando poi di un modello d’impresa per il futuro in grado di coniugare le esigenze del territorio e la globalizzazione, il docente ha indicato la necessità di “coniugare economia e città. Siamo convinti che tornando indietro, ma non in modo nostalgico,  conservatore, a una tradizione cristiana e umanista, cattolica e laica insieme, possiamo oggi immaginare un’idea d’impresa e di imprenditore, capace di gestire le complessità contemporanee e di andare oltre la crisi”.

   

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ZENIT Staff

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