VALENCIA, mercoledì, 16 giugno 2010 (ZENIT.org).- L'Arcivescovado di Valencia ha constatato l'esistenza di un ostensorio di legno realizzato nel 1936 da un condannato a morte per la sua fede in un carcere di Valencia per celebrare la festa del Corpus Domini con i detenuti.

La vedova del condannato conserva l'ostensorio come "un tesoro" nella sua casa valenciana, ha reso noto l'agenzia di notizie dell'Arcivescovado cittadino, AVAN.

Il detenuto autore dell'ostensorio era Juan Colomina, un avvocato arrestato nel 1936 per la sua fede cattolica e condannato a morte, anche se non venne giustiziato e passò per varie carceri prima della fine della sua vicenda giudiziaria.

Colomina, che era anche presidente della Società Valenciana di Agricoltura, dopo essere rimasto vedovo sposò Isabel Casaus, che oggi ha 69 anni e conserva l'ostensorio fatto dal marito, morto nel 1995.

"Per lui aveva un grande valore per ciò che ha rappresentato nella sua vita e per lo sforzo con cui l'ha realizzato, perché non era una persona molto abile in questo tipo di lavori", ha spiegato la moglie.

Il tabernacolo, alto poco più di 20 centimetri, è stato intagliato da Colomina su una base di legno che, in realtà, era la cornice di una delle prese per la luce presenti sul muro della prigione.

Su questa base c'è un pezzo di legno preso da una manovella, su cui realizzò l'ostensorio circolare di legno, che lavorò con vari pezzi e utensili lignei di carpenteria, intagliandolo per farlo culminare con una croce.

"Abbiamo sempre tenuto l'ostensorio in vista nella nostra stanza", ha rivelato la vedova, che ricorda che nel periodo di detenzione suo marito "ebbe moltissimi compagni che morirono, e pensò che prima o poi sarebbe toccato anche a lui".

Il caso di Juan Colomina compare nell'archivio dell'Arcivescovado di Valencia, dov'è catalogata una sua lettera, confermata in seguito da vari testimoni.

Nel testo, spiega come venne arrestato per il suo credo religioso nel 1936 e portato al Carcere Modello, dove fabbricò un piccolo ostensorio di legno con materiali domestici, che poi dipinse con la porporina.

"Questo ostensorio venne utilizzato per esporvi il Santissimo Sacramento nel 1937, rappresentando un vero anche se semplice monumento nella mia cella", si legge nella lettera.

Si diceva anche che nella cella, "dopo la celebrazione della Santa Messa, il Signore restò esposto tutto il giorno, con una guardia che vegliava costantemente per evitare qualsiasi tentativo di violazione da parte dei carcerieri, e facendo il possibile perché tutti i cattolici reclusi in quel luogo potessero sfilare davanti al Santissimo e rendergli culto in una festività così importante e in circostanze tanto penose".

Nella lettera, datata 1948, Colomina Barberá chiedeva all'allora Arcivescovo di Valencia, monsignor Marcelino Olaechea, un documento che accreditasse l'"autenticità dell'ostensorio in questione e dell'uso a cui venne destinato, contrassegnandolo con il timbro dell'Arcivescovado, per evitare che quello che era stato a diretto contatto con la Sacra Forma un giorno potesse essere profanato involontariamente per ignoranza o destinato a un uso improprio".

L'Arcivescovo, dopo aver verificato l'autenticità di ciò che veniva riferito e dopo aver consultato i testimoni, acconsentì alla richiesta dell'avvocato, contrassegnando l'ostensorio con un documento del 10 febbraio 1948.