Intervento di mons. Tomasi all'Organizzazione mondiale del Commercio

ROMA, venerdì, 18 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato l’8 giugno dall’Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra, all’Organizzazione mondiale del commercio-Consiglio sugli aspetti dei diritti sulla proprietà intellettuale attinenti al commercio.

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Signor Presidente,

unendomi ai relatori che mi hanno preceduto, mi congratulo per la sua elezione.

1. Sul tema dell’Articolo 27.3 (b), Oggetto del Brevetto, la delegazione della Santa Sede desidera fare alcuni commenti e sollevare alcune questioni aggiuntive.

2. L’Articolo 27.3(b) permette ai Membri di escludere dalla brevettabilità piante e animali, ma non microrganismi, e consente ai Membri di escludere da essa processi biologici che sono essenziali per la produzione di piante e animali, ma non quelli microbiologici. La logica che sottende a questa disposizione è quella di rafforzare la tutela internazionale dei brevetti  e di altri diritti di proprietà intellettuale (Ipr) sugli sviluppi non biologici e microbiologici della vita, collegando questa tutela al quadro legale generale sul commercio di altri beni e servizi. Questa tutela, comunque, dovrebbe essere promossa con correttezza  e in pieno accordo con gli obiettivi di sviluppo previsti dall’Articolo 7 dei Trips, con le disposizioni dell’Articolo 8 sulla libertà politica degli Stati di assicurare la tutela dell’alimentazione e della salute pubblica e a promuovere il pubblico interesse in settori di importanza fondamentale per il loro sviluppo socioeconomico e tecnologico  nonché con le disposizioni dell’Articolo 27.2,  che permette ai Membri di «escludere dalla brevettabilità le invenzioni, il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita o la salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali».

3. Il brevetto delle forme di vita potrebbe a volte servire come strumento per sostenere quelle biotecnologie, che sono problematiche  sia  da un punto di vista etico sia da un punto di vista di un sistema  di proprietà intellettuale  che favorisca lo sviluppo.

4. In relazione alla vita umana, l’articolo 4 della Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e i Diritti Umani afferma che «Il genoma umano nel suo  stato naturale non può dar luogo a profitto» (Nazioni Unite, A/53/152 del 9 dicembre 1998; Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco), Atti  della Conferenza Generale, ventinovesima sessione, Parigi, 21 ottobre – 12 novembre 1997, Risoluzione n. 6) mentre l’Articolo 21  della Convenzione del Consiglio d’Europa per la tutela dei diritti  umani e della dignità dell’essere umano a proposito dell’applicazione  della biologia e della medicina stabilisce che: «Il corpo umano e le sue parti, in quanto tali, non possono dar luogo a profitto» (cfr. Consiglio d’Europa, ETS N: 164, Oviedo, 4 aprile 1987). Allo stesso proposito, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla Clonazione Umana riconosce «le preoccupazioni che certe  applicazioni della  scienza della vita –  che si sviluppa così rapidamente – possono suscitare riguardo alla dignità umana, ai diritti umani e alle libertà fondamentali degli individui» e chiama gli Stati a «ad adottare tutte le misure necessarie per proteggere  adeguatamente la vita umana nell’applicazione delle scienze della vita» (Nazioni Unite A/RES/59/280 dell’8 marzo 2005). Quindi, l’accordo Trips, altre norme della Wto, tutti gli accordi relativi al commercio bilaterale, regionale e internazionale e gli accordi Ipr non dovrebbero ridurre la facoltà degli Stati di governare gli aspetti degli Ipr legati alla vita e alla dignità umane.

5. Il mero controllo commerciale della produzione e distribuzione di nuove forme di vita potrebbe influenzare sia la sicurezza alimentare sia le prospettive di sviluppo dei Paesi poveri. Non si devono imporre diritti monopolistici privati su quelle risorse biologiche da cui derivano l’alimentazione di base e i requisiti medici della vita umana. Un approccio integrale agli Ipr non dovrebbe ignorare le importanti preoccupazioni di carattere economico, ambientale ed etico circa la brevettabilità della vita, perché tale azione avrebbe un impatto negativo sui diritti del consumatore, sulla conservazione della biodiversità, sulla tutela ambientale, sui diritti  dei popoli indigeni, sulla libertà scientifica e accademica e, in definitiva, sullo sviluppo economico di molti Paesi in via di sviluppo nella misura in cui esso dipende dalle nuove tecnologie.

6. Nel 2007 le Nazioni Unite hanno adottato una Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni che riconosce, nell’articolo 31, che «i popoli indigeni hanno il diritto di  conservare,  controllare,  tutelare e sviluppare la propria eredità culturale, conoscenze tradizionali ed espressioni culturali tradizionali nonché manifestazioni  delle loro scienze, tecnologie e culture,  incluse le risorse umane e genetiche, semi, medicine, conoscenza delle proprietà della fauna e della flora,  tradizioni orali, letterature, immagini, sport e gare tradizionali e arti visuali e sceniche» (cfr. Nazioni Unite, A/RES/59/280, 8 marzo 2005). Se opportuno e fattibile, gli sviluppi e le conclusioni del Comitato Intergovernativo sulla Proprietà Intellettuale e le Risorse Genetiche, le Conoscenze Tradizionali e il Folklore, dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO/GRTKF) dovrebbero essere riconosciuti nel contesto delle norme del Trips.

7. Fra gli agenti di sviluppo esiste una preoccupazione grave  sulla brevettabilità  delle varietà di semi geneticamente modificati. Un’applicazione illimitata delle procedure di brevetto sugli sviluppi biologici,  scientifici e tecnici potrebbe essere dannosa ai metodi di ricerca e di produzione sia tradizionali sia moderni, soprattutto per quanto riguarda le nuove varietà che sono  di beneficio al mondo in via di sviluppo. La concentrazione della proprietà dei semi  potrebbe  minacciare  l’autonomia dei coltivatori locali,  che sono costretti ad acquistare i semi ogni stagione da un manipolo di società, con le quali hanno scarsa possibilità di negoziare prezzi competitivi. Il possesso dei Diritti di Proprietà Intellettuale dei semi potrebbe mettere a serio repentaglio  la pratica di conservare i semi per commerciarli o ripiantarli durante la stagione successiva. Per la maggior parte, i piccoli e medi agricoltori usano conservare i semi,  e una gran parte della popolazione mondiale dipende dalla costante stabilità finanziaria dei coltivatori che fanno questo. La comunità internazionale  dovrebbe  prestare la dovuta attenzione alle preoccupazioni per la concentrazione di tecnologia e di risorse per la produzione alimentare nelle mani di un piccolo gruppo di entità e  di società che sono guidate esclusivamente da obiettivi commerciali. Un’attenzione particolare dovrebbe essere accordata anche alla tutela della proprietà intellettuale dei semi scoperti da singoli coltivatori, dei Paesi sia industrializzati sia di sviluppo, e ai diritti delle popolazioni indigene  all’uso tradizionale e alla proprietà di quelle piante che sono essenziali per la loro sussistenza e per la loro cultura.

8. L’obiettivo principale della comunità internazionale dovrebbe essere quello di promuovere il bene comune. Inoltre, le regole e i negoziati del commercio internazionale dovrebbero mirare al bene di tutti, in particolare di quelle persone che sono povere e vulnerabili. Dovrebbero anche garantire sia i mezzi per la sussistenza umana come cibo, acqua, medicine, ambiente  sano e così via,  sia quelli per lo sviluppo spirituale, sociale e culturale delle persone.

Anche i dibattiti sulla tutela internazionale dei diritti di proprietà intellettuale e sulla portata e le conseguenze  dell’Articolo 27, 3.b,  dovrebbero essere guidati, in tutta sincerità, dalla promozione del bene comune e della dignità umana, come è giustamente affermato  nella Dichiarazione, nell’Atto Finale, nel Preambolo e nell’Allegato 1C dell’Accordo di Marrakech.   

[Traduzione a cura de L’Osservatore Romano]

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ZENIT Staff

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