di Nieves San Martín
ISTANBUL, giovedì, 17 giugno 2010 (ZENIT.org).- L'avidità degli uomini e la corsa sfrenata alla ricchezza da parte delle Nazioni più sviluppate sono le cause fondamentali, al di là di qualsiasi altra considerazione tecnico-scientifica, dell'ormai quasi inarrestabile distruzione del patrimonio naturale del pianeta.
Lo afferma il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, sempre attento ai temi collegati alla salvaguardia del creato, in un messaggio in occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente, celebrata il 5 giugno.
Il leader ortodosso - che da 15 anni organizza nei cinque continenti simposi multidisciplinari sul tema "Religione, scienza e ambiente" - non ha voluto mancare di far sentire la propria voce in questa occasione, istituita dalle Nazioni Unite per ricordare la conferenza di Stoccolma sull'ambiente umano nel 1972, durante la quale venne creato il programma ambientale dell'ONU, l'UNEP.
Nel suo messaggio, in un momento in cui nel Golfo del Messico si consuma un disastro ambientale di dimensioni colossali, Bartolomeo I guarda in profondità alle cause della contaminazione del pianeta, sottolineando che queste si annidano nel cuore dell'uomo e nell'avarizia delle Nazioni.
Allo stesso modo, rinnova l'invito a una condotta di vita nel segno della sobrietà. Nessuna ostentazione di ricchezza e di superfluo, quindi.
Per Bartolomeo I, i cristiani sono chiamati a vivere come "buoni amministratori" del pianeta in sintonia con ciò che chiede Pietro in un noto passaggio delle Scritture (1 Pietro, 4, 10).
"I santi Padri della nostra Chiesa - sottolinea il Patriarca ortodosso - hanno insegnato e vissuto sempre secondo le parole di San Paolo, per il quale 'Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo' (I Timoteo, 6, 8), aderendo allo stesso tempo alla preghiera di Salomone: 'Non darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario' (Proverbi, 30, 8)".
Il Patriarca conclude con un semplice messaggio da una storia classica: "Nei Detti dei Padri del Deserto del Sinai, si parla di un monaco noto come Giorgio il giusto, al quale si avvicinarono otto saraceni affamati in cerca di cibo, ma lui non aveva nulla da offrire loro perché sopravviveva solo con capperi selvatici crudi, la cui amarezza avrebbe ucciso anche un cammello".
"Ad ogni modo, vedendoli molto affamati, disse a uno di loro: 'Prendi il tuo arco e valica quella montagna; lì troverai un branco di capre selvatiche. Spara a una di loro, quella che vuoi, ma non cercare di sparare a un'altra'. Il saraceno partì, e come gli aveva detto il vecchio sparò e uccise uno degli animali. Ma quando cercò di sparare a un altro, il suo arco si ruppe. Tornò quindi con la carne e raccontò la storia ai suoi amici".
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]