ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervista a padre Antonio Spadaro, redattore della rivista La Civiltà Cattolica, apparsa su PaulusWeb (anno II n. 20 - maggio 2010).
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di Paolo Pegoraro
Su Wiki lo hanno amichevolmente soprannominato “il gesuita 2.0”. Se pensate che un letterato non sia la persona più adatta per riflettere sulle nuove tecnologie, vi conviene fare la conoscenza di padre Antonio Spadaro. Innamorato della carta non meno del suo candido iMac o dell’iPhone che gli guizza in mano all’improvviso, Spadaro è gesuita per vocazione, critico per passione, esperto di new media per provocazione. Nel senso che la sua riflessione sulla Rete evita gli approcci più comuni, di tipo rigidamente tecnico o sociologico. E chiarisce: «Mi sembra che ciò che forse manca, in questo momento, sia una riflessione più ampiamente antropologica, che consideri il web all’interno dell’esperienza umana e non come una “bolla”, un episodio slegato». Un invito a chiave di lettura più ampia, dunque, che forse gli viene proprio dal suo peculiare backstage...
Padre Spadaro, la sua formazione non fa pensare immediatamente all’informatica. Com’è nata questa sua passione per le nuove tecnologie?
«Ho cominciato a frequentare la Rete alcuni anni fa, quando un mio ex alunno m’invitò a costruire un sito con Geocities. Fino ad allora era piuttosto alieno alla tecnologia. La cosa m’incuriosì. Avvertii che l’interesse per la letteratura e quello per la Rete camminavano di pari passo, perché il mondo di internet era un mondo fondamentalmente testuale, pur essendo differente dalla comunicazione lineare della pagina scritta. In seguito, scrivendo per La Civiltà Cattolica, mi sono occupato delle riviste letterarie online, cioè di come l’interesse per la scrittura creativa e per la dimensione critica si stavano sviluppando nella Rete. Tra l’altro nel 1998 ne avevo creata una, BombaCarta – www.bombacarta.com – che da allora si è sviluppata e si evoluta nel tempo. Da allora il mio interesse è diventato più specifico e si è progressivamente esteso ad altri campi. Un’evoluzione biologica, direi, nella quale i mondi della letteratura e dell’informatica si sono sempre intrecciati, fecondandosi l’un con l’altro».
Nel suo libro Web 2.0 Reti di relazioni (Paoline 2010) lei sottolinea che internet non è un mezzo, ma un contesto e un ambiente. Una svolta epocale nella concezione stessa della comunicazione, dunque, che obbliga a ripensare la categoria tradizionale dei media come semplici “strumenti” per relazionarsi?
«Sì, internet non è uno strumento che si può utilizzare o meno, ma un ambiente che determina uno stile di pensiero e di apprendimento della conoscenza, nonché di sviluppo delle relazioni. Sia la conoscenza che il relazionarsi sono di fatto modificati dall’utilizzo della Rete. Dunque non può essere considerata un semplice strumento, perché non serve solo per plasmare, ma plasma chi la usa.
Una seconda considerazione. Grazie ad apparecchi tascabili come l’iPhone, che non richiedono un accesso, diciamo così, “formale” alla Rete – come poteva essere accendere il computer, avviare un programma, ecc. – oggi la percezione di internet si sta modificando. Da ambiente accanto ad altri ambienti, il web si sta integrando sempre di più con l’ambiente ordinario di vita. Internet come realtà a se stante sta sempre più sparendo, mentre sempre più si sta integrando all’interno dei processi relazionali, conoscitivi e comunicativi della vita di tutti i giorni».
Le sue analisi sul web sono molto positive e ne sottolineano le forti potenzialità. Tuttavia – con l’avvento di Wikipedia o di Facebook – non sono mancate le levate di scudo...
«In questi casi il mondo rischia di dividersi tra apocalittici e integrati, ma cerchiamo di considerare le cose nel loro insieme. Io nella Rete non vedo anzitutto una rivoluzione. O meglio, se lo è, è una rivoluzione dalle radici antiche. Il web è una rivoluzione di tipo tecnologico che non fa altro, però, se non approfondire e dare forma nuova a desideri che l’uomo ha sempre avuto. Così come l’aereo ha permesso all’uomo di volare come ha sempre desiderato, così la Rete permette di creare o, ancor meglio, curare e sviluppare rapporti di amicizia nonostante le distanze che prima impedivano un contatto frequente. Il web ha integrato in sé la dimensione normale della scrittura e della lettura. Attenzione quindi a considerare completamente nuova una risposta della tecnologia a un desiderio profondo dell’uomo.
Inoltre la tecnologia non è separata dall’umanità profonda dell’uomo. La tecnologia è umanissima. Anzi, direi che la tecnologia è una forma della spiritualità dell’uomo. Un persona che lo aveva intuito con grande forza è Pierre Teilhard de Chardin... forse l’unico autore che ha fornito anzitempo delle categorie per una comprensione spirituale – e talvolta anche teologica – della Rete.
Certo, nella Rete ci sono molte ombre, ma comunque all’interno di un processo che dice bisogno di relazione e di comunicazione sempre più profondo. In questo senso sono ottimista: maggiori sono i passi avanti e maggiori sono le ambiguità, che non bisogna nascondersi, ma esse risultano inevitabili all’interno di un processo che, secondo me, è frutto proprio della spiritualità dell’uomo».
Le piattaforme web si evolvono in fretta e, a volte, altrettanto in fretta declinano. Ma per fare spazio a qualcosa di ulteriore. Un processo che cambia, dunque, ma non si ferma...
«Nella Rete non ci sono realtà che spariscono nel nulla, quanto piuttosto il superamento e l’integrazione in nuove forme e in nuove elementi. C’è un’evoluzione che non procede, però, per salti. Nonostante alcuni tentativi errati che si arrestano, normalmente i grossi trend non s’interrompono, ma vengono assorbiti da ulteriori fenomeni che li inglobano, magari correggendoli».
Una battuta d’arresto è impossibile, insomma. Si profilano nuovi scenari antropologici?
«L’unica cosa che vedo con una certa chiarezza è la tensione della Rete a essere sempre di meno una cosa separata, qualcosa che occupa un preciso spazio e una sezione di tempo nella vita delle persone. Oggi dedichiamo al web tempi circoscritti (da quest’ora a quest’altra) e spazi circoscritti (la presenza di terminali), ed è bene che sia così e che ci sia un’educazione in questo senso. Ma la tendenza della rete è quella di sparire, cioè d’integrarsi completamente con la vita ordinaria delle persone. Ecco perché è una grande sfida per la Chiesa.
Come veniamo cambiati? Prendiamo il processo informativo, ad esempio: oggi sistemi come Twitter permettono una comunicazione immediata su eventi importanti e che sono di difficile copertura giornalistica. L’informazione online non rende affatto inutili le testate giornalistiche, ma le “obbliga” a interrogarsi sul loro ruolo e sul loro significato.
Questo avviene anche nella comunicazione personale: un tempo una lettera impiegava giorni o settimane per giungere, ora no. E questo modifica fortemente il nostro impatto emotivo. Se poi, per giunta, sono costantemente raggiungibile online grazie a uno smartphone, il mio orizzonte delle relazioni si modifica».
...ma con le distanze non si brucia anche il senso dell’attesa? Non vira tutto verso una sincronia cosmica da capogiro?
«Assolutamente sì. È potenzialmente così. Ma questo può essere inteso come un problema o come una risorsa. Mi spiego. Innanzitutto nel caso della comunicazione asincrona, come quella delle email, non è detto che una persona risponda immediatamente alla mail che riceve: anzi, in genere non è così. L’attesa rimane. Poi, nel caso di comunicazioni sincroniche – chat, chiamate via Skype, etc. – è vero che bisogna creare dei contesti adatti per la comunicazione. Insomma: la chiamata o la chat può essere attesa per ore o giorni. L’innovazione non abolisce l’attesa, come non abolisce di netto le distanze: dà la possibilità di superarle o, meglio, di viverle in maniera diversa. Dà loro una forma differente che richiede, certo, una educazione specifica e una maggiore consapevolezza. In fondo anche l’invenzione dell’automobile, del treno o dell’aereo hanno ridotto i tempi dei viaggi, ma questo non mi pare si sia affatto tradotto automaticamente in un deperimento delle relazioni umane e della loro qualità!».
La prossima grande svolta online sarà il passaggio dal web sintattico al web semantico. Di cosa si tratta?
«Anche se ancora in evoluzione, comincia a essere interessante il fatto che sul web si possano cominciare a precisare le proprie domande di ricerca. Le ricerche finora erano sintattiche, cioè legate alla presenza di determinate parole, sganciate dal loro contesto preciso. Ora le ricerche vengono sempre più specificate attraverso il modo di porre la domanda, attraverso il loro contesto, a volte anche attraverso il luogo dove vengono poste. Così alcuni motori di ricerca danno risposte geolocalizzate, che mutano cioè a seconda della lingua e del luogo nel quale sono poste.
Un esempio interessante è il motore Wolfram | Alpha, un così detto “motore computazionale di conoscenza”, che interpreta le parole della domanda per propone una risposta il più precisa possibile. I motori semantici danno quindi risposte univoche, mentre i tradizionali motori sintattici non selezionano e offrono un ventaglio di risposte ampio quanto indistinto. È un passaggio interessante, che andrà studiato meglio nei prossimi anni per vederne gli esiti».
Quali le sue impressioni sul Messaggio per 44ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali?
«Certamente è un Messaggio molto importante, perché mette a fuoco il rapporto tra sacerdote, pastorale ordinaria e Rete. Va dunque nella direzione del leggere internet come ambiente... una considerazione che il Papa aveva già fatto nel Messaggio dello scorso anno. Ed essendo un ambiente umano come gli altri, anche il web è chiamato a ricevere il Vangelo.
Questo messaggio mostra inoltre come ci sia una compatibilità genetica di fondo tra la Rete e la Chiesa. La Rete si fonda sulle relazioni e sulla comunicazione di un messaggio, la Chiesa si fonda su rapporti di comunione e sul messaggio del Vangelo che va annunziato a tutte le genti. Inoltre la Rete ha una dimensione radicalmente universale, quindi cattolica... Insomma, ci sono troppe compatibilità in radice tra la Rete e la Chiesa. E il Messaggio del Santo Padre segna in maniera definitiva questa pista di riflessione».
C’è un ruolo specifico per il sacerdote, nel web?
«Dipende da cosa intendiamo per “specifico” e dai contesti in cui ci troviamo. Ma credo che un ruolo preciso, specifico e definito, non ci sia e non ci possa essere».
Al convegno Testimoni digitali, lei ha accennato alla necessità di una «nuova forma di apologetica» che consideri le «mutate categorie di comprensione del mondo e di accesso alla conoscenza». In che senso?
«È mia convinzione che la Rete, modificando la conoscenza e le capacità di relazioni, di fatto modifica o almeno implementa le categorie di comprensione della realtà intera. Se questo mutamento ha un impatto sulla capacità d’intellezione propria dell’uomo, non può non averlo pure sulle capacità di autocomprensione della fede e della Chiesa da parte dei cristiani. Bisogna quindi avviare una riflessione nuova su come la logica della Rete possa avere un impatto sulla logica della teologia, cioè sul modo di comprendere la fede. Un compito impegnativo, ma anche affascinante».
A proposito di categorie, il titolo del convegno della CEI – Testimoni digitali – ne ha posto in evidenza una specifica: la categoria della testimonianza.
«La testimonianza diventa una categoria fondamentale, perché nella logica dei social network l’elemento base è lo used generated content, cioè il contenuto generato dall’utente. Facebook non esisterebbe se i singoli utenti non inserissero dei contenuti che sono, tutto sommato, delle testimonianze. Il contenuto comunicato non è più qualcosa di oggettivo, nel senso di separato e indipendente, ma rimane è strettamente legato a chi lo immette. Un contenuto immesso in un social network è sistematicamente una testimonianza».