di Mariaelena Finessi

ROMA, giovedì, 6 maggio 2010, (ZENIT.org).- Responsabili ecclesiali, studiosi e membri dei diversi movimenti cristiani si sono riuniti il 4 maggio a Roma per il convegno internazionale, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, “I poveri sono il tesoro prezioso della Chiesa: ortodossi e cattolici insieme nella via della carità”.

Alla radice dell'incontro, la riflessione sull’accoglienza dei più fragili nelle nostre città, quindi le testimonianze dei Padri della Chiesa e le sfide dettate dai nuovi disagi sociali. A parlarne – tra gli altri - Arkadij Satov (presidente del Dipartimento sinodale per la carità del Patriarcato di Mosca), Filaret (Metropolita di Minsk e Sluck) e il cardinale Roger Etchegaray (vice decano del Collegio Cardinalizio).

«Lo scopo dell'esistenza è donare», spiega Laurentiu, arcivescovo di Sibiu. D'altronde, come potrebbe essere altrimenti? «Ciò che abbiamo – chiarisce Zoran Nedeljkovic, direttore della Biblioteca del Patriarcato di Serbia - ci è stato dato in prestito e per questo dovremo restituirlo». A parlare di noi infatti non sarà la ricchezza posseduta ma piuttosto le opere compiute. Specie nei confronti di chi vive ai margini delle città, proprio lì dove «la Chiesa – come ricorda monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni –, sin dai suoi primi passi ha incrociato i poveri».

Tanto che se Basilio volle far fronte ai numerosi bisognosi creando per loro una cittadina chiamata “Basiliade”, Giovanni Crisostomo vendette invece gli oggetti preziosi che riempivano la casa vescovile, consacrando le sue larghe rendite alla fondazione di ospedali e al mantenimento degli emarginati: «Se volete onorare il corpo di Cristo – predicò -, non disdegnatelo quando è ignudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest'altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità».

In Africa, anche Agostinò sentì il dramma dei poveri che accorrevano nei grandi centri abitati. Per questo spinse gli amministratori della cattedrale di Ippona ad acquistare un intero quartiere con le sue strutture industriali, i cui proventi servivano per le esigenze del culto e per i poveri, spesso membri della stessa comunità cristiana, la quale accoglieva stranieri, orfani, vedove e vittime delle razzie. «Fare l'elemosina – commentava Agostino - è come il tuo facchino. Egli porta per te in cielo ciò che tu doni».

Più vicini a noi nel tempo, infine, gli uomini hanno tentato di costruire un “mondo nuovo”, «in modo utopico e violento – spiega Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio -, sulla via di una visione ideologica», che era quella del comunismo e di altri totalitarismi. Nel progetto di quel “mondo nuovo”, «non c'era più bisogno della carità evangelica, di cui la Chiesa parlava da secoli». I cristiani, sfidati da quell'utopia sono stati posti sul banco degli accusati: «Non erano complici della miseria di tanti poveri, insegnando loro la rassegnazione e soccorrendoli in modo episodico, senza trasformare profondamente la realtà sociale?».

La sfida, cominciata nell’Ottocento con la crescita dei movimenti socialisti e il divorzio tra la Chiesa e il mondo proletario, è cresciuta nel Novecento, con la realizzazione dei regimi comunisti. «Per essi la Chiesa, nemica della classe operaia e del progresso sociale, era un rottame del passato da eliminare». Esiliata, la Chiesa aveva il divieto di celebrare il trionfo dell’eguaglianza sociale da realizzarsi per mezzo della carità. Eppure uomini e donne di fede hanno cercato di colmare l’abisso creatosi tra Chiesa e poveri: Raul Follereau, Albert Schweitzer, Giorgio La Pira, la granduchessa Maria Elisabetta di Russia, la monaca ortodossa Maria Skobtsov e Madre Teresa di Calcutta sono solo alcuni nomi.

Giunto nel XXI secolo, «l’umanesimo cristiano – conclude monsignor Marco Gnavi della Comunità di Sant’Egidio - è infine messo alla prova nell’architettura urbana e umana della città moderna, prodotto e sintesi delle tensioni di un mondo globalizzato». Il povero, in questo contesto, «richiama il limite e la fragilità della nostra condizione ed è portatore di una domanda talvolta disperata di umanizzazione dell’ambiente che lo circonda. Indica ciò che manca al nostro convivere e provoca lo sguardo interiore a vedere oltre la soddisfazione del desiderio personale e materiale».

D'altronde, la perenne novità del cristianesimo stava, e sta, nel nutrire una visione: chi vede i poveri e ha compassione per loro, comincia a vedere in modo diverso. Un grande vescovo di Roma, il papa Gregorio Magno insegnava: «Quanto più uno si dilata nell’amore del prossimo, tanto più si innalza nella conoscenza di Dio». Ed aggiungeva: «Con l’inchinarsi al prossimo, uno acquista la forza di star dritto. Quella carità che ci rende umili e compassionevoli, ci solleva poi verso l’alto grado della contemplazione».