I cattolici e la riforma sanitaria di Obama

di mons. Giampaolo Crepaldi*

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ROMA, giovedì, 6 maggio 2010, (ZENIT.org).- La posizione dei cattolici americani nei confronti della riforma sanitaria di Obama ha messo in luce un grande problema della Chiesa di oggi: le indicazioni dei pastori non ottengono una unità di intenti e di prassi, molti sacerdoti, suore e laici distinguono, si dissociano, si ritengono in diritto di coscienza di pensare e agire a loro modo. Vediamo alcuni fatti e poi cerchiamo di fare delle riflessioni.

Il vescovo Thomas Tobin di Providence (Rhode Island) ha chiesto che il St. Joseph Health Services, un ospedale cattolico finanziato dalla diocesi, esca dalla Catholic Health Association, che raggruppa le istituzioni sanitarie cattoliche. La richiesta del vescovo è stata espressa in una lettera inviata lo scorso 29 marzo a Suor Carol Keehnan, Chief Executive Officer della Catholic Healt Association ed è stata motivata dal fatto che l’Associazione sarebbe stata “causa di grave scandalo per molti fedeli”.

Cosa era successo? Madre Keehnan chiese pubblicamente al Senato di approvare la riforma sanitaria, dichiarando che, nonostante alcuni punti deboli, la legge non introduce né aumenta i fondi federali per l’aborto. I vescovi americani si erano pronunciati in senso opposto. Il 21 marzo 2010 la legge è stata definitivamente approvata e in seguito il presidente Obama ha promesso di firmare un executive order per vietare i finanziamenti federali dell’aborto, salvo i casi di stupro, incesto e malattia della madre. Il vescovo Tobin sostiene che il sostegno dell’associazione alla legge, in aperto contrasto con le indicazioni dei vescovi, fornì il destro ai membri del Senato per approvarla.

Ma l’appoggio alla riforma sanitaria della Catholic Health Association, in dispregio delle indicazioni dei vescovi, non è  stata l’unica. Il vescovo Lawrence E. Brandt, di Greensburg, ha vietato che le Suore di St. Joseph in Baden utilizzassero i media diocesani in sostegno della riforma di Obama. Poche ore prima del voto al Senato, Suor Simone Campbell, direttrice del Network che raccoglie il maggior numero degli istituti religiosi femminili, ha pubblicato una dichiarazione di sostegno alla Catholic Health Association e una lettera aperta al Congresso sollecitando l’approvazione della legge. Molte Superiori di ordini religiosi femminili, compreso la presidente della Leadership Conference of Women Religious, l’hanno firmata.

Tornando alla diocesi di Greensburg, l’8 aprile scorso il Vicario generale ha inviato una lettera a tutti i sacerdoti stabilendo che gli uffici diocesani, i giornali e le parrocchie non avrebbero potuto promuovere le posizioni di comunità religiose contrarie a quelle dell’episcopato. L’arcivescovo Raymond Burke, già arcivescovo di Saint Louis e ora a capo della Signatura apostolica vaticana, disse: “Non è stata la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, a gloriarsi del fatto che così tante suore appoggiavano la legge che lei proponeva? Non è stata una suora a riempire di inchiostro la penna con cui il Presidente degli Stati uniti ha firmato la legge di riforma sanitaria? E’ venuto il momento per tutti noi e in particolare per le persone consacrate  di stare dalla parte della verità e di chiedere che, oppure di cessare di chiamarsi cattolici”.

Credo che, al di là della situazione americana, di cui ho qui sopra ricordato alcuni recenti fatti, esista un notevole problema di compattezza dei cattolici  dietro alle indicazioni dei vescovi e del Papa in materia  di morale pubblica. Le divisioni e l’opposizione alle indicazioni dei pastori danno il destro a manovre politiche  che strumentalizzano la Chiesa. Inoltre, le divisioni sulle grandi questioni di morale pubblica produce ulteriori divisioni nel corpo ecclesiale e finisce per indebolire anche l’unità di fede. Di fatto, nelle coscienze, si è insinuata l’idea che la guida dei pastori in questi campi sia superflua quando non addirittura sbagliata e che la coscienza personale, appunto, debba dire l’ultima parola in merito. Andando più a fondo ancora nella questione, si è insinuata l’idea che non esista una vera continuità tra appartenenza di fede e impegno storico a servizio dell’uomo sulle questioni fondamentali della vita e della dignità umana. L’appartenenza di fede potrebbe dar vita ad una diversità di impegni. Ma questo non è possibile quando il magistero si è pronunciato e quando è in ballo la legge morale naturale.

Dobbiamo impegnarci tutti, ai diversi livelli, per mostrare la continuità tra fede in Cristo e difesa della legge morale naturale, tra rivelazione e ragione umana, tra fede nel Redentore e nel Creatore in modo che le indicazioni del magistero della Chiesa sui comportamenti da seguire per difendere il Creato, e nel Creato la persona umana, non siano lasciati a parte – accolti con beneficio di inventario individuale – rispetto alla prassi personale e di gruppo.  

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*Monsignor Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

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ZENIT Staff

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