La carità intellettuale testimoniata

ROMA, venerdì, 26 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della relazione che il prof. Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato e responsabile del Centro dipartimentale per la Ricerca dell’Università Europea di Roma (Uer), ha tenuto il 24 febbraio scorso intervenendo all’Uer alla presentazione del nuovo libro di mons. Lorenzo Leuzzi, “Eucarestia e carità intellettuale. Prospettive teologico-pastorali dell’Enciclica Caritas in Veritate” (Libreria Editrice Vaticana).

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La carità come esempio incarnato: San Francesco.

E’ arduo parlare di “carità intellettuale” attraverso la parola scritta. Si finisce inevitabilmente per essere retorici e soprattutto poco persuasivi. Si tratta, infatti, di un tema che viaggia con la vita delle persone, con i loro comportamenti, con le reazioni che suscitano negli altri[1]. Per questo motivo, prima di avventurarmi nel tema specifico della carità intellettuale, vorrei cominciare la riflessione con un esempio di carità “incarnata”, e mi viene subito in mente Francesco, santo patrono d’Italia[2].

Ci sono uomini che trasmettono l’idea di ciò che il mondo, e l’Europa in particolare, sarebbero potuti diventare se alla proclamazione della giustizia si fosse accompagnata sempre una radicale testimonianza personale.

Francesco è uomo che trasforma le cose, che sa volgere il male in bene; che, pellegrino tra i popoli, conosce la strada giusta per toccare il cuore delle persone e convertirle. Papà Pietro lo volle chiamare Francesco in onore delle ricchezze che la sua famiglia aveva raggiunto in Francia; ma oggi Francesco evoca povertà, umiltà, testimonianza di giustizia, anelito alla pace[3].

Davanti ad un mondo che corre frenetico, dove tanti valori sembrano vacillare, l’inquietudine e l’attività operosa del frate di Assisi ci manda un messaggio di speranza. E’ un messaggio che richiama ciascuno di noi alla consapevolezza che nella vita talvolta occorra fare silenzio4. Occorre aprirsi alla bellezza del creato e raccogliersi in meditazione per coglierne gli aspetti più autentici.

Francesco non parla soltanto ai credenti, ma ad ogni uomo e ad ogni donna, a ciascuno di noi. Cosa significa infatti, andando contro ogni comune intendimento della sua epoca, interessarsi dei ceti sociali più deboli, andare incontro a quel prossimo che viene rifiutato dalla società, il povero, il malato, l’ultimo, il perdente? Già il perdente! Chi nella vita si sente inutile e umiliato nella sua dignità e girovaga ancora oggi nelle grandi metropoli del mondo. Francesco gli andrebbe incontro a braccia aperte[5]. E noi?

Francesco era un operatore di pace ed in nome della pace ha viaggiato fino ai confini dell’Europa per diffondere il messaggio evangelico. Proprio quelle radici cristiane dell’Europa – storicamente incontestabili e che tanto avremmo voluto menzionate nella Costituzione europea – assumono con Francesco la coloritura di radici di pace, radici di accoglienza, radici del “farsi ultimo”.

C’è un lascito dell’eredità di Francesco che dovremmo riportare nel nostro lessico di docenti, uomini dell’intelletto: è la parola fratellanza, l’espressione fraternità. Fratello Francesco, e ne sono ancora buoni testimoni i frati Minori e le Clarisse, proprio dello spirito della condivisione ha fatto l’architrave della regola francescana. La forza dell’amore fraterno, specie nei luoghi pubblici e della cultura, è una turbina straordinaria più potente di milioni di parole e ragionamenti eruditi[6].

In effetti, sul piano della cultura giuridica, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre del 1948, vi è ancora una cenno alla fraternità[7]. Eppure da allora nessun documento ufficiale di istituzioni internazionali ne ha fatto più menzione. Il mondo universitario, specie quello cristianamente ispirato, può farsi interprete della necessità di un richiamo alla fratellanza nelle sedi normative e interpretative, che non ha solo un significato trascendente quale discendenza da un unico Padre, ma è segno di collaborazione tra i popoli e segno di eguale dignità in diritti e doveri di tutti gli uomini che abitano la terra[8].

Nel segno e nel ricordo di Francesco, tocca oggi a ciascuno di noi impegnarci nel cammino di crescita culturale senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o possa sentirsi escluso. Così la carità da straordinario dono dello spirito si incarna nella forma specifica di carità intellettuale e passa attraverso la vocazione di ciascuno di noi[9]. Con l’avvertenza che il suo esercizio non è prerogativa dei soli professori ma anche di chiunque, dotato dei lumi dell’intelletto, abbia a cuore il bene e l’avvenire dei nostri figli.

2.L’armoniosa comunicazione tra carità incarnata e Dottrina sociale della Chiesa.

La testimonianza francescana, vivida ed esemplare, ben si armonizza nella sistematica del pensiero sociale della Chiesa. E’ proficuo perciò collocare la storia irripetibile del poverello d’Assisi nel grande libro della dottrina sociale, al fine di verificare se, dall’incontro tra un virtuosissimo percorso umano di carità e i principi elaborati dalla sapienza della Chiesa, non nasca qualcosa di utile anche per noi che siamo chiamati di fare della carità la ragion d’essere del nostro impegno culturale ed accademico.

Provo perciò a radicare questo percorso in alcune premesse contenute nel “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” (Introduzione e parte prima), dove si affrontano le finalità e i presupposti.

Sta, infatti, nella natura stessa dell’elaborazione dottrinale l’esigenza di porsi, oltre che come strumento di discernimento della realtà, anche come “guida per ispirare, a livello individuale e collettivo, comportamenti e scelte tali da permettere di guardare al futuro con fiducia e speranza” (n. 10).

Il richiamo ad un’ispirazione delle azioni non solo individuali ma anche collettive è diretta conseguenza della dinamica che lega tra loro le persone umane, esseri razionali e relazionali, proprio “nella figliolanza dell’unico Padre” (n. 19). Il volto di chi mi sta accanto, ma anche di chi non conosco, ma so essermi uguale, invita a pensare all’altro come a me stesso: è il comandamento dell’amore reciproco “che costituisce la legge di vita del popolo di Dio” e “deve ispirare, purificare ed elevare tutti i rapporti umani nella vita sociale e politica” (n. 33).

Il comandamento dell’amore prende forma, nell’agire quotidiano, nel comandamento della comprensione e del dialogo: ”il rispetto e l’amore devono estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché quanto più con onestà e carità saremo intimamente comprensivi verso il loro modo di pensare, tanto più facilmente potremo instaurare il dialogo con loro” (n. 43; Conc. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, 28). La fonte trascendente si rivela indispensabile per vivere nella grazia “necessaria” il rapporto con gli altri: Croce e Risurrezione rinnovano ogni giorno il cuore del cristiano (n. 44; “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”, 1 Cor 3,22-23).

Ecco che l’’ispirazione cristiana dell’agire sociale si plasma nella carità (n. 54), perché l’amore reciproco tra gli uomini è “lo strumento più potente di cambiamento, a livello personale e sociale” (n. 55): si stagliano vivide le figure di altri grandi operatori di amore, cristiani e non, che, accanto a Francesco, hanno trasformato le strutture sociali e, in definitiva, la cultura di intere generazioni, con la loro testimonianza vissuta nel mondo e per il mondo; come non ricordare la Beata Teresa di Calcutta, “Missionaria della Carità”. L’impegno del cristiano per gli altri si radica nel fiat, in quel sì totale di Maria che corrisponde alla “consapevolezza che non si
può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili” (n. 59; Lett. enc. Redemptoris Mater, 37)[10]. Non dunque un generico altruismo, ma carità che è donazione, coma Maria, “totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di Lui” (n. 59)[11].

3. Il ruolo della Chiesa al servizio del sapere: le Università cattoliche.

Il ruolo della Chiesa si impregna di una splendida capacità di donazione proprio nella particolare coloritura umana che la connota nel dare concretezza al progetto di Dio, a cominciare dall’impegno missionario nei luoghi di cultura. Essa è “tenda della compagnia di Dio […] ministra di salvezza non astrattamente o in senso meramente spirituale, ma nel contesto della storia e del mondo in cui l’uomo vive” (n. 60); di qui discende la missione evangelizzatrice, collegata alla promozione umana nella comunità (n. 66-67). La dottrina sociale si realizza nell’adesione del credente che, con la coerenza dei comportamenti, è coinvolto “in tutto il suo vissuto e secondo tutte le sue responsabilità” (n. 70).

E’ una prerogativa della Chiesa quella di partecipare attivamente alla formazione della cultura, in particolare della cultura accademica[12]. Ed è una prerogativa millenaria, che si iscrive nel solco della tradizione culturale europea, di cui il pensiero cristianamente ispirato è parte integrante.

Ed è un fatto che, ancora oggi, all’inizio di questo millennio, larga parte degli europei si rivolgano al Magistero della Chiesa cattolica, quale riferimento di valori che sentono propri, che rappresentano un orizzonte condiviso e per questo sono valori “popolari”: la pace, il dialogo interreligioso, l’opzione preferenziale verso gli ultimi, la dignità della vita umana, l’importanza sociale della famiglia[13].

E in questa missione si iscrive anche il servizio nelle Università e alle Università, luoghi dove, per definizione, si formano le culture dei popoli e si promuove lo scambio di idee e di saperi scientifici e umanistici. Un servizio oggi forse più delicato e impegnativo che deve tenere conto di uno sviluppo sempre più grande dei confini delle conoscenze umane, del progresso scientifico e, ancor più, del mutato contesto italiano ed europeo in cui si svolge. Che è un contesto globale, senza confini, ma che proprio per questo ben si adatta alla vocazione universale propria della cultura e della ricerca scientifica[14].

Certamente oggi le Università, ed in particolare le Università cattoliche, operano in una situazione sociale e culturale profondamente mutata rispetto al passato. Le Università di ispirazione cristiana sono chiamate ad assicurare la fedeltà alla Chiesa nell’ambito di una cultura “cristiana” che sappia testimoniare la concreta possibilità e la singolare fecondità dell’alleanza tra ragione e fede, facendo della ricerca e dell’insegnamento un’espressione di amore profondo per l’arricchimento del tesoro delle conoscenze umane[15].

Soltanto così la missione universitaria risulterà anche uno dei principali strumenti per la crescita di un Paese: per la capacità di riunire persone aventi in comune la voglia approfondire, di costruire, di operare per il bene comune; per la forza di modificare gli eventi permettendo persino lo sviluppo dell’economia[16].

4. La testimonianza dei cattolici impegnati nella trasmissione del sapere.

E veniamo alla missione specifica di noi docenti[17].

Un aspetto determinante sta nella forza, la genialità, la perseveranza e l’incrollabile fiducia di chi opera nelle realtà accademiche.

L’Università non sarebbe altro che una scatola vuota e inutile se non ci fossero uomini e donne che dedicano molto del loro tempo. In questo sta la peculiare missione del docente, attraverso i suoi caratteri di gratuità, come stile di partecipazione alla vita universitaria, di solidarietà con gli altri professori e gli studenti, come strumento per conseguire i migliori risultati nella ricerca e nella didattica.

Siamo chiamati ad armonizzare i migliori metodi scientifici per la ricerca con una forte testimonianza morale insieme solida e dinamica, che sostenga ed esalti la libertà dell’agire saldandola con la responsabilità propria di chi vuole trasmettere il sapere con rettitudine e spirito di servizio[18]. Siamo cioè chiamati ad assicurare la fedeltà alla Chiesa nell’ambito di una cultura “cristiana” che sappia testimoniare la concreta possibilità e la singolare fecondità dell’alleanza tra ragione e fede, facendo della ricerca e dell’insegnamento un’espressione di amore profondo per l’arricchimento del tesoro delle conoscenze umane[19].

La vera gloria dell’Università sta nel servizio che noi sapremo rendere nella promozione di una comunità di fede autentica e nella formazione di persone attraverso un’alta cultura cristianamente ispirata. Solo così si realizzerà l’obiettivo, decisivo, di offrire le migliori soluzioni per la promozione dello sviluppo dei popoli sulla base dei valori fondamentali della vita umana e della pace, che comincia all’interno di ciascuno di noi[20].

E’ un progetto ambizioso certo, ma, con l’umiltà e lo stupore propri di chi si pone davanti alle cose che contano sapendo di essere la tessera di un mosaico più grande, penso che possiamo tracciare nuovi orizzonti del sapere, che intrecciandosi tra loro consentano di scorgere lo splendore della verità[21]. Orizzonti armonici con il creato e sulla base dei diritti inalienabili della persona umana.

Noi docenti siamo chiamati ad uno sforzo continuo di miglioramento delle nostre competenze e di capacità di discernimento nella ricerca perché si sviluppi nel contesto di una coerente visione del mondo[22]. Siamo chiamati ad essere testimoni ed educatori di vita cristiana, che nella sua autenticità umana, sarà comprensibile a tutti, anche a chi non possiede il dono della fede.

5. Impegno di carità.

Il circolo argomentativo si chiude recuperando la premessa da cui si è partiti, che sta, in definitiva, nella bontà dell’agire in concreto.

Valga questo esempio.

Otto di mattina: esame all’Università, Facoltà di Architettura, Scienza delle costruzioni. Immaginiamoci un’aula più o meno ampia, con pochi banchi ed una lunga cattedra dove dovrebbe svolgersi l’esame. Decine di studenti che attendono l’arrivo del professore. Il professore non arriva e, invece, entra il bidello che appende al muro un cartello con su scritto “esame rinviato a data da destinarsi”.

Secondo scenario. Questa volta, sette di mattina. Fila all’entrata della segreteria. Una parte di queste persone attende fino alle 11: purtroppo la coda è troppo lunga e arrivati ad un certo punto si blocca la fila e non si fa entrare più nessuno.

La mente dello studioso di diritto, ma anche del cittadino animato da senso comune, corre subito alla nostra Carta costituzionale: art. 34 (…”diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”). Bisognerebbe leggerla più spesso la Costituzione! Perché rimane ancora oggi l’architrave su cui si fonda la Democrazia e la libertà del popolo ed è tra le più ammirate nel mondo intero.

Le libertà costituzionali sono indissolubilmente legate ai diritti fondamentali. Art. 3, comma 2, “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli… che limitando di fatto la libertà… impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. Compito della Repubblica certo, ma chi lo assolve poi in concreto quel compito: uomini, donne, persone con le loro radici, il loro modo di declinare i valori in cui credono.

La prima condizione per assolvere quella missione di libertà è che sia percepita con la responsabilità di chi sente che agisce non per un interesse proprio ma per una libertà e dunque un diritto fondamentale altrui.

Tale responsabilità, tale im
pegno – è ovvio – può avere un fondamento tutto umano, oppure morale, ma è certamente un atto libero.

Ecco allora che si disegna un circolo libertà individuale – responsabilità – libertà altrui che può essere virtuoso, oppure fallimentare.

Virtuoso, quando la responsabilità, significa consapevolezza delle proprie azioni. Ed è allora che quei principi teorici, contenuti nella Costituzione, nella nostra coscienza, e che coincidono con i principi elaborati all’esperienza della Dottrina sociale, rivivono. Soltanto dal farsi concreto di quei principi accadrà che quello studente che se ne è tornato a casa senza aver potuto dare l’esame riacquista fiducia perché sa dove rivolgersi, con chi entrare in dialogo, ritrova l’Università, il loro ruolo. E a questo punto la carità non è più qualcosa di astratto ma diventa qualcosa di vivente, di incarnato.

E’ un circolo invece fallimentare se la responsabilità non è sentita. La libertà è fine a se stessa (il caso del professore assenteista o dell’impiegato irresponsabile). Certamente si resta responsabili, e cioè si dovrà comunque rendere ragione del proprio comportamento. Ma non si raggiungerà l’obiettivo di garantire le libertà e i diritti altrui. Il cerchio libertà individuale – responsabilità – tutela della libertà altrui resta monco di quest’ultimo segmento, che è decisivo per valutare la bontà della missione.

Dunque libertà e responsabilità sono sempre indissolubilmente legate ma vanno orientate. Allora una parola per la nuova agenda della cultura accademica discende dalla scommessa che, dinanzi ad un generale smarrimento post ideologico e post 11 settembre, l’Università torni ad “orientare”. E siccome orientare significa letteralmente disporsi in un certo modo rispetto ai punti cardinali, e cioè scegliere, rispetto a libertà e responsabilità i docenti devono scegliere se muoversi nell’orizzonte dell’interesse degli studenti, o solo di se stessi. Significa stabilire la propria esatta posizione in questa prospettiva.

La missione della trasmissione del sapere, se davvero libera e responsabile, insomma deve dare l’orientamento, deve mostrare agli studenti l’ago della bussola, come ci si orienta.

Per questo motivo il tema più qualificante per il docente non può che essere quello di offrire il metodo perché lo studente apprenda nella carità. Perché dare un metodo per apprendere nella carità è il più grande atto di fiducia che i docenti possono fare agli studenti, significa lasciare la bussola nelle loro mani, consentire che si orientino da soli, avendo indicato la strada.

Qui gioca un ruolo straordinario, una parola antichissima e ormai espunta dal vocabolario culturale: verità[23].

L’orientare del sapere si fa orientarsi dei discenti. E’ l’applicazione più compiuta del principio di sussidiarietà. Sussidiarietà non più percepita soltanto come “agire” dell’Università, ma come “scelta” dello studente.

Ma poter scegliere non basta. Perché l’orientarsi sia davvero libero occorre che circolino informazioni, vi sia aggiornamento, cioè ricerca; e anche qui libertà e responsabilità assumono, rispetto al grande tema della cultura, il preciso significato di garanzia di pluralismo dei metodi nella ricerca della verità. Dunque il paradigma dell’orientare l’Università verso la libertà e l’apprendimento dei metodi migliori fondati sulla carità affinchè gli studenti siano capaci di orientarsi da soli con scelte consapevoli, si realizza offrendo loro il massimo aggiornamento nell’informazione scientifica secondo verità.

E’ proprio questo rapporto della cultura con la verità che costituisce il punto focale, anzi il punto debole, del dibattito maggiore e fondamentale delle nostre società contemporanee [24]. Non si deve dimenticare che anche la verità è un diritto dello studente, ed è il primo.

E il modo migliore per apprenderla, come metodo e come fine, è testimoniarla, la verità: questo, in definitiva, mi pare il significato più fecondo dell’espressione “carità intellettuale” [25].

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1) Di quanto sia importante l’esperienza della vita pratica rispetto all’erudizione “[s]e ne accorse quel professore universitario, cui la domestica chiese di poter prendere dalla stufa un po’ di carboni accesi per il ferro da stiro. ‘Fate pure – disse – ma dov’è il recipiente in cui mettere i carboni?’. ‘Qui’ rispose la serva; e mostrò il palmo della mano. Vi sparse uno strato di cenere fredda, sopra la cenere pose i carboni e se ne andò ringraziando. ‘Toh! – disse il professore – con tutta la mia scienza questo non lo sapevo!’” (Albino Luciani – Giovanni Paolo I, Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, Padova, 2006, p. 270).

2) Per una lettura sempre proficua, soprattutto per gli aspetti più originali ed inespressi della spiritualità di Francesco, v. G. Polidoro, Francesco uomo cristiano, Firenze, 1981.

3) Vale la pena di rileggere i due volumetti di é. Leclerc, La sapienza di un povero, Milano, 1995, trad. it. F. Visconti di Modrone e F. Olgiati, e La tenerezza del padre, Milano, 1984, trad. it. S. Olgiati.

4) Il valore del silenzio e i suoi effetti virtuosi richiamano alla mente un’altra figura che ha profondamente inciso nella cultura europea: Benedetto da Norcia “il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo” (così lo descrive J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, 2005, Siena, p. 28); in questo modo “Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli” (ibidem). Cfr., anche, M.G. Masciarelli, Abitare il silenzio, Roma, 1998, passim.

5) Lo stato di innamoramento di San Francesco per la povertà è davvero efficacemente descritto da O.L. Scalfaro (in Le “chiacchierate” alla sala Francescana di S.Damiano, Assisi, 1985, p. 289): “Innamorato vuol dire un essere preso tutto, in tutte le sue forze, incantato, attratto da un altro essere; innamorato vuol dire un punto di cottura che porta l’anestesia totale…”. Sul rapporto tra povertà e carità, si rileggano anche le belle pagine, dense di esperienza, di P. Mazzolari, in Tra l’argine e il bosco, Brescia, 1962, spec. p. 189 e ss.

6) Scrive papa Benedetto XVI (Deus Caritas est, 2005, 28): “ L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo”.

7) Cfr. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 1963, IV: l.c., 285 e Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace, 2003, 5.

8) Il riflesso divino e naturale dei diritti umani oggi reclama un’apertura delle intelligenze, della ragione; eppure – così si conclude il Discorso all’Università di Ratisbona di papa Benedetto XVI – “[L]’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza […]. ‘Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio’, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università” (2006).

9) Si veda L. Leuzzi, Chiesa di Dio, non temere. Il cristianesimo dopo Ratisbona, Catanzaro, 2006, spec. p. 67 e 68.

10) Come Maria – ci ricorda Madre Teresa – “[c]osì pure noi: chiediamo a Dio di volerci usare, oggi, per continuare a essere in tutto il mondo – ma particolarmente nelle nostre comunità – fili di collegamento tra il cuore degli uomini e la sorgente dell’energia, Gesù” (Madre Teresa, Meditazioni per ogno giorno dell’anno liturgico, Milano, 1996, p. 14).

11) Cfr. F. Rodero – A. Izquierdo, Alla scuola di Maria, Città del Vaticano, 1998, p. 159 ss.

12) Questa l’esortazione di papa Giovanni Paolo II:”…vale la pena che membri del clero, sacerdoti e vescovi, entrino personalmente in contatto con il mondo della scienza e con i suoi protagonisti. In particolare, il vescovo dovrebbe non solo avere cura dei suoi atenei cattolici, ma anche mantenere uno stretto legamecon tutta la vita universitaria: leggere, incontrarsi, discutere, informarsi su quanto avviene in quell’ambito. Ovviamente egli non è chiamato a essere scienziato, ma pastore. Come pastore, però, non può disinteressarsi di questa componente del suo gregge, giacché a lui spetta il compito di ricordare agli studiosi il dovere di servire la verità e di promuovere, così, il bene comune” (in Alzatevi, andiamo!, Milano, 2004, p. 72-73).

13) Una missione particolare è affidata ai cattolici italiani: “Tocca a noi infatti – non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo – dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente:  se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo” (Discorso di papa Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona, 2006).

14) L’itinerario degli scritti di Giovanni Battista Montini segnano un percorso esemplare nella cultura del ‘900 di un intelletto di carità, da cui questo scritto vorrebbe prendere le mosse (si veda, in particolare, Paolo VI, Carità intellettuale. Testi scelti 1921-1978, a cura di G. M. Vian, Milano, 2005).

15) Come sempre senza peli sulla lingua, J. Guitton: “Oggi grandi studiosi sono anche grandi credenti” (con F. Pini, in L’infinito in fondo al cuore. Dialoghi su Dio e sulla fede, Milano, 1998, p. 56 ss.).

16) Quell’economia legata al diritto, alla giustizia e non al primordiale istinto al profitto, come viene declinata nel pensiero di G. Capograssi (del quale vedi, in particolare, Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, Milano, 1959).

17) Si tratta di un impegno concreto nella storia partendo dal “discernimeto” dei segni del tempo, che consente di cogliere “l’impegno del cristiano nella società e nel mondo di oggi. Viene colta l’urgenza della missione. La missione è il compito da svolgere ora; Dio comunica la sua volontà per ciascuno degli uomini attraverso la storia stessa perché intervengano nella storia: una volta compresa e accolta e messa in pratica, si realizza nella storia. La responsabilità personale nella storia corrisponde alla chiamata che Dio fa a ciascuno” (P. Scarafoni, I frutti dell’albero buono. Santità e vita spirituale cristocentrica, Roma, 2004, p. 123).

18) Insuperata ed efficacissima l’espressione di Paolo VI: “L’umiltà, per sé, è sapienza” (da A. Izquierdo, L.C., in Esercizi spirituali con Paolo VI, Città del Vaticano, 1999, p. 44).

19) Ci ricorda André Frossard (in Dio. Le domande dell’uomo, Alessandria, 1990, p. 178) che “La religione non è mai stata il nemico della conoscenza. A quest’ultima chiede semplicemente di non rinchiudersi nei dati de
l sensibile”.

20) Sottolinea Giovanni Paolo II, in Parole sull’uomo, a cura di A. Montonati, Milano, 1989, p. 487: “La società chiede all’Università non soltanto specialisti, ferrati nei loro specifici campi del sapere, della cultura, della scienza e della tecnica, ma soprattutto costruttori di umanità, servitori della comunità dei fratelli, promotori della giustizia perché orientati alla verità. In una parola, oggi, come sempre, sono necessarie persone di cultura e di scienza, che sappiano porre i valori della coscienza al di sopra di ogni altro, e coltivare la supremazia dell’essere sull’apparire. La causa dell’uomo sarà servita se la scienza si allea alla coscienza” (i corsivi sono dell’a).

21) Cfr. Ciò che conta è lo stupore. Articoli e interviste su Charles Péguy con una prefazione del cardinale Roger Etchegaray, Milano, 2001, passim. Uno stupore che si fa ardore spirituale, che talvolta può mancare, ma che rimane sempre l’orizzonte verso cui muovere: fondamentali gli insegnamenti ascetici de L’imitazione di Cristo (a cura di U. Nicolini, Milano, 1988, spec. p. 121 ss.).

22) Il tema della natura necessariamente “spirituale” dell’intelletto è ben argomentata da R. Lucas Lucas, in L’uomo spirito incarnato. Compendio di filosofia dell’uomo, Milano, 1993, spec. p. 139 ss.

23) Verità nel senso più profondo, che non ammette nessuna esagerazione e neppure per “pii motivi”, come esemplarmente, testimonia in questo brano Santa Teresa del Bambino Gesù: “Mi fa bene, quando penso alla sacra Famiglia, immaginarmi una vita del tutto comune. Non quello che viene raccontato, o che viene ipotizzato. Per esempio, che Gesù Bambino, dopo aver fatto degli uccellini di terra, ci soffiasse sopra e desse lora la vita. No, Gesù Bambino non faceva miracoli inutili di questo genere…” (da Novissima verba, 20 agosto, in J. Guitton, Il genio di Teresa di Lisieux, Torino, 1995, p. 16-17). Ma si rilegga direttamente Sainte Thérèse de l’enfant-jésus et de la sainte-face, Histoire d’une âme. Manuscrits autobiographiques, Lonrai, 1997, passim.

24) Il richiamo alla verità si intreccia con il valore dell’obbedienza a Dio, cui talvolta osta l’orgoglio, “il faccio da me” – come ricorda Giuseppe Lazzati – “cioè il senso che la obbedienza a Dio, sia il togliere qualche cosa alla mia personalità, mentre la mia personalità tanto più è se stessa quanto più esegue la volontà di Dio, perché chi mi ha pensato e mi pensa è Lui, cioè è come l’artista che scolpisce e se si trova sotto la pietra che si lascia scolpire ne viene fuori il Michelangelo, ma se la pietra dice no, non vien fuori nulla” (G. Lazzati, La contemplazione, in Dieci ore di religione, a cura di Marco Garzonio, Milano, 1986, p. 166).

25) E questo mi pare anche il senso di una bella pagina di Giovanni Paolo II, dove, ricordando il periodo dello studio intenso per conseguire l’abilitazione alla libera docenza, rimprovera a se stesso la contestuale riduzione del lavoro pastorale: “Mi costò, ma da allora mi preoccupai sempre che la dedizione allo studio scientifico della teologia e della filosofia non mi inducesse a «dimenticarmi» di essere sacerdote; piuttosto doveva aiutarmi a diventarlo sempre di più” (Giovanni Paolo II, Dono e Mistero, Città del Vaticano, 1996, p. 73).

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ZENIT Staff

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