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1) Di quanto sia importante l’esperienza della vita pratica rispetto all’erudizione “[s]e ne accorse quel professore universitario, cui la domestica chiese di poter prendere dalla stufa un po’ di carboni accesi per il ferro da stiro. ‘Fate pure – disse – ma dov’è il recipiente in cui mettere i carboni?’. ‘Qui’ rispose la serva; e mostrò il palmo della mano. Vi sparse uno strato di cenere fredda, sopra la cenere pose i carboni e se ne andò ringraziando. ‘Toh! – disse il professore – con tutta la mia scienza questo non lo sapevo!’” (Albino Luciani – Giovanni Paolo I, Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, Padova, 2006, p. 270).
2) Per una lettura sempre proficua, soprattutto per gli aspetti più originali ed inespressi della spiritualità di Francesco, v. G. Polidoro, Francesco uomo cristiano, Firenze, 1981.
3) Vale la pena di rileggere i due volumetti di é. Leclerc, La sapienza di un povero, Milano, 1995, trad. it. F. Visconti di Modrone e F. Olgiati, e La tenerezza del padre, Milano, 1984, trad. it. S. Olgiati.
4) Il valore del silenzio e i suoi effetti virtuosi richiamano alla mente un’altra figura che ha profondamente inciso nella cultura europea: Benedetto da Norcia “il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo” (così lo descrive J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, 2005, Siena, p. 28); in questo modo “Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli” (ibidem). Cfr., anche, M.G. Masciarelli, Abitare il silenzio, Roma, 1998, passim.
5) Lo stato di innamoramento di San Francesco per la povertà è davvero efficacemente descritto da O.L. Scalfaro (in Le “chiacchierate” alla sala Francescana di S.Damiano, Assisi, 1985, p. 289): “Innamorato vuol dire un essere preso tutto, in tutte le sue forze, incantato, attratto da un altro essere; innamorato vuol dire un punto di cottura che porta l’anestesia totale…”. Sul rapporto tra povertà e carità, si rileggano anche le belle pagine, dense di esperienza, di P. Mazzolari, in Tra l’argine e il bosco, Brescia, 1962, spec. p. 189 e ss.
6) Scrive papa Benedetto XVI (Deus Caritas est, 2005, 28): “ L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo”.
7) Cfr. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 1963, IV: l.c., 285 e Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace, 2003, 5.
8) Il riflesso divino e naturale dei diritti umani oggi reclama un’apertura delle intelligenze, della ragione; eppure – così si conclude il Discorso all’Università di Ratisbona di papa Benedetto XVI – “[L]’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza […]. ‘Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio’, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università” (2006).
9) Si veda L. Leuzzi, Chiesa di Dio, non temere. Il cristianesimo dopo Ratisbona, Catanzaro, 2006, spec. p. 67 e 68.
10) Come Maria – ci ricorda Madre Teresa – “[c]osì pure noi: chiediamo a Dio di volerci usare, oggi, per continuare a essere in tutto il mondo – ma particolarmente nelle nostre comunità – fili di collegamento tra il cuore degli uomini e la sorgente dell’energia, Gesù” (Madre Teresa, Meditazioni per ogno giorno dell’anno liturgico, Milano, 1996, p. 14).
11) Cfr. F. Rodero – A. Izquierdo, Alla scuola di Maria, Città del Vaticano, 1998, p. 159 ss.
12) Questa l’esortazione di papa Giovanni Paolo II:”…vale la pena che membri del clero, sacerdoti e vescovi, entrino personalmente in contatto con il mondo della scienza e con i suoi protagonisti. In particolare, il vescovo dovrebbe non solo avere cura dei suoi atenei cattolici, ma anche mantenere uno stretto legamecon tutta la vita universitaria: leggere, incontrarsi, discutere, informarsi su quanto avviene in quell’ambito. Ovviamente egli non è chiamato a essere scienziato, ma pastore. Come pastore, però, non può disinteressarsi di questa componente del suo gregge, giacché a lui spetta il compito di ricordare agli studiosi il dovere di servire la verità e di promuovere, così, il bene comune” (in Alzatevi, andiamo!, Milano, 2004, p. 72-73).
13) Una missione particolare è affidata ai cattolici italiani: “Tocca a noi infatti – non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo – dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo” (Discorso di papa Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona, 2006).
14) L’itinerario degli scritti di Giovanni Battista Montini segnano un percorso esemplare nella cultura del ‘900 di un intelletto di carità, da cui questo scritto vorrebbe prendere le mosse (si veda, in particolare, Paolo VI, Carità intellettuale. Testi scelti 1921-1978, a cura di G. M. Vian, Milano, 2005).
15) Come sempre senza peli sulla lingua, J. Guitton: “Oggi grandi studiosi sono anche grandi credenti” (con F. Pini, in L’infinito in fondo al cuore. Dialoghi su Dio e sulla fede, Milano, 1998, p. 56 ss.).
16) Quell’economia legata al diritto, alla giustizia e non al primordiale istinto al profitto, come viene declinata nel pensiero di G. Capograssi (del quale vedi, in particolare, Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, Milano, 1959).
17) Si tratta di un impegno concreto nella storia partendo dal “discernimeto” dei segni del tempo, che consente di cogliere “l’impegno del cristiano nella società e nel mondo di oggi. Viene colta l’urgenza della missione. La missione è il compito da svolgere ora; Dio comunica la sua volontà per ciascuno degli uomini attraverso la storia stessa perché intervengano nella storia: una volta compresa e accolta e messa in pratica, si realizza nella storia. La responsabilità personale nella storia corrisponde alla chiamata che Dio fa a ciascuno” (P. Scarafoni, I frutti dell’albero buono. Santità e vita spirituale cristocentrica, Roma, 2004, p. 123).
18) Insuperata ed efficacissima l’espressione di Paolo VI: “L’umiltà, per sé, è sapienza” (da A. Izquierdo, L.C., in Esercizi spirituali con Paolo VI, Città del Vaticano, 1999, p. 44).
19) Ci ricorda André Frossard (in Dio. Le domande dell’uomo, Alessandria, 1990, p. 178) che “La religione non è mai stata il nemico della conoscenza. A quest’ultima chiede semplicemente di non rinchiudersi nei dati de
l sensibile”.
20) Sottolinea Giovanni Paolo II, in Parole sull’uomo, a cura di A. Montonati, Milano, 1989, p. 487: “La società chiede all’Università non soltanto specialisti, ferrati nei loro specifici campi del sapere, della cultura, della scienza e della tecnica, ma soprattutto costruttori di umanità, servitori della comunità dei fratelli, promotori della giustizia perché orientati alla verità. In una parola, oggi, come sempre, sono necessarie persone di cultura e di scienza, che sappiano porre i valori della coscienza al di sopra di ogni altro, e coltivare la supremazia dell’essere sull’apparire. La causa dell’uomo sarà servita se la scienza si allea alla coscienza” (i corsivi sono dell’a).
21) Cfr. Ciò che conta è lo stupore. Articoli e interviste su Charles Péguy con una prefazione del cardinale Roger Etchegaray, Milano, 2001, passim. Uno stupore che si fa ardore spirituale, che talvolta può mancare, ma che rimane sempre l’orizzonte verso cui muovere: fondamentali gli insegnamenti ascetici de L’imitazione di Cristo (a cura di U. Nicolini, Milano, 1988, spec. p. 121 ss.).
22) Il tema della natura necessariamente “spirituale” dell’intelletto è ben argomentata da R. Lucas Lucas, in L’uomo spirito incarnato. Compendio di filosofia dell’uomo, Milano, 1993, spec. p. 139 ss.
23) Verità nel senso più profondo, che non ammette nessuna esagerazione e neppure per “pii motivi”, come esemplarmente, testimonia in questo brano Santa Teresa del Bambino Gesù: “Mi fa bene, quando penso alla sacra Famiglia, immaginarmi una vita del tutto comune. Non quello che viene raccontato, o che viene ipotizzato. Per esempio, che Gesù Bambino, dopo aver fatto degli uccellini di terra, ci soffiasse sopra e desse lora la vita. No, Gesù Bambino non faceva miracoli inutili di questo genere…” (da Novissima verba, 20 agosto, in J. Guitton, Il genio di Teresa di Lisieux, Torino, 1995, p. 16-17). Ma si rilegga direttamente Sainte Thérèse de l’enfant-jésus et de la sainte-face, Histoire d’une âme. Manuscrits autobiographiques, Lonrai, 1997, passim.
24) Il richiamo alla verità si intreccia con il valore dell’obbedienza a Dio, cui talvolta osta l’orgoglio, “il faccio da me” – come ricorda Giuseppe Lazzati – “cioè il senso che la obbedienza a Dio, sia il togliere qualche cosa alla mia personalità, mentre la mia personalità tanto più è se stessa quanto più esegue la volontà di Dio, perché chi mi ha pensato e mi pensa è Lui, cioè è come l’artista che scolpisce e se si trova sotto la pietra che si lascia scolpire ne viene fuori il Michelangelo, ma se la pietra dice no, non vien fuori nulla” (G. Lazzati, La contemplazione, in Dieci ore di religione, a cura di Marco Garzonio, Milano, 1986, p. 166).
25) E questo mi pare anche il senso di una bella pagina di Giovanni Paolo II, dove, ricordando il periodo dello studio intenso per conseguire l’abilitazione alla libera docenza, rimprovera a se stesso la contestuale riduzione del lavoro pastorale: “Mi costò, ma da allora mi preoccupai sempre che la dedizione allo studio scientifico della teologia e della filosofia non mi inducesse a «dimenticarmi» di essere sacerdote; piuttosto doveva aiutarmi a diventarlo sempre di più” (Giovanni Paolo II, Dono e Mistero, Città del Vaticano, 1996, p. 73).