In Medio Oriente musulmani e cristiani condividono lo stesso futuro

Intervista con il Consigliere politico del Gran Mufti del Libano

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di Tony Assaf

ROMA, venerdì, 26 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Il futuro è vivere insieme: cristiani e musulmani in Medio Oriente in dialogo”. E’ stato questo il tema del convegno organizzato a Roma da Sant’Egidio il 22 febbraio scorso.

A margine dell’incontro ZENIT ha intervistato Mohammad Al-Sammak, Segretario generale del Comitato cristiano-musulmano per il dialogo e Consigliere politico del Gran Mufti del Libano.

Al-Sammak è stato il primo musulmano ad aver partecipato – e in qualità di membro attivo – a un Sinodo. Correva allora l’anno 1995 e Giovanni Paolo II aveva deciso di convocare un’assemblea speciale dei Vescovi sul Libano.

Al-Sammak è anche uno dei 138 leader musulmani che hanno firmato la lettera “Una parola comune tra voi e noi”, indirizzata a Benedetto XVI e ai diversi capi delle Chiese e confessioni cristiane.

Inoltre, ha lavorato per tre anni a un progetto insieme al governo libanese per arrivare a dichiarare la festa dell’Annunciazione, che cade il 25 marzo, festa nazionale per i cristiani e i musulmani. Il progetto ha avuto, recentemente, un riscontro positivo e un sostegno da parte del governo libanese che ha emesso un decreto la settimana scorsa dichiarando questa festa giornata nazionale.

Cosa pensa della crisi delle relazioni islamo-cristiane nel Medio Oriente e del fatto che dopo quattordici secoli di convivenza partecipiamo ancora a conferenze sul dialogo?

Al-Sammak: Fondamentalmente i musulmani e i cristiani in Medio Oriente sono condannati a scegliere di vivere insieme. Non esiste una terza via o si sceglie di vivere insieme o ci si impone di vivere insieme. Diciamo che la convivenza tra cristiani e musulmani non è un qualcosa di premeditato ma è una scelta. E poiché abbiamo costruito una vita in comune sulla base di una scelta, dobbiamo prendere coscienza del fatto che ci sono delle differenze tra di noi e creare una culura fondata sul rispetto di queste differenze e sull’accettazione e la convivenza con esse. Nessuno di noi può abolirle né imporre il proprio stile di vita sugli altri. La diversità e la pluralità nelle nostre società arabe, cristiane e musulmane, sono una componente vitale e fondamentale e anche una componente storica. Allo stesso tempo, sono però anche una formula per il futuro se vi è un futuro per questa regione.

Quale potrebbe essere il futuro del Medio Oriente se scomparissero i cristiani?

Al-Sammak: Non c’è futuro per la regione araba se musulmani e cristiani non coesistono insieme. Quello che sta accadendo ora in quella regione, per quanto riguarda la diminuzione del numero e del ruolo dei cristiani, è un disastro non solo per i cristiani ma anche per i musulmani e porta alla disintegrazione di quella società e alla mancanza della ricchezza della diversità e delle competenze di carattere scientifico, economico, intellettuale e culturale dei cristiani che emigrano. L’emigrazione non è una perdita solamente per i cristiani quanto piuttosto una perdita per i musulmani e allo stesso tempo una sconfitta della convivenza islamo-cristiana.

Fino a che punto i musulmani si rendono realmente conto del rischio di una possibile scomparsa dei cristiani dal Medio Oriente?

Al-Sammak: Devo ammettere che la preoccupazione cristiana per il futuro è ora come ora più grande della coscienza che l’Islam ha di questo pericolo. Deve essere per noi un imperativo quello di allargare il cerchio delle conoscenze islamiche circa l’emigrazione dei cristiani e la gravità dell’esodo dei cristiani per l’Islam in quella regione e nel resto del mondo. Perché l’esodo dei cristiani reca un messaggio indiretto al mondo: e cioè che l’Islam non accetta l’altro e non può vivere con gli altri. A questo punto, l’altro mondo o il mondo occidentale in generale, seguendo questa logica, avrebbe pure il diritto di dire: se i musulmani non accettano la presenza cristiana tra di loro, praticamente una presenza autentica e storica, perché dobbiamo accettarli noi nelle nostre società? Questo si riflette negativamente sulla presenza islamica nel mondo e quindi è nell’interesse dei musulmani, per l’immagine dell’Islam nel mondo e per l’interesse dei musulmani sparsi nel mondo, mantenere la presenza dei cristiani nel mondo arabo e proteggerla fino in fondo non per solo per amore dei cristiani ma perché questo è un loro diritto come cittadini e abitanti della regione, ben prima dei musulmani.

Parlando dei musulmani nel mondo, specialmente nel mondo occidentale, spesso si sente parlare di islamofobia. Secondo lei quali sono le cause e le soluzioni di questo fenomeno?

Al-Sammak: Alcuni di questi motivi sono dovuti a circostanze storiche ereditate dalla cultura occidentale, che ha una visione negativa dei musulmani che affonda le sue radici nella letteratura e si riflette giorno dopo giorno nei media in un modo o nell’altro. Ma ciò che alimenta questo fenomeno è il comportamento di alcuni estremisti islamici nelle società occidentali e quando parlo di cattivo comportamento non parlo necessariamente di terrorismo, che è di per sé pericoloso, negativo e catastrofico ma parlo anche della confusione tra religione e tradizione. La tradizione non è la religione e alcune di queste persone di cui parlo, purtroppo, provengono da società musulmane e da costumi e tradizioni locali e ritengono che esse siano parte della religione anche se non lo sono e magari sono contrari alla religione stessa.

Costoro agiscono nelle società occidentali aggrappandosi a quelle tradizioni perché tramite queste tradizioni pensano di esprimere le loro personalità indipendenti. E quindi vengono nelle società occidentali che non li accettano, capiscono di essere diversi nella cultura, nella lingua, nella religione, nel cibo, nell’halal e nell’haram etc. e cominciano a sentirsi come emarginati dalla vita sociale e per sviluppare la propria personalità si aggrappano alle tradizioni che hanno praticato nei loro paesi e le santificano, cioè le elevano al livello di santità della religione, così da dare l’impressione agli occidentali che se questo è l’Islam non si può convivere con esso. Ma questo non è l’Islam, queste sono tradizioni locali provenienti da paesi africani, dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’India, etc. la confusione tra ciò che è veramente religioso e ciò che è invece una tradizione sociale alla quale viene data un’identità religiosa porta ad alimentare questa islamofobia, intesa come odio per l’Islam fondato sull’ignoranza perché l’ignoranza sull’Islam deriva da due aspetti: la prima è una errata interpretazione dell’Islam da parte di alcuni musulamni e la seconda è la scarsa comprensione dell’Islam da parte di alcuni non musulmani. La base di questo comportamento sociale praticato da parte di alcuni musulmani che provengono da società sottosviluppate o bisognose o incolte sta nel fatto che queste persone non soltanto ignorano le tradizioni sociali occidentali nelle società in cui vanno a vivere ma ignorano anche e soprattutto gran parte delle costanti della loro fede e le proiettano in modo negativo tale da condurre a questa situazione di islamofobia.

Vi è una crescita delle correnti islamiche estremistiche. Qual è l’impatto di questa crescita sui cristiani nel Medio Oriente?

Al-Sammak: Credo che questi movimenti abbiano ormai superato la fase di crescita e che forse oggi stiamo assistendo all’inizio della loro fase di decadimento. Questa crescita poco tempo fa ha raggiunto il suo apice ma il conto alla rovescia è cominciato. Questi movimenti non hanno un impatto solamente sui cristiani del Medio Oriente ma colpiscono soprattutto e in modo diretto i musulmani. L’estremismo è un tentativo di monopolizzare la verità e un tentativo di monopolizzare Dio e di monopolizzare il sacro; ed è anche un tentativo di interpretare la religione a seconda degli interessi e delle concezioni di certi movimenti e quindi il modo di rapportarsi ai m
usulmani risente di queste interpretazioni che sono pericolose per l’Islam, per i musulmani e anche per i cristiani. Pertanto serve un processo di correzione di questi concetti tramite progetti culturali ed educativi e posso dire che i Paesi arabi ormai sono consapevoli di questo aspetto dopo aver pagato a caro prezzo la diffusione dell’estremismo che ha inziato a ritirarsi grazie ai passi coraggiosi compiuti da diversi Paesi come l’Arabia Saudita, la Giordania, l’Egitto, l’Algeria e altri. Tutti questi Paesi hanno dato vita a una nuova e coraggiosa riflessione per rilanciare la pratica della vera fede in modo corretto e positivo.

Cosa si aspettano i musulmani del Medio Oriente dal prossimo Sinodo dei Vescovi. Lei vi parteciperà?

Al-Sammak: Abbiamo partecipato al Sinodo precedente e siamo grati a Sua Santità Govanni Paolo II non solo per aver invitato dei musulmani a un Sinodo ma anche per aver insistito sul fatto di farci partecipare come membri attivi e non in qualità di osservatori. Io, personalmente, ero membro delle commissioni di lavoro e questo è un fatto senza precedenti nela storia del Sinodo in generale e nella storia della partecipazione dei musulmani a incontri cristiani. In realtà, il prossimo Sinodo è molto importante perché discuterà il tema dei cristiani dell’Oriente e questo non è un argomeno che riguarda solo i cristiani ma è un argomento di interesse anche per i musulmani perché hanno la stessa sorte in Oriente. Quello che colpisce i cristiani nel Medio Oriente colpisce anche i musulmani. Pertanto siamo veramente interessati a ciò che accadrà e a ciò che sarà deciso nel prossimo Sinodo. Finora non abbiamo ricevuto alcun invito a partecipare ma mi auguro che ciò avverrà e mi auguro anche che la partecipazione islamica ricalcerà quanto avvenuto già al Sinodo sul Libano. Anche perché partecipando noi musulmani ci assumeremo la responsabilità dell’attuazione di ciò che verrà deciso al Sinodo, in vista di una responsabilità cristiano-musulmana comune. Lo abbiamo detto più volte perché siamo responsabili dell’attuazione di quanto stabilito dalla Dichiarazione post-sinodale, almeno per quanto riguarda il Libano. Uscirà una Dichiarazione simile anche da questo Sinodo e quindi i musulmani potrebbero avere una responsabilità nell’attuarla.

A suo avviso, c’è una continuità tra il cammino intrapreso da Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI?

Al-Sammak: Penso che nel ripristinare il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, un tempo annesso al Pontificio Consiglio per la cultura, Papa Benedetto XVI abbia voluto tornare a dialogare con le altre religioni, compresi i musulmani. In effetti, abbiamo tutti visto in che modo il Papa ha accolto l’iniziativa islamica “Una parola comune tra voi e noi”, che riguarda l’amore nell’Islam e nel Cristianesimo e di cui ho avuto l’onore di essere uno dei primi firmatari. La visita del Papa in Palestina e in Giordania e i suoi colloqui con i leader musulmani hanno spalcanto prospettive nuove e ampie per riattivare il dialogo lanciato da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. Abbiamo seguito questo lavoro e lo consideriamo tra le più importanti missioni che il Vaticano sta portando avanti nei confronti del mondo islamico. Non possiamo però non prendere atto di ciò che sta accadendo in alcuni Paesi musulmani come la Nigeria, l’Indonesia e anche la Malesia. Ci sono degli aspetti patologici nelle relazioni islamo-cristiane che possono essere affrontati solo attraverso una cultura del dialogo e una cultura del rispetto per le differenze. Da qui il ruolo che il Vaticano può svolgere nel processo di apertura verso il mondo islamico per incoraggiare e promuovere questa cultura e radicarla nelle società islamiche.

Il governo libanese ha decretato la festa dell’Annunciazione come festa comune cristiano-musulmana. In che misura tali iniziative, specialmente quando vengono promosse dallo Stato, possono promuovere la convivenza?

Al-Sammak: Questo è uno dei risultati di cui andiamo orgogliosi e su cui abbiamo lavorato negli ultimi tre anni. Da tre anni organizziamo, infatti, ogni 25 marzo un incontro islamo-cristiano su Maria, in occasione del quale recitiamo versetti del Vangelo e versetti del Corano che riguardano Maria cercando di evidenziare ciò che accomuna l’Islam al Cristianesimo. L’anno scorso dal podio dell’ex Primo Ministro Fouad Siniora, ho personalmente dichiarato il suo consenso e la sua approvazione per la dichiarazione del 25 marzo come festa in comune dei musulmani e dei cristiani. L’idea allora era che in questa giornata tutti dovessero continuare a lavorare perché l’ex Primo Ministro affermava: “Voglio che i libanesi lavorino un giorno di più non un giorno di meno. Sono d’accordo per la festa ma senza interrompere il lavoro”. Abbiamo accettato la decisione perché i miei fratelli ed io del Comitato cristiano-musulmano per il dialogo, di cui sono Segretario genereale, volevamo comunque dedicare questo giorno ai musulmani e ai cristiani. La settimana scorsa ci siamo incontrati con il Primo Ministro Saad Hariri e gli abbiamo riproposto nuovamente questa idea e lui l’ha appoggiata immeditamente e dopo quarantotto ore è stato emesso un decreto che dichiara il 25 marzo giornata nazionale e giorno festivo: un giorno di lavoro islamo-cristiano comune.

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ZENIT Staff

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