Problemi per l’applicazione del Trattato di Lisbona

Intervista a Giorgio Salina, Presidente dell’Associazione per la Fondazione Europa

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 23 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Nonostante l’Unione europea abbia approvato il Trattato di Lisbona, permangono ancora molti dubbi sulla sua effettiva applicazione.

Le critiche non riguardano solo alcuni punti specifici e si allargano quando le indicazioni del Trattato vanno in contrasto con le legislazioni nazionali.

A questo proposito è stata pubblicata una recente sentenza della Suprema Corte tedesca, che cerca di rispondere alla domanda “se il Trattato è conforme alla Costituzione tedesca”.

Per comprendere qual è la situazione e se le critiche sono sensate o meno, ZENIT ha intervistato Giorgio Salina, Presidente dell’Associazione per la Fondazione Europa e Presidente di Paneuropa Italia.

Da poco tempo nell’Unione europea (UE) è in vigore il Trattato di Lisbona. Come si è giunti a questo accordo?

Salina: Il primo dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, noto anche come Trattato di riforma, redatto per sostituire la Costituzione europea bocciata dal ‘no’ dei referendum francese e olandese del 2005.

L’intesa è arrivata dopo due anni, definiti “periodo di riflessione”, ed è stata preceduta dalla Dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007, in occasione dei 50 anni dell’Europa unita, nella quale si esprimeva la volontà di sciogliere il nodo entro pochi mesi, al fine di consentire l’entrata in vigore di un nuovo trattato nel 2009, anno delle elezioni del nuovo Parlamento europeo.

Il testo adottato, che riguarda il funzionamento delle Istituzioni, è caratterizzato da due impostazioni programmatiche: la prima, un’impostazione che potremmo definire “liberista”, non tutela il disagio, quindi comporta un deficit di socialità e solidarietà; la seconda, la soppressione dei simboli (bandiera, inno, ricorrenza etc.), cioè di tutto ciò che può evocare il “super Stato“. Decisione successivamente non sempre rispettata, soprattutto per la bandiera, ma anche per l’inno.

Lo scopo principale di questo documento è rivedere i principi e le metodologie di funzionamento dell’Unione; ad esempio i criteri e i metodi per assumere le decisioni, riducendo quasi totalmente la necessità dell’unanimità, ed allargando la gamma di argomenti per cui è sufficiente la “maggioranza qualificata”. Insomma aggiorna le regole per il funzionamento a 27 membri, destinati ad aumentare ancora in futuro, regole che avevano altre valenze quando l’Europa era a 6, od anche a 14 Paesi aderenti.

Le trattative che hanno portato alla stesura definitiva sono state molto laboriose e complesse: come noto in questo Trattato si modificano numerosi articoli del Trattato di Maastricht e di quello di Nizza, con numerose eccezioni, puntualizzazioni e criteri interpretativi, in un negoziato a 27, spesso convulso perché effettuato durante i summit.

Forse non tutti sanno che dopo la firma, un gruppo di giuristi e costituzionalisti ha impiegato ben 4 mesi per stendere una “versione consolidata”. Parte di queste complicanze sono gli accordi particolari con alcuni Stati membri (Gran Bretagna, Polonia, Irlanda e Repubblica ceca) che, a diverso titolo, hanno ottenuto deroghe, passate sotto il termine “drop out”. Tutte le deroghe riguardano essenzialmente la Carta del diritti fondamentali, che il Trattato ingloba, rendendola vincolante.

Il drop out dei primi tre Stati sopra citati comporta che quanto previsto dalla Carta e la relativa giurisprudenza si applicheranno solo se non in contrasto con la Legislazione vigente nei rispettivi Paesi.

Come mai queste posizioni critiche nei Confronti della Carta europea dei diritti fondamentali?

Salina: La Carta dei diritti fondamentali è un documento ambiguo, che contiene tutto e il contrario di tutto, lasciando margini assurdi alla discrezionalità interpretativa. Un esempio per tutti: l’articolo n. 9 – Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia – recita «il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».

Credo non sfugga a nessuno tutto quello che si può far derivare da questa formulazione dei due diritti indipendenti e separati!

A questo va aggiunto il tentativo del Parlamento, ma anche della Commissione esecutiva, di legiferare surrettiziamente attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in base al principio di uniformità di trattamento in ogni Paese nel quale un cittadino europeo decida di trasferirsi; ciò per aggirare le competenze riconosciute agli Stati membri dai Trattai in vigore, in diverse materie: diritto di famiglia, educazione, ecc.

Su questi temi si è avuta anche una sentenza della Corte Costituzionale tedesca?

Salina: Sul Documento in esame, e sulle prassi connesse che si vanno instaurando si inserisce la sentenza della Suprema Corte tedesca, alla quale era stato posto il quesito: il Trattato è conforme alla Costituzione tedesca? Alcuni commentatori ritengono che il parere sia stato redatto da professori momentaneamente giudici, e pertanto sia un parere positivamente “esorbitante”; sta di fatto che la sentenza, confermando la conformità del Trattato alla Legge fondamentale, non si ferma qui, ma introduce una serie di elementi di cautela che abbracciano dal Trattato di Maastricht sino alle competenze della Corte di Giustizia europea.

I documenti citati, rileva la Suprema Corte tedesca, non descrivono uno Stato federale, e pertanto un simile passaggio, che può essere adombrato nel Testo, dovrebbe essere oggetto di referendum: trattandosi di trasferimento di sovranità occorre si pronunci chi la detiene, cioè il popolo, ed afferma inoltre che altri Parlamenti nazionali, sentite le rispettive Corti Costituzionali, potrebbero pronunciarsi in modo analogo. Quindi appartengono all’UE solo le competenze attribuite dal Trattato in vigore; altre materie non chiaramente descritte di competenza dell’UE, non dovranno essere considerate perché troppo interconnesse con l’identità nazionale: famiglia, lingua, previdenza, assistenza sociale, storia e tradizioni, discriminazioni circa fede e religioni, uso della forza, tutto questo deve rimanere di competenza nazionale.

La sentenza della Corte Costituzionale tedesca è senza dubbio di notevole importanza; le cautele introdotte possono essere così riepilogate:

– talune prescrizioni che presuppongono l’esistenza di uno Stato federale sono inattuabili senza un’ulteriore ratifica referendaria.

– le decisioni riguardanti la Carta dei diritti fondamentali e relative giurisprudenze, sono applicabili in Germania solo se non in contrasto con la Legge fondamentale e la legislazione vigente. Rientrano in tale prescrizione non solo la giurisprudenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo, ma anche la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, per ogni e qualsiasi “sentenza dichiarativa”.

Quali sono le conseguenze pratiche più immediatamente prevedibili?

Salina: Oltre ad eventuali sentenze, ripeto, surrettiziamente riguardanti il diritto di famiglia, l’istruzione, la discriminazione o meno nei confronti delle religioni, nel caso che la Corte di Giustizia del Lussemburgo riprendesse ad esempio pronunciamenti della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (facente capo non all’UE, bensì al Consiglio d’Europa: 47 Stai dall’Atlantico agli Urali), sulla presenza del crocifisso nei locali pubblici, come sta avvenendo, oltre a vanificare il ricorso presentato, noi italiani siamo vincolati ad attuare la sentenza, i Paesi che hanno pattuito il drop out e la Germania, invece no.

Il Cancelliere tedesco, la signora Angela Merkel, europeista convinta, che durante il semestre della Presidenza tedesca ha dato un contributo decisivo all’accordo sul Trattato di Lisbona, impegnandosi perché tutti lo ratificassero, lo ha firmato solo dopo il pronunciamento della Corte costituzionale, ovviamente recepita nella formula di adesione.

E noi cosa aspettiamo a st
udiare e attuare le misure necessarie per non dover essere costretti, come lo siamo ora, ad applicare sentenze scriteriate che usurpano arbitrariamente la nostra “sovranità”, al di là di quanto prevedono i Trattati? Queste conseguenze erano note sin dall’inizio, ma purtroppo i nostri Governi ed i nostri parlamentari le hanno ignorate: ed ora?

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ZENIT Staff

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