di Chiara Mantovani*
ROMA, mercoledì, 17 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La Nota Dottrinale che il Cardinale Arcivescovo di Bologna ha stilato e diffuso, con la data della memoria dei santi Cirillo e Metodio copatroni dell’Europa, certamente non mancherà di suscitare commenti.
Prima che si apra la quasi inevitabile ridda di sdegnate proteste, facilmente prevedibile dal momento che affronta un tema che è difficile mantenere libero dalla moderna e pervasiva ideologia pro omosessualità, provo a sottolineare alcune considerazioni forse utili a chi desideri sinceramente capire. Capire, innanzitutto, perché un Cardinale – solitamente tanto discreto quanto profondo nelle sue disamine – decida di scrivere un atto magisteriale così esplicito e sonoro.
Intanto è significativo che lo abbia fatto, segno che il tema non è uno tra i tanti che possono sollecitare la cura pastorale di un vescovo; evidentemente ha una valenza maggiore di quella di altri pur gravi e attuali problemi. Sarebbe – a dire il meno – ingenuo se si obiettasse all’Arcivescovo di Bologna che la povertà, la crisi economica o gli scandali veri e presunti interni alla Chiesa esigono attenzione.
Non è mai mancata l’attenzione alle radici profonde dei guai contemporanei, nel magistero ordinario del Cardinale; il quale, meglio ricordarlo, è un autentico maestro di etica e in modo particolare di quella del matrimonio e della famiglia, è l’uomo cui Giovanni Paolo II affidò l’incarico, nel 1981 né scontato né tantomeno facile, di fondare un Istituto appositamente dedicato allo studio della antropologia e della teologia nel legame coniugale.
Forse allora che l’ex professor Caffarra, intendendosene “solo” di matrimonio e famiglia, abbia il pallino di quest’argomento e non si occupi d’altro? Che abbia una sensibilità selezionata, quasi monotematica? Basta avere un poco di dimestichezza con la sua vasta produzione dottrinale per escluderlo con certezza: se qualcuno non sapesse nulla di lui, tenga per certo che il pensiero bioetico personalista ontologicamente fondato gli deve molto, sia in profondità che in ampiezza.
E i suoi fedeli (intesi come geograficamente diocesani, spesso neppure troppo “fedeli”) sono testimoni della varietà dei temi da lui affrontati.
Allora perché scrivere prima una lettera aperta e ora una nota dottrinale per ribadire principii che attendono di essere incarnati e tradotti nel vivere sociale, che hanno la pretesa alta di essere validi per tutti, condivisi nella ragionevolezza, tenuti in debita considerazione persino da quella arte del compromesso e dell’intesa che è la partitica?
Perché, come ha imparato chi gli è debitore in termini di pensiero, la concezione del matrimonio (e della sessualità umana) dice più di ogni altra la vera opinione che si ha della persona umana. E se degli uomini e delle donne si pensa che la loro natura biologica non dica nulla del loro essere, la società umana soffre nel suo stesso costruirsi. Non è un giudizio morale che sta a cuore al Cardinale, lo dichiara espressamente: “Non lo dico cioè osservando i comportamenti”, quello che gli preme è “il giudizio circa il bene del matrimonio”.
Non lo turba l’esistenza di persone che tengano personalmente comportamenti disordinati: è prima di tutto un uomo e subito dopo un sacerdote cattolico, da cui consegue che sa che cosa è il peccato e conosce i peccatori.
Di più: odia il peccato e ama i peccatori, non si stupisce della presenza del “disordine”, sa e insegna che esso è incancellabile dalla storia umana perché frutto di quel peccato originale che è sì redento da Cristo, ma non eliminato sulla terra nelle sue conseguenze.
“Natura lapsa”, natura ferita quella umana, si diceva una volta, una sorta di impoverimento nella costituzione degli uomini che sarà definitivamente sanata solo alla fine dei tempi: siamo tutti noi i poveri che avremo sempre tra noi.
Come il viaggiatore che da Gerusalemme scendeva a Gerico, dalla sommità scendeva alla depressione, è la natura umana ad esser stata attaccata da briganti e ha avuto la grazia di essere soccorsa dal Buon Samaritano, Gesù; ma risediamo ancora nell’albergo, la Chiesa, nell’attesa di terra nuova e nuovi cieli. Intanto dovremmo essere più che pensosi di come costruiamo le nostre società, se più, meno o per nulla rispettose della verità delle nostre persone.
Ciò che pare davvero pericoloso al Cardinal Caffarra, da cui vale la pena mettere in guardia i “fedeli perché non siano turbati dai rumori mass-mediatici”, è la perdita di comprensione della centralità del ruolo sociale del matrimonio e della famiglia.
È pura dottrina sociale della Chiesa quella che costituisce il tessuto della Nota Dottrinale, ovvero la carità nella verità nelle questioni sociali «caritas in veritate in re sociali». Per dirla con le parole stesse di Benedetto XVI nella Caritas in veritate al numero 5, “annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. […] Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società.”
Non è per nulla indifferente che si reputi il matrimonio una convenzione stipulabile come ogni altro contratto, tra persone dello stesso o diverso sesso: come a dire che non avrebbe rilevanza la verità delle persone, la loro sessualità e la loro relazione interpersonale.
Qualunque Stato ha il preciso dovere non di stabilire, ma solo di rispettare la realtà e di formulare leggi (che sono la grammatica della vita sociale) che proteggano il bene proprio del vivere in comune, il cui primo principio è la tutela dei più piccoli e deboli.
Fino a qualche tempo fa, era così palese che il matrimonio costituisse un bene da tutelare perché prezioso per tutti, che il diritto lo difendeva in virtù della sua utilità sociale, non certo sulla base di un giudizio etico che, in quanto tale, ci ricorda l’Arcivescovo di Bologna, non spetta allo Stato, il quale non è la fonte della moralità e che combina guai grossi quando pretende di esserlo.
Nemmeno il fatto che la famiglia oggi appaia come un soggetto in crisi, segnata da difficoltà e da ferite sempre più sanguinose, è argomento per declassarla ad istituzione tanto inutile da poter essere liquefatta, sciolta dalla realtà della sua natura: come se una epidemia dovesse cambiare la natura umana, facendo ritenere indifferente per gli ospedali che un uomo fosse sano o ammalato.
Infine il Cardinal Caffarra si rivolge direttamente a coloro che, avendo scelto di avere responsabilità pubbliche, si dichiarano cattolici: e qui il servizio alla verità si fa apparentemente icastico. Ma che cosa aggiungere per chi volesse avvalersi, a qualsiasi scopo, del nome di cattolico se non ricordare una prospettiva che già dovrebbe appartenergli per quella sua stessa pubblica ammissione?
Ancora nella conclusione il Pastore rinnova la sollecitudine educativa e parla ai giovani, esortandoli a lasciare che lo splendore dell’amore coniugale – sebbene oggi un po’ offuscato – interpelli in profondità ciò che un cuore ragionevole riconosce come essenziale: che l’amore e la verità sono intimi e inseparabili interlocutori delle coscienze ed è bello e appagante ascoltarli.
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*Chiara Mantovani è Vicepresidente nazionale per il Nord Italia dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI).