I viandanti della carità alla ricerca di verità e bellezza

Intervista a don Fabio Di Martino, responsabile della “Comunità Tabor”

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 16 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La “Comunità Tabor – i viandanti della carità” compie tre anni. Nel loro sito web si presentano come una comunità composta da giovani di ogni età, che hanno deciso di intraprendere un cammino che li aiuti a vivere una fede più matura, nell’amore e nella conoscenza più profonda di Gesù.

Si tratta di una esperienza cristiana, di pellegrini che cercano e provano a testimoniare il Dio dell’amore lasciando orme che sono opere di carità e focolai di preghiera.

Per approfondire la loro conoscenza ZENIT ha intervistato don Fabio Di Martino, un sacerdote che svolge il suo ministero in una delle parrocchie più disagiate di Castellammare di Stabia (NA).

Come e perchè è nata la “Comunità Tabor”?

Don Fabio: La Comunità Tabor nasce a Castellammare di Stabia il 16 febbraio 2007, per il desiderio di alcuni giovani di riunirsi per pregare insieme e intraprendere un cammino di fede, che li aiutasse a formarsi alla vita umana e spirituale. L’obiettivo principale che si propone tale cammino è essenzialmente ricondurre i giovani a Cristo e far comprendere loro che seguire il Signore non è un obbligo triste o un dovere morale, che la fede per noi cristiani deve essere vissuta nella gioia, nonostante tutti siamo chiamati a portare la croce come Cristo, e che il nostro è un Dio vivo, che ha vinto la morte per noi e che ci ama di un amore folle e smisurato.

Quest’anno festeggiate i tre anni della comunità. Quali sono i problemi più grandi che avete incontrato e quali i risultati di cui andate fieri?

Don Fabio: Oltre ad impedimenti di tipo pratico legati alla mancanza di una sede stabile, la difficoltà più grande è stata far capire soprattutto ad un certo target di giovani (dai 18 ai 35), i quali tante volte vivono nella cultura dell’effimero, del “tutto e subito” e della superficialità, che la fede va vissuta nella quotidianità e che non consiste in una serie di regole da seguire oppure da trasgredire.

A dispetto delle difficoltà, posso affermare, dopo tre anni di cammino, che numerosi sono stati i risultati raggiunti: l’avvicinarsi alla nostra comunità di tanti giovani (e non) con un bagaglio esperienziale eterogeneo, i quali hanno riscoperto la fede attraverso il nostro cammino e si sono accostati ai sacramenti; l’importanza del nostro sito (www.iviandantidellamore.net), che ci ha permesso di evangelizzare oltre i nostri limiti geografici e territoriali, raggiungendo tanti altri viandanti sparsi in numerose e lontane zone dell’Italia, dal Lazio alla Sardegna, dal Piemonte alla Calabria.

Del resto anche il papa Benedetto XVI, in occasione della XLIV Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali dal titolo “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”, ha scritto, che: “Ai Presbiteri, è richiesta la capacità di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante “voci” scaturite dal mondo digitale, ed annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi”.

Il risultato più grande, tuttavia, di cui andiamo più fieri è senza dubbio l’esperienza residenziale, che abbiamo iniziato a vivere nel novembre 2009, che si è ripetuta nel gennaio 2010 e che continuerà a ripetersi lungo il corso dell’anno. Una settimana di convivenza fraterna, che ha permesso ad un gruppo di viandanti di vivere insieme per sette giorni, senza abbandonare i propri impegni di lavoro e/o studio, senza tralasciare le proprie attività quotidiane, ma continuando la loro vita abituale, vivendo però a stretto contatto con gli altri fratelli, sotto lo stesso tetto.

Il motivo che ci ha spinto a sperimentare questa esperienza a dir poco unica e meravigliosa è il desiderio, un giorno, se il Signore ce lo concederà, di avere una casa tutta nostra, dove poter vivere insieme, così come facevano le prime comunità cristiane, condividendo tutto, dalla preghiera agli impegni lavorativi, dal tempo libero al riposo. L’ordinario è vissuto in modo straordinario, perché vissuto in uno stile di condivisione con altre persone.

Ciò che rende speciale questa esperienza e ancor più eccezionale il nostro progetto futuro è il fatto che noi non siamo una comunità di consacrati, infatti il nostro cammino, seppur guidato da me che sono un sacerdote, è percorso da laici, giovani e non, che però hanno nel cuore il desiderio di poter vivere in amicizia e fraternità e mettere in pratica concretamente, nel quotidiano, gli insegnamenti di Gesù. L’esperienza residenziale, infatti, è limitata ad una sola settimana per adesso, ma ci auguriamo vivamente che possa prolungarsi nel tempo, fino a diventare stabile e duratura.

Pensa di riuscire a esportare il carisma e le attività della sua comunità? E in che modo?

Don Fabio: La comunità Tabor nasce come una comunità laica non legata specificamente ad alcun cammino parrocchiale, ovvero essa è un’aggregazione di persone solo indirettamente collegate alla parrocchia dove io esercito il mio ministero sacerdotale (infatti la sede dei nostri incontri è solo attualmente la mia parrocchia). Questo fa sì che nella nostra comunità si affaccino realtà umane eterogenee per età, condizioni sociali e soprattutto per esperienze pregresse di fede.

Ci rendiamo conto che siamo una comunità giovane con ancora tanta strada da percorrere, non sappiamo ancora quali progetti abbia in serbo il Signore per noi, ma ci auguriamo che con l’aiuto di Dio potremo presto realizzare il nostro sogno di far conoscere di più il nostro carisma e la nostra spiritualità. In che modo? Promuovendo catechesi, momenti di condivisione, evangelizzazione in luoghi come parrocchie, oratori e punti di incontro giovanili. Stiamo lavorando anche alla realizzazione di un dossier, che metteremo a disposizione di chiunque voglia avere delucidazioni sul nostro cammino e ci aiuti a realizzare il nostro progetto.

Viviamo un mondo in cui la secolarizzazione è estesa e invadente. Dove le politiche di aborto e divorzio stanno lacerando il tessuto sociale a una velocità impressionate. Ogni giorno in Italia ci sono oltre 330 aborti e 200 separazioni. In che modo i viandanti della carità riescono ad aiutare queste persone che perdono la fede e a riportarle sulla retta via, offrendo loro speranza e bellezza?

Don Fabio: La secolarizzazione oggi colpisce in particolar modo la famiglia, cellula base della nostra società. La nostra comunità è frequentata non soltanto da giovani, ma anche da adulti e numerose famiglie, che alimentano e rendono fecondo il confronto ed il dialogo generazionale.

Il nostro cammino è teso a dare nuova speranza e vigore proprio alla famiglia, ovvero il luogo dove si dovrebbe fare esperienza quotidiana di carità, tenerezza, solidarietà, luogo in cui si dovrebbe vivere la propria fede e da cui dovrebbe partire l’insegnamento cristiano per i nostri figli, uomini e donne del nostro futuro.

La Comunità Tabor alimenta la speranza, invitando le persone a scoprire una strada nuova ed alternativa, che esalti il valore sacro della vita contro le effimere proposte che ci vengono offerte dal mondo e propone la riscoperta della bellezza del nostro modo di amare, dei nostri affetti e legami, che seppur terreni, portano il segno dell’eternità perché dono irrinunciabile e prezioso di Dio.

Per qualsiasi informazione sulla nostra Comunità, sulla spiritualità e sulle attività in corso e/o in programma vi rimandiamo al nostro sito < a href="http://www.iviandantidellamore.net/">www.iviandantidellamore.net

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ZENIT Staff

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