Beato chi accoglie la Vita

VI domenica del Tempo Ordinario, 14 febbraio 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).-“Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

‘Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete, perché riderete.

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo, infatti, agivano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti’” (Lc 6,17-26).

Così dice il Signore: ‘Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. E’ come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si da pena, non smette di produrre frutti’” (Ger 17,5-8).

Fratelli…se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. (…) Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,12.20).

Le Beatitudini sono stati di appagamento profondo dell’essere, non conformi e addirittura sconcertanti dal punto di vista delle esigenze naturali, poichè non solo non corrispondono ai comuni criteri della pubblicità, ma li contraddicono e li capovolgono paradossalmente.

Diciamo che il “prodotto” reclamizzato dalle Beatitudini non promette nulla di buono a prima vista, come un cibo scaduto o addirittura avariato e nauseabondo.

Per di più, il nome del prodotto (“beatitudini”) sembra rimandare a qualcosa di ultraterreno, inafferrabile come il paradiso o irrealizzabile come un viaggio nello spazio.

Le Beatitudini rischiano così di fare bella figura solo come genere letterario religioso, il genere delle utopie, delle illusioni in cui si rifugiano quelli che non sopportano la loro situazione presente, o che non hanno i piedi per terra: “…esultate perché la vostra ricompensa è grande nel cielo” (Lc 6,23).

Così, le “Beatitudini” fanno sorridere i grandi, sapienti e intelligenti come sono, sempre in cerca del piacere effimero, ma i bambini le conoscono per esperienza innata, ed è anche questo il loro paradosso: coloro, come i bambini, che non hanno ancora assaporato l’amarezza della vita, possiedono già e vivono splendidamente il segreto della felicità.

La “beatitudine”, infatti, è il segno e il frutto di una cosa molto semplice: la fiducia immediata dei piccoli: “io resto quieto e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Salmo 131/130, v.2); è espressione di gioiosa reciproca appartenenza nell’amore, è la felicità del bambino dinanzi al volto della mamma, la sua sazietà dopo la poppata, e la tenerezza sconfinata di lei: “..perchè tu sei con me” (Salmo 23/22, v.4). Tutto ciò, per l’adulto, corrisponde al rapporto di fede e amore con Dio Padre.

Noi grandi abbiamo un bisogno vitale di contemplare il mistero delle Beatitudini, cioè di farne esperienza nel cuore.

Ora, tale esperienza interiore è un dono certo della Divina Misericordia (come dono del sole è il suo calore), per tutti coloro che credono nell’amore di Dio per loro e concretamente ripongono in Lui la loro fiducia (Ger 17,5-8), certa e salda qualunque cosa abbiano commesso contro di Lui.

A chi ancora non ha fatto questa consolante esperienza, è chiesta l’umiltà di credere a coloro che li hanno preceduti in tale grazia: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri e oggi e per sempre!” (Eb 13,8).

Ascoltiamo le parole di un testimone tanto autorevole quanto umile e radioso della verità delle Beatitudini:“Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi A.T., quali troviamo per esempio, nel salmo 1 e nel testo parallelo di Ger 17,7: ‘Benedetto l’uomo che confida nel Signore…’. La cornice data da Luca al Discorso della montagna chiarisce la destinazione particolare delle Beatitudini di Gesù: ‘Alzati gli occhi verso i suoi discepoli…’. Le singole affermazioni delle Beatitudini nascono dallo sguardo verso i discepoli; descrivono, per così dire, lo stato effettivo dei discepoli di Gesù: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr Lc 6,20s). Rappresentano dei paradossi: i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che secondo i criteri mondani sono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. Sono promesse escatologiche, non nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell’aldilà. Se l’uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di ciò che deve venire è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione(Benedetto XVI, “Gesù di Nazaret”, p. 94).

Quando un uragano (o un terremoto) si abbatte su una casa, se essa è costruita sulla roccia resiste, ma se le fondamenta sono sabbiose finisce per crollare, e grande è la sua rovina. Questa parabola di Gesù è scelta spesso dagli sposi come Vangelo della loro Messa nuziale (Mt 7,24-29).

Va notato che, nel caso del crollo della casa, Gesù non parla poi di una possibile ricostruzione dalle macerie, ma la fa intendere implicitamente a motivo di Se stesso, poiché egli, che è la Misericordia, “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).

Ricordiamo il suo incontro con l’adultera, una donna sulla quale si scatena la furia integralista degli scribi e farisei, e che Gesù salva e “ricostruisce” tre volte: dalle macerie morali di un matrimonio adultero, dalle macerie esistenziali della sua stessa vita ormai condannata a morte, dalle macerie eterne della Geenna (Gv 8,1s).

Tempo fa ho veduto realizzarsi il paradosso delle Beatitudini in una casa abitata da una coppia sposata con tre figli adolescenti. La vita scorreva da anni senza scosse rilevanti,..il tempo cambiava solo per qualche giornata di pioggia e il torrente accanto alla casa non era mai straripato.

Un giorno, complice determinante il medico che lo definì “solo un progetto di vita”, il quarto figlio fu da loro ucciso volontariamente sulla soglia dei tre mesi di vita. Allora un uragano di angoscia, di rimorsi, di accuse e di dolore si abbattè su questa cas
a ed essa crollò subito miseramente. Dopo mesi e mesi di pianti, insonnia e sedute psicologiche, venne per grazia l’ora dell’incontro con la Misericordia di Dio, in confessionale: “Una cosa c’era prima: la superbia di poter controllare tutto, di stare nella sicurezza, di bastare a te stesso. Non era cattiveria, ma..una superficialità, la superbia dell’autosufficienza”. Queste le parole accorate di lui, ormai uscito sacramentalmente dalla stretta dell’angoscia.

Questa diagnosi del “pre-aborto” era giusta, e corrisponde alle parole di Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando dal cuore il suo Signore. Sarà come un tamarisco nella steppa, non vedrà venire il bene…” (Ger 17,5s).

Un bambino è sempre “il bene” che viene da parte di Dio, ma se si vive come se Dio non ci fosse è facile non riconoscerlo, ingannando mortalmente il proprio cuore. Certo, per la fondamenta già fragili della casa che ho raccontato fu fatale anche l’inganno del medico, ma ora, ritrovata la pace nel perdono di Dio, il “guai a voi, ricchi,..guai a voi sazi…” si sta mutando nella verità delle Beatitudini per tutta la famiglia.

Scrive Romano Guardini: “Per il suo amore Dio è in grado di elevarsi e, senza recare attentato alla verità e alla giustizia gli è lecito dichiarare che la colpa non esiste più. Dio è in grado non solo di dire, ma di far sì creativamente che io non sia più colpevole” (R.G., “Il Signore”, cap. 9).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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