Il Papa rivela il segreto della gioia nella sofferenza

Nella XVIII Giornata Mondiale del Malato

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di Patricia Navas
 

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 11 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha rivelato il segreto della gioia nella sofferenza questo giovedì nell’omelia che ha pronunciato nella Basilica vaticana durante la Messa nella memoria della Madonna di Lourdes, XVIII Giornata Mondiale del Malato.

Per questo, si è riferito alla “maternità della Chiesa”, riflesso “dell’amore premuroso di Dio”, nell’accompagnare e consolare chi soffre.

E’ “una maternità che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia intima, una gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza”.

“La sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita, non sono forse miracoli dell’amore?”, ha chiesto.

Il Papa ha quindi sottolineato “il coraggio di affrontare il male disarmati – come Giuditta -, con la sola forza della fede e della speranza nel Signore”.

“Per tutto questo noi viviamo una gioia che non dimentica la sofferenza, anzi, la comprende”.

“In questo modo i malati e tutti i sofferenti sono nella Chiesa non solo destinatari di attenzione e di cura, ma prima ancora e soprattutto protagonisti del pellegrinaggio della fede e della speranza, testimoni dei prodigi dell’amore, della gioia pasquale che fiorisce dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo”, ha spiegato.

“Chi rimane a lungo vicino alle persone sofferenti, conosce l’angoscia e le lacrime, ma anche il miracolo della gioia, frutto dell’amore”.

Il realismo della speranza

Riferendosi alla speranza, Benedetto XVI ha segnalato che il brano della Lettera di San Giacomo proclamato nella celebrazione del giorno “invita ad attendere con costanza la venuta ormai prossima del Signore”.

Per il Pontefice, ciò “rispecchia l’azione di Gesù, che guarendo i malati mostrava la vicinanza del Regno di Dio”.

“La malattia è vista nella prospettiva degli ultimi tempi, con il realismo della speranza tipicamente cristiano”, ha spiegato.

Ha poi ricordato la lettura che segnala: “Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato”.

Questo brano, ha rilevato, mostra “il prolungamento di Cristo nella sua Chiesa: è ancora Lui che agisce, mediante i presbiteri; è il suo stesso Spirito che opera mediante il segno sacramentale dell’olio; è a Lui che si rivolge la fede, espressa nella preghiera”.

“Da questo testo, che contiene il fondamento e la prassi del sacramento dell’Unzione dei malati, si ricava al tempo stesso una visione del ruolo dei malati nella Chiesa. Un ruolo attivo nel ‘provocare’, per così dire, la preghiera fatta con fede”.

Sacerdoti e malati

Il brano è servito al Papa anche per sottolineare, in questo Anno Sacerdotale, “il legame tra i malati e i sacerdoti, una specie di alleanza, di ‘complicità’ evangelica”.

“Entrambi hanno un compito: il malato deve ‘chiamare’ i presbiteri, e questi devono rispondere, per attirare sull’esperienza della malattia la presenza e l’azione del Risorto e del suo Spirito”, ha spiegato.

“E qui possiamo vedere tutta l’importanza della pastorale dei malati, il cui valore è davvero incalcolabile, per il bene immenso che fa in primo luogo al malato e al sacerdote stesso, ma anche ai familiari, ai conoscenti, alla comunità e, attraverso vie ignote e misteriose, a tutta la Chiesa e al mondo”.

Quando la Parola di Dio “parla di guarigione, di salvezza, di salute del malato, intende questi concetti in senso integrale, non separando mai anima e corpo”, ha aggiunto.

“Un malato guarito dalla preghiera di Cristo, mediante la Chiesa, è una gioia sulla terra e nel cielo, è una primizia di vita eterna”.

Per il Vescovo di Roma, le guarigioni realizzate da Gesù, insieme all’annuncio della Parola, sono “segno per eccellenza della vicinanza del Regno di Dio”.

La Chiesa e i malati

Questo giovedì, giorno in cui si celebrava il 25° anniversario della fondazione del Pontificio Consiglio della Pastorale della Salute, il Pontefice ha voluto anche sottolinearne il senso e ha rivolto parole di ringraziamento a tutti coloro che vi hanno lavorato.

“Istituendo un Dicastero dedicato alla pastorale sanitaria, la Santa Sede ha voluto offrire il proprio contributo anche per promuovere un mondo più capace di accogliere e curare i malati come persone”, ha affermato.

“Ha voluto, infatti, aiutarli a vivere l’esperienza dell’infermità in modo umano, non rinnegandola, ma offrendo ad essa un senso”.

“Dio, infatti, vuole guarire tutto l’uomo e nel Vangelo la guarigione del corpo è segno del risanamento più profondo che è la remissione dei peccati”.

La Chiesa, ha osservato, ha sempre mostrato particolare sollecitudine per chi soffre. “Ne danno testimonianza le migliaia di persone che si recano nei santuari mariani per invocare la Madre di Cristo e trovano in lei forza e sollievo”.

Ha quindi parlato della Madonna, in particolare della visita alla cugina Elisabetta, indicando che “nel sostegno offerto da Maria a questa parente che vive, in età avanzata, una situazione delicata come la gravidanza, vediamo prefigurata tutta l’azione della Chiesa a sostegno della vita bisognosa di cura”.

Non ha poi tralasciato di richiamare alla memoria “tanti Santi e Sante della carità”, soprattutto “quelli che hanno speso la loro vita tra i malati e i sofferenti, come Camillo de Lellis e Giovanni di Dio, Damiano de Veuster e Benedetto Menni”.

Il Pontefice ha quindi concluso la sua omelia con alcune parole tratte dalla Lettera Apostolica Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II: “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza”.

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ZENIT Staff

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