di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 11 febbraio 2010 (ZENIT.org).- A un anno dalla morte di Eluana Englaro, sabato 20 febbraio, alle ore 16.30, presso la Sala Regia del Comune di Viterbo (Piazza del Plebiscito) si svolgerà una tavola rotonda sul tema “Libertà o autodeterminazione? La sfida del fine vita”.
Promosso dal Movimento per la Vita e dal Centro di Aiuto di Viterbo assieme all’Associazione Scienza & Vita, l’incontro vedrà la partecipazione di monsignor Lorenzo Chiarinelli, Vescovo di Viterbo, con una relazione sugli aspetti etico-morali e pastorali.
Il professor Lucio Romano, docente di Ostetricia e di Bioetica presso l’Università Federico II di Napoli, Presidente Nazionale di Scienza &Vita, interverrà sugli aspetti scientifici e giuridici. I dottori Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, giornalisti e autori del libro “Eluana Englaro, i fatti”, tratteranno il ruolo dell’informazione e dei “gruppi di pressione” nella battaglia per introdurre l’eutanasia in Italia.
Il dott. Pierluigi Fornari, giornalista che segue per “Avvenire” i lavori parlamentari sui temi del fine vita e del testamento biologico, aggiornerà invece i presenti sullo stato attuale del dibattito politico e parlamentare.
Sarà proiettato anche un breve audiovisivo con alcune significative testimonianze, tra queste quella di Margherita Coletta, vedova di Giuseppe, carabiniere caduto a Nassirija.
Per approfondire un tema che ancora oggi tiene viva l’attenzione degli italiani, ZENIT ha intervistato il dottor Stefano Aviani Barbacci, Presidente del Movimento per la Vita di Viterbo.
Dopo quanto accaduto alla Englaro, si ha l’impressione che dietro a una richiesta di autodeterminazione ci sia in realtà un tentativo di legittimare forme di eutanasia per persone malate e disabili. Lei cosa ne pensa?
Aviani Barbacci: Temo che l’intento sia proprio questo, magari attraverso passaggi intermedi e il ricorso a un linguaggio dissimulato. Parole come “eutanasia” o “suicidio assistito” non sono ancora tanto spendibili nel dibattito pubblico nel nostro Paese; è tuttavia evidente che si tenta pian piano di accreditare presso l’opinione pubblica quei presupposti ideologici che potrebbero, un domani, legittimarne la sostanza.
Di questi presupposti fa parte, a mio parere, anche una certa idea adulterata di libertà, ridotta a delirio di autoaffermazione individualistica, un’idea che non trova riscontro neppure nel pensiero laico-illuminista. Immanuel Kant, ad esempio, considerato a ragione il “padre dell’Illuminismo”, condannava sia il suicidio che l’infanticidio e l’aborto.
Quindi, a mio parere, si mira senz’altro lontano. Ma perché stupirsene? In fondo è quel che vediamo accadere anche in altri Paesi europei come l’Olanda, dove sono state approvate norme che consentono l’eutanasia persino su bambini malati o disabili fino al dodicesimo anno di età.
Quali sono i punti qualificanti per avere una legge sul fine vita autenticamente rispettosa della vita e della dignità umana?
Aviani Barbacci: Il nodo centrale, almeno per me che faccio il medico, è la questione del cibo e dell’acqua, che non possono essere assimilati al concetto di “terapie sproporzionate ed inutili”.
Sproporzionate ed inutili rispetto a che cosa? Si fornisce in questo caso ciò di cui l’organismo ordinariamente necessita per conservare le proprie naturali funzioni, e ciò fintanto che sia in grado di trarne un giovamento.
Possono invece essere definiti sproporzionati ed inutili quegli eventuali trattamenti o terapie sperimentali rischiosi e gravosi, che presentano ben poche o nessuna probabilità di migliorare le condizioni di salute di un paziente.
Ma quest’ultimo caso è certamente ben poco frequente nel nostro Paese. A mio parere non ci si rende del tutto conto dei rischi a cui si andrebbe incontro nel momento in cui il supporto nutrizionale fosse erroneamente catalogato come “intervento terapeutico sproporzionato ed inutile”.
Quante persone gravemente disabili rischierebbero allora di morire di fame e di sete? Un’iniezione di fenolo parrebbe a quel punto una soluzione ben più pietosa! Ma, come si diceva prima, è proprio all’eutanasia attiva che si mira, solo che per arrivare fin lì si deve procedere un po’ per volta.
Qual è il contributo in termini di cultura e di conoscenza che intendete apportare alla comunità di Viterbo con questa tavola rotonda?
Aviani Barbacci: C’è innanzitutto la necessità di una corretta informazione, che a mio parere è mancata nel caso di Eluana Englaro.
Ad esempio, oggi sappiamo, grazie alla documentazione ufficiale ormai disponibile, che il cervello di questa ragazza era di peso e morfologia normali, che i capelli erano neri, che la cute era liscia ed elastica ed il corpo normale, non deperito, e che non vi erano piaghe o decubiti.
Sappiamo anche, dall’apposita scheda di rilevazione dei segni di sofferenza redatta dai sanitari dopo il trasferimento di Eluana da Lecco a Udine, che il respiro si era fatto affannoso e che la ragazza emetteva suoni spontanei (come hanno scritto loro).
Chi può dunque esser certo che non abbia sofferto? Ma sappiamo anche, grazie agli studi di eminenti studiosi come Martin Monti e Steven Laureys, che un gran numero di diagnosi di cosiddetto “coma irreversibile” può essere sbagliato e che i pazienti in stato vegetativo dovrebbero accedere ad una rivalutazione con metodiche più aggiornate, come quelle che prevedono l’esplorazione dello stato di coscienza con ricorso alla Risonanza Magnetica Funzionale per Imaging.
C’è poi l’esigenza di una crescita culturale. Si deve aiutare l’opinione pubblica a comprendere quale sia, al di la di questo o quello specifico caso, la vera posta in gioco. Si vuole davvero che tramonti per sempre un’idea di civiltà fondata sulla speciale dignità di ciascun essere umano? Si vuole davvero archiviare la medicina ippocratica con il suo bagaglio etico e deontologico, come già chiede qualcuno?
Vogliamo tornare davvero ad una logica di darwinismo sociale o biologico? Si vuol tornare al diritto del forte sul debole o del sano sul malato? E chi decide poi quale vita è degna di essere vissuta? Ecco, queste sono le domande che ci poniamo e che intendiamo sottoporre all’attenzione di tutti.