Il contributo di padre Kentenich alla Chiesa visto da un carmelitano

Pubblicazione per i 40 anni di Schönstatt in Spagna

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di Patricia Navas

MADRID, lunedì, 8 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Dobbiamo contribuire alla creazione di un nuovo tipo di uomo: l’uomo di cui la Chiesa ha bisogno per superare al suo interno alcuni gravi sconvolgimenti”.

E’ uno dei molti pensieri del fondatore del Movimento di Schönstatt riportati nel libro “José Kentenich. Historia de un hombre libre” (“Giuseppe Kentenich. Storia di un uomo libero”, Editorial Monte Carmelo, Burgos, 2009, 308 pp.), presentato martedì scorso alla Scuola Tecnica Superiore di Ingegneria Mineraria di Madrid.

Si tratta della prima biografia di padre Kentenich scritta da una persona che non appartiene al Movimento di Schönstatt, il carmelitano Eduardo T. Gil de Muro, prolifico giornalista e scrittore.

Il libro è stato pubblicato in occasione dei 40 anni della presenza del Movimento di Schönstatt in Spagna.

“E’ un racconto cronologico di tutta la sua vita, della sua opera e delle sue difficoltà, scritto in modo calmo, che attira”, ha spiegato a ZENIT la scrittrice Asunción Aguirrezábal, promotrice della pubblicazione.

Come le oltre 50 biografie di santi scritte da padre de Muro, “Storia di un uomo libero” avvicina la figura di padre Kentenich al grande pubblico in modo romanzato, ma anche con citazioni e riflessioni di grande profondità.

Durante la presentazione del testo, è stata anche sottolineata l’importanza per la Chiesa del carisma di padre Kentenich e di alcuni suoi aspetti innovativi, come la funzione della donna, l’importanza della libertà, la visione della famiglia e il carattere di Maria come coredentrice.

40 anni di crescita

40 anni dopo la benedizione del primo Santuario di Schönstatt in Spagna, il direttore del Movimento nel Paese, padre Carlos Padilla, afferma che “siamo una risposta, ma spesso poco conosciuta”.

In questi decenni sono stati costruiti tre Santuari (due nella provincia di Madrid e uno in quella di Barcellona) e il Movimento è stato avviato in altre zone (Asturie, Gerona, Navarra, Alicante, Siviglia, Huelva).

Sono stati anche intrapresi vari progetti e azioni che cercano di impegnare il carisma, come il collegio Monte Tabor, le fondazioni María Ayuda e Tiempos Más Nuevos, l’organizzazione delle missioni universitarie e familiari e delle scuole di genitori.

Padre Padilla ha inoltre sottolineato le sfide attuali del Movimento in Spagna: “far conoscere di più il Santuario e il cammino di santità proposto da padre Kentenich, e fornire risposte concrete alla crisi attuale della famiglia”.

Vita interiore

Uno degli aspetti più innovativi del libro è rappresentato dalla visione di una persona che non conosceva prima padre Kentenich sull’apporto concreto di questo sacerdote tedesco alla Chiesa e al mondo.

In questo senso, Gil de Muro ricorda nel suo libro una diagnosi del fondatore di Schönstatt: “Il nostro cristianesimo è sul punto di morire per mancanza di vita interiore”.

“Kentenich aveva iniziato a scoprire che uno dei grandi mali della società contemporanea era la recente massificazione dell’individuo”, scrive.

Dopo aver ricordato i primi anni della vita di padre Kentenich, caratterizzati dalla sua consacrazione alla Vergine Maria da parte della madre, dalla vita in un orfanotrofio e dall’ingresso in un seminario pallottino, l’autore descrive l’inizio del suo compito pedagogico con alcuni giovani seminaristi.

“Bisogna creare un uomo nuovo, un uomo che non dipenda da frasi né da principi giunti dall’esterno. Un uomo capace di decidere da sé, che sappia percorrere il suo cammino libero da ogni coazione esterna”, segnalava il suo programma per i seminaristi.

Il libro comprende anche citazioni di varie persone che hanno conosciuto il protagonista, come uno dei suoi alunni.

“Lezioni indimenticabili, quelle di padre Kentenich – ricorda –. Sono state decisive per la mia vita. Non sono mai state solo apprendimento”.

“Le organizzava ingegnosamente per mobilitare tutte le energie spirituali e culturali degli alunni, e creava una comunità che competeva intellettualmente con grande nobiltà e disciplina”.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’autore pone sulle labbra di padre Kentenich la chiave per rispondere alle necessità del tempo: “Ciò di cui la nostra epoca ha più bisogno – per non dire l’unica cosa – è che ci siano santi nuovi (…), uomini nuovi e onesti, cristiani davvero nuovi, perfetti come godimento gioioso di tutti gli sforzi personali e della Grazia”.

Conquistare un regno di Maria

La nuova biografia riflette molto bene il segreto e la missione del fondatore dell’opera di Schönstatt, sintetizzando frasi come questa: “Sono venuto a portare fuoco, a conquistare un regno di Maria in molti cuori”.

Spiega anche lo scontro tra gli ideali e i progetti di Kentenich e il contesto socio-politico del suo Paese natale, la Germania.

“Kentenich non voleva essere sovversivo, ma non voleva essere nemmeno muto”, scrive Gil de Muro.

Secondo il libro, il Movimento di Schönstatt venne definito dal servizio di sicurezza delle SS “estremamente pericoloso”, “il più pericolo dei movimenti che il Servizio Segreto è riuscito a identificare”.

Il motivo? “Schönstatt era passato da quello che era stato un semplice inizio di pietà ad essere un riferimento spirituale e sociale”.

Non fu questo, tuttavia, l’unico ostacolo che incontrarono il sacerdote e la sua opera. “Né Roma né Berlino – la Curia da un lato, le SS dall’altro – sopportavano il coraggio di quest’uomo”, spiega l’autore.

“Il mondo era impazzito, e non era male che quel poco di buonsenso e di spirito che rimaneva nel popolo tedesco si rifugiasse a Schönstatt per rafforzarsi”, aggiunge.

Libero in carcere e nel campo di concentramento

Il racconto continua spiegando la diffusione del Movimento di Schönstatt in vari Paesi, parallela all’arresto del suo fondatore e alla sua successiva condanna ad essere internato nel campo di concentramento di Dachau.

Delle settimane in carcere si dice: “Non sarebbe mai stato più schiavo che in quei momenti di angoscia in prigione, e tuttavia non si sarebbe mai più sentito libero come in quel momento di disporre delle sue emozioni, delle sue decisioni interiori e dell’atteggiamento con cui risolveva qualsiasi incertezza”.

Con le parole di padre Kentenich, “non mi sono sentito abbandonato neanche per un minuto della mia prigionia”.

Sui quasi tre anni trascorsi a Dachau, il libro sottolinea come scrivesse libri ed esortasse e consigliasse gli altri prigionieri.

“Questo campo di concentramento deve diventare il campo della discordia, per cui non c’è niente di meglio che affidarlo alle mani della Vergine”, diceva il prigioniero numero 29392.

“Lo spirito del campo di concentramento è quello di cui deve rivestirsi il vero cristiano – segnalò uscendo da quella esperienza –. Non ho mai scoperto con tanta potenza la protezione di Maria, la Madre”.

Bandito dall’Europa

In seguito procedettero sia la diffusione del Movimento in tutto il mondo che l’opposizione di alcuni settori della Chiesa, al punto che il Vaticano lo esortò ad abbandonare l’Europa.

La biografia ricorda come padre Kentenich obbedì serenamente a quest’ordine, rimanendo esiliato a Milwaukee, negli Stati Uniti, per quasi 14 anni.

Dopo quel periodo, Papa Paolo VI lo dichiarò libero e poté tornare in Germania, dove portò avanti la sua attività fino al momento della morte. Sulla sua tomba figurano due parole: “Dilexit Ecclesiam”, “Amò la Chiesa”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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