di Mariaelena Finessi
ROMA, giovedì, 4 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Argomento cardine della dottrina sociale della Chiesa, il disarmo è «una questione etica che chiama in causa tutti gli uomini, non solo gli Stati, secondo i propri ruoli e le proprie responsabilità»: così Tommaso Di Ruzza, officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, spiega la posizione dei cattolici dinanzi all’uso della violenza armata.
Intervenendo al convegno «Per un mondo di pace: il sogno di Isaia e l’annuncio di Cristo», promosso a Roma il 30 gennaio dalla Cei, da Caritas Italiana e Pax Christi, Di Ruzza ricorda che le spese per gli armamenti nel 2008 ammontavano a quasi 1.500 miliardi di dollari e che nel mondo sono in corso dai sedici ai venti conflitti di media e alta intensità.
Fenomeni dinanzi ai quali la Chiesa è netta: la meta degli Stati – scrive Giovanni Paolo II nel Messaggio per il 40° Anniversario dell’Onu del 18 ottobre 1985 – è il loro «disarmo generale, equilibrato e controllato». Dunque, un disarmo ponderato, forse lento, di certo totale. Perché, più semplicemente – sottolinea monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi Italia, citando Giovanni XXIII – «la guerra è contro la ragione e contro l’umanità».
Allora il cambiamento necessario, secondo Dave Robinson, direttore di Pax Christi Usa, deve avvenire nel cuore dell’uomo per approdare ad una «spiritualità della vulnerabilità», mettendosi cioè in ascolto dei tanti che sono senza protezione. Ed è puro realismo cristiano – lo stesso che Robinson considera vocazione della Chiesa – affermare che nessuno può essere invulnerabile.
La ricerca forsennata dell’invincibilità, della sicurezza ad ogni costo si scontra con le dinamiche della realtà, più complessa e poco governabile. È, in altri termini, la reazione sbagliata all’11 settembre, che ha prodotto l’aumento vertiginoso del bilancio della difesa, senza contare la nascita di centinaia di contractors privati, sotto l’illusione del “non succederà mai più”. Una prospettiva pericolosa, avverte Robinson, se è vero che i diversi Paesi coinvolti sono tutti detentori di armi nucleari.
Essendo questo il quadro, dunque, si intuisce l’importanza della diplomazia della Santa Sede, orientata da sempre al disarmo integrale. E, anzi, sarà proprio questa ad assumere un ruolo decisivo alla Conferenza per la revisione del trattato di non proliferazione delle armi nucleari che si terrà a New York il prossimo maggio. Già, il nucleare, e tuttavia monsignor Giudici, chiarisce: «Le armi convenzionali e le armi leggere sono considerate dall’Onu armi di distruzione di massa per la quantità enorme di vittime che provoca». Come dire che «la nostra scelta non può fermarsi al “no” alle armi nucleari, chimiche e batteriologiche. Deve essere altrettanto forte il “no” alle armi convenzionali e leggere così come altrettanto forte deve essere il sostegno al Trattato Internazionale sul disarmo che si sta costruendo in sede Onu».
Ciò che la Cei, la Caritas italiana e Pax Christi chiedono in ultima istanza è una seria riflessione, aiutati dalla pagina evangelica, «magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del “porgere l’altra guancia” – ma nel rispondere al male con il bene (…) Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore» (Benedetto XVI, Angelus del 18 febbraio 2007).
L’invito è a rifiutare la logica delle armi optando per l’obiezione di coscienza, giacché «dire armi significa dire sopruso contro le popolazioni povere, controllo sociale nei paesi a democrazia fragile e bambini soldato»; scegliere la nonviolenza come linguaggio, progetto sociale e politico; fare della riconciliazione uno stile e un impegno ed avere con il denaro un rapporto evangelico, stando attenti a non depositare i propri risparmi in banche che sostengono, ad esempio, il commercio di armi.
Infine – giacché si tratta di un appuntamento che richiama all’impegno più vigoroso anche la Chiesa – ecco alcune proposte emerse nel corso del convegno per quelle realtà pastorali che risultano ancora poco sensibili al tema del disarmo: a) dedicare risorse e tempo all’elaborazione di precisi itinerari educativi che diano spazio alla testimonianza di profeti nonviolenti; b) ridare vigore alle Commissioni Giustizia e Pace a livello nazionale, diocesano e locale; c) credere nel dialogo interreligioso e vivere l’ecumenismo nelle linee proposte dal Concilio Vaticano II e dalla Charta Oecumenica europea; d) progettare itinerari specifici di formazione teologica, morale, spirituale alla pace che accompagnino adeguate scelte di denuncia e di rinuncia.
«Don Tonino Bello – conclude monsignor Giudici citando il suo predecessore in Pax Christi – sosteneva che “La pace non è il premio favoloso di una lotteria che si può vincere col misero prezzo di un solo biglietto. Chi scommette sulla pace deve sborsare in contanti monete di lacrime, di incomprensione e di sangue. La pace è il nuovo martirio a cui oggi la Chiesa viene chiamata. L’arena della prova è lo scenario di questo villaggio globale che rischia di incenerirsi in un olocausto senza precedenti».
«E come nei primi tempi del cristianesimo i martiri stupirono il mondo per il loro coraggio, così oggi la Chiesa dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per la fierezza con cui, noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le finali come nel canto gregoriano, il vangelo della pace e la prassi della nonviolenza. E’ chiaro che se, invece che fare ammutolire i potenti, ammutolisce lei, si renderebbe complice rassegnata di un efferato “crimine di guerra”».