Quando un Papa e un Rabbino commentano le Scritture

Mons. Vincenzo Paglia analizza la visita del Pontefice alla Sinagoga di Roma

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di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 1° febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il tratto caratterizzante della visita di Benedetto XVI alla grande Sinagoga di Roma è stato il fatto che un Capo della Chiesa cattolica e un Rabbino hanno commentato insieme le Sacre Scritture.

Ad affermarlo a ZENIT è stato mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia che dal 2004 fino all’anno scorso ha ricoperto l’incarico di Presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Conferenza Episcopale Italiana prima di essere eletto Presidente della Conferenza Episcopale Umbra.

Anche se “avvenuta in un momento un po’ più turbolento, per certi versi”, rispetto a quella compiuta nel 1986 da Giovanni Paolo II, secondo il presule “la visita ha significato, innanzitutto, la conferma della irreversibilità del nostro cammino comune”.

“Non direi che siano scomparse tutte le ombre – ha poi precisato –, tuttavia è emersa la volontà chiara di guardare al futuro, un futuro che ha significato per lo meno due piste: una, quella dei campi comuni di intervento e testimonianza: il valore supremo della vita, la santità della famiglia, la tutela del creato, l’attenzione per i bisognosi; l’altra, che si è realizzata, riguardante il campo delle Scritture”.

L’aspetto innovativo della prima visita di Benedetto XVI al Tempio maggiore di Roma, ha continuato il presule, è che “in Sinagoga, si è compiuto già un passo in avanti perché tutti e due hanno commentato le Scritture accogliendosi a vicenda”.

“Per la prima volta un Rabbino ha commentato la Scrittura davanti al Papa e viceversa – ha osservato –. Questo evento, secondo me, si comprende bene all’interno della visione indicata dal Papa, secondo cui anche Israele deve rispondere alla Rivelazione”.

“Si tratta di un passo in avanti nella linea spirituale – ha aggiunto –. E l’importanza del discorso papale sta proprio in questo passaggio non al piano della diplomazia ma al piano spirituale, che a mio avviso è l’aspetto che deve essere solidificato”.

Mons. Paglia, che nel 2002 è stato nominato dalla Santa Sede Presidente della Federazione Biblica Cattolica Internazionale, ha poi posto l’accento sull’ “’invito del Papa a prestare maggiore attenzione all’interpretazione ebraica delle Scritture”.

Nel suo discorso il Pontefice ha infatti citato un passaggio del documento pubblicato nel 2001 dalla Pontificia Commissione Biblica – quando a presiederla era il Cardinale Joseph Ratzinger – dal titolo “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”, e il cui intento era anche quello di contribuire al dialogo fraterno tra cristiani ed ebrei a partire dal riconscimento dell’autorità e dell’importanza delle Sacre Scritture del popolo ebraico per la Bibbia cristiana.

Nello specifico, durante l’incontro in Sinagoga, il Papa ha richiamato “la solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico ‘a livello della loro stessa identità’ spirituale e che offre ai Cristiani l’opportunità di promuovere ‘un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento'”.

Mons. Vincenzo Paglia ha quindi richiamato la necessità per ebrei e cattolici di “procedere su spazi comuni percorrendo quei ponti che man mano rassodano l’incontro”.

“Io sono convinto – ha detto ancora – che l’ignorarsi non sia mai foriero di prospettive positive. Al contrario, le difficoltà che ci sono non debbono impedirci di seguire quella linea di fraternità che ci vincola nelle Scritture”.

“Le difficoltà, ovviamente, ci sono poi ognuno le vive in base alla storia passata. E non dobbiamo dimenticarci che la sensibilità ebraica su certe tematiche è molto attenta”, ha continuato.

“Però ho notato che c’è una volontà di superare le difficoltà, tenendo presente che non tutti erano d’accordo sulla visita del Papa in sinagoga – ha sottolineato il Vescovo –. E il fatto che sia avvenuta, ugualmente, mostra una chiara volontà di continuare”.

Riguardo, invece, alla questione di Pio XII e ai suoi presunti silenzi sulla tragedia della Shoah, “il problema rimane ancora aperto”, ha detto mons. Paglia.

“A mio avviso, lì va distinto, come sottolineato da padre Federico Lombardi, la questione storica da altre questioni – ha spiegato –. In ogni caso questo non deve impedirci di continuare a incontrarci, proprio perché la fede nel Dio dei Padri ci unisce”.

Il Vescovo di Terni-Narni-Amelia ha quindi detto di condividere le dichiarazioni dell’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, apparse su “L’Osservatore Romano”, e cioè che “solo pochi rappresentanti dell’ebraismo sono realmente impegnati nell’attuale dialogo con i cattolici” e che molti ebrei guardano alla propria identità religiosa in termini di “autosufficienza teologica”.

“L’ebraismo ‘italiano ed europeo’ è in genere aperto, dialogante e quindi pronto anche a riflettere su temi condivisi insieme ai cattolici – ha commentato mons. Paglia –. Un esempio di novità, in questo caso, è l’attenzione prestata alla figura di Gesù anche da parte degli ebrei”.

“Tutto questo è totalmente assente in un certo ebraismo ortodosso – ha osservato poi –. In effetti questo spiega anche perché è importante dialogare: il rinchiudersi porta facilmente, in un mondo come l’attuale, alla autoreferenzialità. Mentre di fronte ai grandi problemi dobbiamo unire le forze, ad esempio per parlare di Dio, per parlare della dignità dell’uomo. Ma ciò è possibile se c’è di fatto un riferimento a Dio”.

“Noi dobbiamo evitare da un parte una faciloneria sincretista – ha continuato il presule – che sarebbe soltanto deleteria e dall’altra di erigere un altro muro di separazione”.

“C’è uno spazio stretto e complesso del dialogo, che è l’unica possiblità ma anche la grande sfida che deve unire ebrei e cristiani per rispondere alle nuove frontiere del mondo”.

Il presule ha poi commentato come “un passaggio dal dialogo al trialogo” l’accenno fatto durante la visita del Papa da Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, sulla necessità di “solidarizzare con le forze che nell’Islam interpretano il Corano come fonte di solidarietà e fraternità umana, nel rispetto della sacralità della vita”.

“Tuttavia, è chiaro che ormai, come più volte ripetuto dal Papa, il problema non è assolutamente il mettere sullo stesso piano tutte le religioni – ha precisato mons. Paglia –. Questa sarebbe una bestemmia. Altro, invece, è il discorso su come convivere e su quali responsabilità comuni possiamo avere”.

“Oggi di fronte a città, paesi e società di fatto multireligiosi è chiaro che si chiede la capacità dell’incontro senza rinunciare alla propria identità – ha concluso –. Questa è la grande sfida. Anzi l’incontro è possibile se restiamo in qualche modo fermi nelle nostre profonde convinzioni religiose”.

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ZENIT Staff

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